SETTIMA GIORNATA – NOVELLA N. 1
Gianni Lotteringhi ode di notte
bussare alla sua porta; sveglia la moglie, ed ella gli fa credere che è la
“fantasima”, fanno incantesimi con frasi magiche e il picchiare si ferma.
Emilia ,rivolgendosi al re, disse
che avrebbe preferito che un’altra persona avesse incominciato a raccontare per
prima su una tematica così piacevole, ma volentieri avrebbe dato inizio al
racconto per obbedirgli.
Ella voleva dire qualcosa che
potesse essere utile alle sue compagne per l’avvenire.
Infatti ,ascoltando bene la sua
novella, avrebbero potuto imparare una santa e buona preghiera che poteva loro
servire per cacciar via , se fosse venuta, la fantasima ( la quale solo Dio
sapeva che cosa fosse, perché né lei, né nessun’altra donna lo sapeva, ma tutte
ne avevano ugualmente paura).
Visse in Firenze, nella contrada di
San Pancrazio, uno stamaiuolo, addetto
alla lavorazione della lana, chiamato Gianni Lotteringhi, uomo molto più
esperto nell’arte sua che saggio nelle altre cose, per le quali era un
bonaccione.
Fu fatto capitano della
confraternita di coloro che si riunivano per cantare le laudi sacre di Santa
Maria Novella. Doveva controllare la confraternita e faceva altri servizietti,
di cui molto si vantava, perciò avveniva che spesso, come uomo benestante,
facesse doni ai frati. Essi , poiché ricevevano da lui o calze o qualche
mantello o qualche scapolare, gli insegnavano delle preghiere: il Paternostro
in volgare, la canzone di Santo Alessio, il lamento di San Bernardo, la lauda
di donna Matelda e tante altre sciocchezze, che egli teneva molto care e
conservava molto diligentemente per la salvezza della sua anima.
Gianni aveva per moglie una
bellissima donna, di nome Tessa, figlia di Mannuccio dalla Cuculia, molto
saggia e prudente, che, conoscendo la dabbenaggine del marito, era innamorata
di Federigo di Neri Pegolotti, un giovane bello e forte.
La donna mandò la sua domestica dal
giovane con un messaggio, invitandolo ad incontrarsi con lei in un luogo molto
bello che il marito possedeva a Camerata, dove ella si tratteneva tutta
l’estate.
Gianni qualche volta vi andava a
cenare e a dormire e la mattina se ne tornava al suo lavoro e alla
confraternita.
Federigo, che non desiderava altro,
nel giorno prefissato, al vespro,si recò lassù e ,non essendo andato quella
sera Gianni, cenò e dormì con la donna. Le insegnò ben sei delle laudi che
cantava suo marito, mentre durante la notte la teneva in braccio. Non volendo
entrambi che quella fosse la prima e l’ultima notte trascorsa insieme,
escogitarono uno stratagemma ,per evitare che ogni volta la serva dovesse
andare da lui.
Stabilirono che ogni giorno
Federigo, andando in un luogo un po’ più in su, doveva guardare la vigna che
era accanto alla casa di lei. Lì avrebbe trovato un teschio d’asino sopra un
palo del vigneto; se il teschio avesse avuto il viso rivolto verso Firenze,
sicuramente, la notte poteva andare da lei. Se avesse trovato l’uscio chiuso,
doveva bussare tre volte ed ella avrebbe aperto. Concordarono, ancora, che se
il muso del teschio fosse stato rivolto verso Fiesole, non doveva andare,
perché Gianni era a casa.
In quel modo si incontrarono
spesso.
Una volta, dovendo Federico cenare
insieme a madonna Tessa, ella aveva fatto cucinare due grossi capponi.
Purtroppo Gianni, che non doveva esserci, a tarda ora, arrivò a casa. La donna
si addolorò molto e marito e moglie cenarono, mangiando un po’ di carne salata
lessa.
Dalla domestica fece portare, in
una tovaglia bianca, i due capponi e un fiasco di buon vino in un angolo del
giardino, che si poteva raggiungere senza passare per la casa, dove era solita
cenare ,qualche volta, con Federigo. Le disse di porre tutte quelle cose ai
piedi di un pesco, che si trovava al lato di un praticello.
Era così rammaricata che si
dimenticò di dire alla fantesca di aspettare Federigo e di avvisarlo che Gianni
era in casa e che egli poteva prendere tutto ciò che era nell’orto.
