sabato 16 dicembre 2023



                 L'agricoltura nella storia

         "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                         terza puntata

Ma è tempo di andare oltre e di seguire lo sviluppo commerciale della Grecia e delle colonie greche in Italia. L'economia greca poggia sulla proprietà terriera e sulla triade mediterranea dell'agricoltura (cereali, vite, olivo), con attenzione anche all'arbicultura. E' da tenere in conto anche l'allevamento del bestiame (suini, bovini, pollame). Esiodo sottolinea che, essendo in Grecia, le aree agricole alquanto ristrette, diventa necessario avviare scambi commerciali su larga scala. Si parla, inizialmente, di commercio interno, per passare, poi, all'esportazione delle eccedenze. Il territorio coltivabile greco è molto limitato, per poter migliorare la produzione agricola, i Greci decidono di colonizzare nuove terre fertili, con clima favorevole. L'attenzione si rivolge alle terre della Sicilia e dell'Italia Meridionale, che sono denominate "Magna Grecia". Le colonie, prima fra tutte Siracusa, a loro volta, fondano nuove colonie, definite sub-colonie, come l'attuale Reggio Calabria, Policastro Bussentino, in Campania, Vibo Valenzia in Calabria, Bari, che fonda Paestum in Campania, Crotone, Zancle (attuale Messina), Neapolis (Napoli). Gli intraprendenti coloni ellenici trovano terreno fertile nell'Italia Meridionale. Ma è la Sicilia la sede più importante della civiltà greca in Italia, soprattutto la Sicilia Meridionale e Orientale, dove si addensano le colonie più importanti. 

Dal canto suo, Roma, per più di 400 anni dalla sua fondazione, è un piccolo Stato agricolo, simile a tante altre comunità dell'Italia centrale e Meridionale. Lo Stato Romano, nei secoli V e IV a.C., è fondato su un'aristocrazia di piccoli proprietari terrieri, spesso in guerra con gli Stati vicini. La civiltà italica arcaica è improntata ad una comicità popolaresca e mordace, definita "Italicum acetum", di tipo agreste. Fra i documenti più antichi si conservano alcune formule, come i Carmina Saliaria e il carmen Arvale. Essi vengono cantati dal Collegio dei sacerdoti Salii, consacrati a Marte, considerata divinità agreste, ai Lari, protettori della casa, e ai Semoni, che proteggono la semina. 

I canti e le danze per propiziarsi il dio sono molto rumorosi e festosi. Più recente è il carmen Lustrale, tramandatoci da Catone nel " De agricoltura". E' una preghiera che il pater familias rivolge a Marte agreste per ottenere la protezione per il suo fondo e per i beni agricoli. Orazio ci parla ,poi, di antichi canti agresti, chiamati Fescennini, da Fescennium, antica città etrusca. 

Secondo Orazio ,i giovani contadini, durante le feste sacre di ringraziamento agli dei per il raccolto, sogliono scambiarsi versi salaci e scherzosi, i cosiddetti "Fescennina iocatio". Gradatamente si passa a forme teatrali più complesse, come la Atellana e la Satura, spettacolo misto di musica, danza e recitazione (Luciano Perelli- Storia della Letteratura Latina-Paravia).

Siamo pronti, ormai, per spostarci verso la civiltà Greco-Romana, ma sembra opportuno fare un rapido quadro della AGRICOLTURA DELLA ROMA REPUBBLICANA E IMPERIALE. La storia dell'Italia antica è strettamente legata allo sviluppo dell'agricoltura. Il clima per le sue varietà da regione a regione e per la sua mitezza, si presenta, infatti, adatto ai più vari tipi di coltivazione: La pianura del Po è favorevole ai seminativi; la catena degli Appennini, con la sua variata temperatura, offre ottimi terreni per vigneti e oliveti; le pianure del centro e del meridione ottime pasture e ampi campi di frumento. L'aratura è fatta di tre tempi: la prima a metà Aprile, la seconda verso il solstizio d'estate, la terza in autunno: ma le colture più difficili in primavera. Il raccolto lo si fa dal giugno ad ottobre secondo i luoghi; la falciatura si effettua per mezzo di un coltello ricurvo a manico corto o di una falce con lama a sega; la battitura del grano o a suon di bastoni o sotto i piedi di animali domestici, oppure con una pala di legno con chiodi, passata sulle spighe; il vaglio per mezzo di un largo cesto di vimini, nel quale si scuotono le spighe, oppure con una pala di legno che getta il grano in aria, perché il vento porti via la paglia (ventilabro). L'attrezzatura agricola romana resta così sempre primitiva.

Per quanto riguarda i prodotti più comuni riteniamo si debbano soprattutto ricordare, oltre al frumento, alla vite e all'olivo -base dell'agricoltura antica - il miele, usato anche per i medicamenti, frutti di vario genere ed in particolare mele, conservate anche per l'inverno o intere o a fette opportunamente essiccate. A questo punto intervengo, ricordando che in epoca moderna, intorno al 1960 , mio padre, ammalato di diabete, secondo l'antica tradizione   italica, in primavera comprava quintali di mele annurche. Le metteva in una stanza a riposare su di un letto di paglia, per mangiarle durante le stagioni seguenti. Il profumo delle mele si espandeva per tutta la casa. 

Ritornando al passato, diffuso è pure l'allevamento del bestiame. Tuttavia le piccole proprietà riescono appena a produrre per il consumo dei proprietari e , quindi, il mercato dei consumatori delle città viene rifornito importando grano ( a prezzi più bassi del grano prodotto in Italia) dalla Sicilia e dall'Egitto. I grandi latifondi sono lasciati incolti perché non conviene coltivarli, dato il basso costo del grano siciliano ed egiziano; ma vi si allevano armenti, per fornire i mercati di carne.

In EPOCA IMPERIALE nei dintorni di Roma sono praticati la coltura intensiva, per certi prodotti particolarmente richiesti dalla capitale (fiori, legumi, frutti, ecc.), e l'allevamento di buoi su vasta scala, di montoni e maiali. I miglioramenti tecnici sono rari: le attrezzature dei contadini e degli artigiani non tendono, infatti, a perfezionarsi. Basti, a tal proposito, ricordare che il contadino romano è rimasto sempre legato all'aratro senza ruote. Per il trasporto dell'olio e del vino - malgrado siano in uso presso i Galli Cisalpini botti di legno - continua ad usare le anfore tradizionali, che l'archeologia subacquea riporta ancora oggi alla luce in centinaia di esemplari. Ecco anche perché la produzione resta bassa e in certe annate la carestia assume proporzioni preoccupanti. (A.Brancati-L'uomo e il tempo-mat.da lavoro serie 1.F.H  Marhall e M.Dauron, adattamento. La Nuova Italia Editrice).

martedì 5 dicembre 2023


          L'AGRICOLTURA NELLA STORIA

          "ITALIA FELIX" e  CURIOSITA'

                           Seconda puntata

Alla fine del VII sec.a.c. e all'inizio del VI, la maggior parte della popolazione vive della terra, che è la principale fonte di ricchezza e 
l'agricoltura è la principale attività.
 Il legame tra poesia e natura diventa più forte. TEOCRITO, originario di Siracusa(310-250 a.c), nella sua poesia ci parla dei pastori della propria terra, presentandoli nel loro ambiente naturale. Egli inventa la poesia bucolica( da " bucoloi" che significa pastori). I componimenti bucolici prendono il nome di "idilli". In essi si sviluppa il genere poetico idillico/pastorale, con vere e proprie gare poetiche, che si svolgono nelle campagne tra i pastori, per alleviare la fatica. La natura funge da cornice alle azioni umane. Il paesaggio si distende con i suoi campi ed è rasserenante. Mi immergo in questo mondo magico, perdendo il senso del tempo.
 Ma Esiodo mi scuote, sottolineando che il cammino è , ancora, molto lungo.
Incontriamo, adesso, ARISTOFANE(444 - 388), che ritrae il mondo agricolo di Atene e l'opposizione tra città e campagna, che dura circa 27 anni (dal 431 al 404 a.c.) e vede lo scontro tra Sparta e Atene, per l'egemonia della Grecia (guerra del Peloponneso). Esso cambia il volto della Grecia antica. la civiltà ellenica è distrutta. La guerra e la peste fanno sì che molte persone dalle campagne si riversino in città. Il sovrappopolamento, la mancanza di cibo e di igiene, dovute all'epidemia, provocano la morte di gran parte della popolazione, compresi Pericle, la moglie e i figli. Nella primavera del 422 a.c. Cleone e Brasida, il comandante spartano, perdono entrambi la vita. In breve tempo si giunge alla firma della pace di Nicea. 
Aristofane presenta allora, alle feste Dionisie, la Commedia "La Pace", di grande attualità. Protagonista è un contadino attico, di nome Trigeo "Vendemmiatore", che, esasperato per la durata della guerra, decide di salire al cielo, a cavallo di un enorme scarabeo, per chiedere a Zeus la fine di quel flagello. Il protagonista è un contadino, precisamente un vignaiolo, rappresentante di quella categoria che, più di ogni altra, soffriva della guerra e ne desiderava la fine. Vi sono momenti di struggente poesia , evocatrice della serena vita dei campi. In essi Trigeo  palesa, dal profondo dell'animo, il desiderio di tornare nel suo campo e a dissodare il terreno con la zappa.  (vv.569).(L'attività letteraria nell'antica Grecia.Monaco Casertano Nuzzo.Ed.Palumbo).