Andarono a dormire la donna, Gianni
e la fantesca.
Non molto dopo, Federigo, ignaro,
giunse e bussò dolcemente alla porta vicina alla camera.
Gianni sentì bussare e anche la
donna, che fece finta di dormire, perché il marito non potesse sospettare di
lei.
Dopo un po’ di tempo, Federigo
bussò per la seconda volta, al che Gianni chiese alla moglie “ Tessa, odi anche
tu, che qualcuno bussa alla porta?”.
La donna ,che aveva udito meglio di lui, finse
di essersi appena svegliata e di non aver ben capito. Il marito le ripeté la
domanda. Al che la donna rispose “Qualcuno bussa? Oimé, Gianni mio, tu non sai
chi è? E’ la fantasima della quale io
durante queste notti ho avuto una terribile paura, tale che, quando l’ho
sentita, ho messo il capo sotto il cuscino e non ho più avuto il coraggio di
tirarlo fuori ,finché non si è fatto giorno”.
Gianni ,allora, disse di non aver
paura perché egli, prima di andare a letto, aveva detto tante buone orazioni ed
aveva segnato il letto con il segno della croce. Non doveva, quindi, temere
perché la fantasima non poteva nuocere.
La donna, affinché Federigo non
sospettasse alcun che e si guastasse con lei, decise di alzarsi e di fargli
sapere che Gianni era lì. Disse, quindi, al marito che si sarebbe sentita salva
e sicura solo se avessero fatto un incantesimo. Aggiunse che ella sapeva fare
un incantesimo, di grande potere, che le aveva insegnato, alcuni giorni prima,
quando si era recata a Fiesole per l’indulgenza, una eremita.
L’eremita le aveva detto che l’orazione
insegnatale era santa e buona ,l’aveva provata più volte e le aveva sempre
giovato.
La donna aggiunse che, per paura,
non l’aveva mai provata, ma, ora che c’era il marito, potevano mettere in atto
l’incantesimo.
A Gianni l’idea piacque molto, e
alzatisi, entrambi andarono piano piano verso la porta, fuori dalla quale stava
Federigo in attesa.
La donna disse a Gianni “Ora
sputerai, quando te lo dirò io”, poi cominciò l’orazione e disse “Fantasima,
fantasima che te ne vai in giro di notte, a coda dritta arrivasti e a coda
dritta te ne andrai: va nell’orto dove, ai piedi dell’albero di pesco, troverai
un buon bollito grasso e cento escrementi della mia gallina; beviti un fiasco
di vino e vattene via; non far del male né a me ,né a Gianni mio”. Così detto ,ordinò
al marito di sputare ed egli sputò.
Federigo ,che era fuori ed udiva
tutto, superata la gelosia, provò una gran voglia di ridere e scoppiava dal
ridere tra sé e sé.
La donna, ripetuta tre volte
l’orazione per incantare la fantasima, se ne tornò a letto con il marito.
Federigo, che aspettava di cenare
con lei, avendo ben comprese le parole, andò all’orto e trovò ai piedi del
pesco i due capponi, il vino e le uova. Si portò tutto a casa dove cenò
comodamente.
Poi, incontratosi altre volte con
la donna, si sbellicò dalle risate , ricordando l’incantesimo.
Alcuni dissero che la donna aveva
sistemato bene il teschio dell’asino verso Fiesole, ma un contadino, passando
per il vigneto, l’aveva girato intorno ed era rimasto rivolto verso Firenze.
Per questo Federigo era andato credendo di essere stato chiamato. La donna
aveva detto “ Fantasima, Fantasima, va con Dio, perché la testa dell’asino non
la girai io ma un altro, che sia dannato. Io sono qui con Gianni mio”.
L’amante, andandosene, era rimasto senza cena e senza alloggio.
Emilia aggiunse che una sua vicina,
donna molto vecchia, diceva che erano vere tutte e due le storie, che aveva
sentito quando era fanciulla. Ma l’ultimo incantesimo non era accaduto a Gianni
Lotteringhi , ma a uno che si chiamava Gianni di Lello, che abitava in Porta
San Pietro, uno stupidone come Gianni Lotteringhi.
Emilia concluse che le donne
presenti potevano scegliere l’orazione che piaceva loro di più, oppure
entrambe. Potevano loro giovare, perciò era opportuno conservarsele
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