Lentamente la vita riprende con le attività ad essa connesse. Le colture principali sono la vite e gli olivi, che forniscono  una grande quantità di olio. Si coltivano anche gli ortaggi, i legumi, le piante aromatiche. Numerosi frutteti con piante di fichi, mandorli, meli e peri allietano i terreni. meno sviluppati sono gli allevamenti, ad eccezione dei cavalli, considerati animali di lusso, e le api che producono miele, unico fornitore di zucchero, e la cera. Importante è la lavorazione del legno, utilizzato per la costruzione di case, navi e attrezzi agricoli. Nella  commedia "Le Vespe" i riferimenti alla campagna attica sono ridottissimi, ma significativi, perché forniscono informazioni sulla vita campestre del tempo. Viene introdotta l'immagine dei raccoglitori di olive, braccianti agricoli salariati, al servizio dei proprietari terrieri, che li utilizzano accanto agli schiavi nel periodo del raccolto (v.d.Biles-Olson 2015). E' una sorpresa per me che pensavo che la figura del bracciante agricolo retribuito fosse più recente.

Esiodo mi invita a proseguire. Lungo il percorso incontriamo SENOFONTE(430 - 354 a.c.) che nasce ad Atene nel 430 a.c. I suoi genitori sono proprietari terrieri. la sua vita avventurosa, la sua simpatia per Sparta, l'amicizia con Socrate gli vale l'esilio da Atene. Rimane nel Peloponneso per 20 anni. Lì diventa proprietario terriero grazie al governo spartano. E', forse, il re Agesilao a regalargli un podere a Scillunte, dove egli si dedica all'agricoltura, alla caccia ,alla pesca e alla composizione delle sue opere letterarie. Vi organizza anche feste. Matura, quindi, un amore per la serena vita di campagna e per l'organizzazione familiare. Parla della vita trascorsa nell'amministrazione della sua tenuta e della cura della terra nell'opera "L'economico", cui si rifà Virgilio nelle Georgiche. L'oiconomicos da iocos= casa e nomos= legge, è un dialogo sull'amministrazione di un azienda agricola. Il dialogo si svolge tra Socrate e il suo discepolo Critobulo, al quale Socrate riferisce quanto appreso da un esperto sull'agricoltura. In realtà Senofonte stesso è un esperto proprietario di terre e per molti anni ha condotto una grande azienda agricola a Scillunte. Nell"Economico" egli dimostra competenza e passione per l'agricoltura, attività che, in quel secolo agitato da lotte politiche, doveva costituire un'allettante alternativa alla vita tumultuosa delle città .

 Interessanti sono le notizie che Senofonte ci dà sulla famiglia e sulla condizione della donna. Sebbene l'uomo e la donna abbiano per natura ruoli diversi, essi sono considerati Esseri di uguale dignità, che hanno bisogno l'uno dell'altro per realizzare il benessere della famiglia e per educare concordemente i figli. La donna, per la prima volta nel mondo greco, è considerata compagna e non schiava del marito: a lei sono affidati, nell'azienda, compiti non meno importanti di quelli che convengono all'uomo. Questo è l'aspetto più moderno dell'0pera e ci permette di farci un'idea del tenore di vita dei Greci nel IV sec.a,c., in particolare, dell'ambiente rurale che era stato trascurato dagli altri scrittori greci.
Nell'ECONOMICO egli fa l'elogio dell'agricoltura, presentando tutti i vantaggi che essa offre, sia sul piano economico, sia su quello della salute fisica e morale, a chi la pratica. Inoltre esalta la caccia, in genere connessa con l'agricoltura, considerandola come attività propedeutica all'arte della guerra, in quanto esercita gli uomini alle fatiche estenuanti, alla veglia, al digiuno e ne irrobustisce il corpo.(R.Di Pilla- L.Roberti.Aionios peghe. Loffredo Napoli).


                              
                                             

                     

  














 


sabato 30 settembre 2023

ITALIA FELIX. Storia dell'agricoltura dall'Età della Pietra fino ai nostri giorni

 L’agricoltura nella storia: “Italia felix” e curiosità

Prima puntata

Incipit

Fin da bambina ho sempre provato una grande attrazione per la terra, intesa come zolle di terra, scure, morbide, cedevoli, pronte ad accogliere le tenere radici delle piantine, che raccoglievo lungo i bordi dei giardini. La mia è una origine contadina, sono, infatti, nipote di Michele De Lisa, nato a Sassano, zona montuosa del Vallo di Diano, territorio prevalentemente agricolo.

Mio nonno, partito con le milizie italiane per la campagna di Russia, durante la prima guerra mondiale, è scomparso senza lasciar traccia di sé. Mia nonna, Carmela Libretti, una delle tante “vedove bianche”, rimasta sola, spesso riuniva intorno al camino noi nipoti e raccontava episodi della sua vita col nonno nel paesello di Sassano, dove molti abitanti erano contadini. Nella prima parte della mia vita, presa dalla mia attività di Docente e poi di Dirigente Scolastica ho avuto poco tempo per dedicarmi ai miei interessi agricoli. Dopo il pensionamento ho potuto impegnarmi nella coltivazione della terra, dopo aver investito nell’acquisto di una piccola proprietà terriera i compensi della mia liquidazione e di quella di mio marito, Arturo Coscioni. Nasce, così, l’idea di accompagnare i piccoli tentativi di un agricoltore in erba, con la storia dell’agricoltura, dalle origini fino ai nostri tempi, con tante imperfezioni, ma con tanto amore.

Ho ritenuto opportuno inserire nel mio Blog “Il Decameron a puntate”, seguito, ormai, da più di due milioni di persone, il lavoro da me svolto in relazione al mondo dell’agricoltura, con tutte le sue sfaccettature. Ho pensato di proseguire con la tecnica del racconto a puntate, in modo da non appesantire troppo la lettura.

 Nell’unire la teoria alla pratica, mi diverto un sacco immaginando di fare uno strano viaggio attraverso il tempo, in compagnia di ESIODO, uno dei più antichi poeti greci. Vive tra l’VIII e il VII sec.a.c. Il padre proviene da Cuma, in Asia Minore, si sposta, poi, in Beozia, dove nascono i due figli, Perse ed Esiodo. Da ragazzo fa l’agricoltore, conducendo una vita dura e laboriosa. Quando muore il padre, gli viene sottratta l’eredità paterna dal fratello, Perse, contro cui sostiene un processo. Scrive “LE OPERE E I GIORNI”, in cui fornisce consigli utili per l’agricoltura e per la vita quotidiana.

 


                                         CAP.I

E’ da tanto che mi ritorna alla mente questo pensiero, cioè seguire, fin dai tempi più antichi la coltivazione della terra, talvolta trascurata e in molti tratti abbandonata. Dai testi di storia ho appreso che nell’età preistorica e nell’età della pietra l’uomo è stato dedito al nomadismo. Non ha avuto una sede fissa, ma si è spostato continuamente. Ha vissuto di caccia e di pesca ed ha raccolto e mangiato radici. AL NEOLITICO, ossia all’ultimo periodo dell’età della pietra, con la fine delle glaciazioni, si fa risalire l’origine dell’agricoltura, e precisamente della capacità di coltivare i terreni. La coltivazione della terra ha favorito il processo di sedentarizzazione della specie umana, lo sviluppo di forme di vita collettive come i villaggi e le città. Si è cominciato ad addomesticare il bestiame, come bovini e capre, che forniscono carne e latte. Si è abbandonato gradatamente il nomadismo. Si è iniziato a lavorare la pietra per costruire i primi utensili come falcetti, vanghe, bastoni da scavo. L’uomo ha modificato il paesaggio naturale e si è verificata la “Rivoluzione agricola”. Le prime zone toccate dalla Rivoluzione sono state la Mesopotamia e la Cina, fino a raggiungere tutta l’Europa, all’incirca nell'anno1000(doc.studenti.it/appunti/storia/neolitico). Fantasmi del passato mi inseguono e mi spingono su una strada impervia. Chiudo gli occhi ed inizio il mio cammino all’indietro. Ed eccomi in un luogo tanto, tanto distante nello spazio e nel tempo. Indietreggiando, indietreggiando giungo nell’età omerica, e precisamente intorno al principio del VII sec. a.C. 

E’ in questa età che faccio l’incontro che tanto desideravo. Mi imbatto, infatti, nel poeta epico ESIODO. Egli è vissuto ad Ascra, nella Beozia. E’ stato contadino e pastore e nel trattato “Le Opere e i Giorni” ha scritto della sua vita modesta e laboriosa. In esso nobilita il lavoro manuale e dà consigli riguardanti l’agricoltura. Nessun incontro poteva essere più gradito per me che, da tempo, cercavo dei punti di riferimento e delle guide sul mondo antico, quando si viveva esclusivamente di agricoltura, di caccia e pesca. 

Sono, ormai, immersa in un mondo incantato e immagino che Esiodo mi prenda per mano e mi porti alla scoperta della vita quotidiana degli uomini nei secoli, con l’esaltazione del lavoro nei campi. Mi parla delle cinque età dell’uomo, dall’età dell’oro, quando l’uomo era felice, senza il bisogno di lavorare, perché la terra produceva spontaneamente tutto quello che gli serviva. Passa, poi, all’età dell’argento, segue l’età degli eroi, ancora l’età del bronzo, ed, infine, l’età del ferro, in cui la mia guida vive. Questa età è caratterizzata dalla sofferenza, dall’ingiustizia e dal fatto che l’uomo deve lavorare per sopravvivere.

 L’opera ha un carattere didascalico e descrittivo. Ha una funzione di utilità pratica, con una serie di consigli sulle attività agricole da svolgere nelle singole stagioni. Esiodo dedica una particolare cura alla descrizione, nei minimi dettagli, del mondo agreste, che conosce perfettamente. Sa che l’agricoltura è, prima di tutto, fatica e lavoro, cui può seguire un momento di gratificazione, dato dal godimento dei frutti del proprio operato. E insieme riflettiamo sulla gioia che prova il contadino quando vede che la pianta ha attecchito e comincia a crescere, fino al momento del raccolto. Questa sensazione “Intender non la può chi non la prova”. 

Ormai sono completamente immersa nel mondo della storia, della fantasia. Mia guida e mio maestro è Esiodo, che mi accompagna e  mi conduce per mano. Nei “ GIORNI”, in cui descrive i vari cicli delle stagioni e dei relativi lavori della campagna, mi fa conoscere la figura del modesto proprietario terriero. Mi fornisce la descrizione del piccolo imprenditore agricolo, che sa coltivare ed amare la sua terra e amministrare l’ordine della famiglia (Wikipedia). Viene esposta una serie di consigli relativi all’agricoltura. Bisogna seminare, spingere l’aratro, badare al raccolto. Ogni opera deve essere compiuta al momento giusto, se non si vuole andar chiedendo pane ai vicini. Bisogna avere in casa un bue e una serva comprata, che curi gli animali (Romagnoli), riporre in ordine tutti gli attrezzi, non rimandare a domani le cose che puoi fare oggi. L’uomo che sempre rimanda non riempie il granaio, l’assidua cura dà frutto. Iniziamo, poco dopo, il lungo viaggio che ci porterà attraverso i secoli a conoscere i più grandi scrittori del passato, che hanno fermato la loro attenzione sui fenomeni della natura e sulla cura della terra. 

Lentamente, passo passo, ce ne andiamo, non volendo trascurare nessuno degli autori più significativi. Esiodo mi spiega che l’inizio della età del ferro sia in Italia che in Grecia vede una grande rivoluzione. L’aratro di ferro e gli altri attrezzi, fabbricati nel nuovo metallo, incrementano l’attività agraria, fino ad allora portata avanti solo con l’uso delle braccia. Si affermano, allora, le piccole comunità agricole, economicamente indipendenti, piccole tenute, possedute da contadini. Piccole opere di irrigazione e canali sono costruiti, in quanto necessari, quasi ovunque. Dopo un anno di coltivazione   la terra viene lasciata a maggese per un altro anno, viene arata in    autunno, in primavera e in estate. La produzione di frumento, lino e verdure viene integrata dall’arbicultura, dall’olivocultura,  dalla viticultura e, specialmente, dalla pastorizia.

                          

          

                                          CAP.II

Nell’età classica nascono le prime tenute capitalistiche, tuttavia le piccole tenute rimangono la regola nella madrepatria e anche in Sicilia (The Oxford Classical Dictonory- trad. ital. Edizioni Paoline). Legata alla vita di campagna è la FAVOLA, di origine umile e popolaresca. Creatore del genere è ESOPO, figura avvolta dalla leggenda. E’ vissuto nel VI secolo a.C. in Frigia. E’ stato uno schiavo, nano, bruno e gobbo. Da questa condizione deriva il carattere della sua favola, testimonianza di chi conosce la povertà e le difficoltà degli umili. Dal popolo di Delfi, accusato ingiustamente di furto, è fatto precipitare da una rupe. Acuto osservatore, adopera le favole degli animali per colpire i vizi degli uomini, con intento morale ed educativo. Il “Corpus di favole”, raccolto da Demetrio, si è ampliato fino a raggiungere il numero di circa 500. La favola esopica viene studiata nelle scuole (Skuola.net). E’ legato alla mia guida, che scrive la favola greca più antica, “L’usignolo e lo sparviero”.

 Mentre ci spostiamo, Esiodo mi parla della favola del contadino, scritta da Esopo. Da essa, probabilmente, deriva la massima  “Contadino, scarpe grosse e cervello fino”. Un contadino che aveva molti campi, sul punto di morire, vuole che i figli curino la terra e si dedichino all’agricoltura. Egli dice << Figli miei, io svanisco dalla vita, ma nella vigna lascio a voi un tesoro.   Scavate e facilmente troverete quello>>. I figli scavano tutta la terra della vigna dopo la sua morte, ma non trovano il tesoro. Frattanto, la vigna scavata produce abbondante frutto. La Favola mostra che il lavoro agricolo è tesoro per gli uomini. Esopo distribuisce perle di saggezza. Indimenticabile è la favola del Topo di campagna e del topo di città:<< un tempo un topo di campagna invitò a cena nella sua povera tana un topo di città, suo vecchio amico, offrì all’ospite, nell’umile mensa, dei ceci e dell’uva secca e ghiande del bosco vicino. Il topo di città toccava a stento il vile cibo con dente superbo e disprezzava i cibi del compagno. Infine esclamò così: “Perché, o amico, fai una vita così misera in campagna? Vieni con me in città, dove troverai una grande abbondanza di cibo raffinato e vivrai beato senza preoccupazioni”. Il consiglio piacque al topo di campagna e si trasferì con il compagno in una magnifica casa di città. Qui, mentre cenavano tranquilli e sicuri e gustavano cibi raffinati, improvvisamente risuonano i latrati dei cani e irrompono i servi. I topi spaventati corrono per tutta la casa e cercano un rifugio. Allora il topo di campagna dice al topo di città “Ciao, amico mio, tu resta in città con i tuoi cibi squisiti, io torno in campagna, alla mia vita povera ma sicura”.(Latino di base.Skuola.Net).

sabato 14 gennaio 2023




"PORTANOVA" CUORE DELLA CULTURA NAPOLETANA

Siamo ormai in dirittura d'arrivo. Finalmente sono stati raggiunti i tanto ambiti due milioni di lettori del "Decameron" di Boccaccio.
Mi ritorna alla mente l'inizio di questa avventura letteraria. Era una fredda giornata invernale, dovevo assolutamente recarmi a Napoli all'Università per incontrare il Prof. di Storia dell'Arte. Erano ormai le ultime battute relative  alla conclusione e alla consegna della tesi di laurea. Mi vestii con molta cura, data l'importanza dell'incontro. Indossai un elegante completo pantalone marrone chiaro. Giunta in sede, parcheggiai e mi avviai al Cortile del Salvatori per l'incontro con il Docente. Egli si complimentò per lo svolgimento del lavoro e diede via libera alle fasi conclusive della stampa e consegna. Uscii felice dall'aula e mi fermai a fumare una sigaretta nello splendido cortile austero e raffinato, che tante volte mi aveva accolto.
Siccome avevo finito presto decisi di inoltrarmi nella Napoli storica alla ricerca di oggetti particolari. Attraversai prima San Biagio dei Librai e poi giunsi alla famosa "Portanova" ,cuore della cultura napoletana. Manco da quella zona da tanto tempo per cui non so quali mutamenti abbia subito. Rivivo con la memoria quella giornata che porterò sempre nell'animo. Quella strada era molto conosciuta nell'ambiente universitario perchè lì si concentravano tutti i librai più antichi della città. Vi era nella zona una tradizione particolare. I nobili napoletani, persone di grande cultura, quando morivano senza eredi, lasciavano libri di gran valore, conservati con  amore nelle biblioteche di famiglia, ai librai di "Portanova". Gli studiosi e gli intenditori, quando volevano trovare opere antiche e pregiate, si recavano in quel luogo, e il più delle volte raggiungevano il loro scopo. Il posto era veramente particolare, in quanto  pieno zeppo di bancarelle, poggiate lungo le mura, affiancate l'una all'altra, lasciando appena un po' di spazio per permettere il passaggio ai visitatori.
Entrata, fui immediatamente travolta dalla frenesia di comprare quanti più libri possibile. Partii dall'Ars Amatoria di Ovidio per passare, poi, alle Odi di Catullo, alle Satire Oraziane, alle Bucoliche Virgiliane con Titiro che riposa ,sdraiato all'ombra di un verde albero, mentre Melibeo deve abbandonare le sue terre. Ero talmente presa dalla ricerca spasmodica dei testi, che mi appoggiai col corpo sulla bancarella, coperta da un leggero telone, sporgendomi per afferrare i volumi più lontani da me. Non mi accorsi che, frattanto, era scoppiata una violenta bufera e continuai, imperterrita, a scavare tra i libri.
Ad un tratto mi sentii tirare da un uomo molto distinto, il quale mi disse molto garbatamente "Signora, la prego, entri nella libreria, lei non si è accorta che sta piovendo a catinelle e si è tutta inzuppata". Mi riscossi, come se mi fossi risvegliata da un sogno. Aiutata dal libraio a portare i libri, entrai in un ambiente senza tempo e, all'ingresso, vidi il Decameron del Boccaccio. Subito afferrai quel volume, che mi aveva sempre affascinato e lo poggiai sul bancone insieme agli altri. Il libraio, frattanto, stilava il conto dei testi che volevo comprare. Quando giunse al Decameron, mi guardò con simpatia e mi disse "Signora, se permette, questo libro vorrei regalarglielo come un omaggio alla cultura". Fui immensamente sorpresa dal dono ed ebbi, al tempo stesso, la conferma della cultura, del garbo e della signorilità dei napoletani veraci. Ebbi così la certezza di dovermi dedicare al lavoro sul Boccaccio e sulla sua Opera, cosa cui già da tempo pensavo. Ormai  il Decameron ha valicato le Alpi e gli Appennini, ha superato i Mari e gli Oceani. Il tutto anche grazie alla libera interpretazione in italiano moderno, operata da me, Luciana De Lisa Coscioni. Tale ardua impresa è stata possibile grazie all'aiuto di mio figlio Francesco Coscioni, NEO Editore. Egli mi ha supportato nell'uso delle nuove tecnologie informatiche che consentono la traduzione simultanea in tutte le lingue. Grazie ad esse non c'è luogo dove non sia giunto il Decameron, come si può vedere dai prospetti forniti da Internet.