giovedì 24 settembre 2015

NONA GIORNATA - NOVELLA N.9

NONA GIORNATA – NOVELLA N.9

Due giovani chiedono consiglio a Salomone, l’uno come possa essere amato, l’altro come debba punire la moglie ritrosa. Il re all’uno risponde che ami e all’altro che vada al ponte dell’Oca.    

Tutti avevano finito di raccontare, ad eccezione di Dioneo, che aveva il privilegio di raccontare per ultimo.
La regina, dopo che le donne ebbero molto riso per lo sventurato Biondello, lieta cominciò a parlare.
Disse che, se si guardava con la mente sana all’ordine delle cose, facilmente si comprendeva che tutta la moltitudine delle femmine dalla natura, dai costumi e dalle leggi era sottomessa agli uomini e doveva comportarsi come essi volevano.
Colei che voleva avere tranquillità e riposo, con gli uomini ai quali apparteneva doveva essere umile, paziente e obbediente, oltre che onesta. Questo era il maggior tesoro di ogni femmina saggia.
Così imponevano le leggi, i costumi e, soprattutto, la natura che le aveva fatte delicate e morbide nei corpi, timide e paurose negli animi, pietose e buone nelle menti.
La natura aveva dato loro poche forze nel corpo, voci piacevoli e movimenti soavi; tutte cose che dimostravano che esse avevano bisogno del governo degli uomini.
Ai loro governatori le donne dovevano obbedienza e rispetto.
Colei che si allontanava da quel principio era degnissima non solo di rimprovero ma di aspro casitgo.
La regina aggiunse che a quella considerazione l’aveva condotta Pampinea con il racconto della ritrosa moglie di Talano, alla quale Dio aveva mandato il castigo che il marito non le aveva saputo dare.
Perciò, a suo giudizio, tutte quelle che si allontanavano dall’essere piacevoli, gentili, obbedienti come la natura, l’usanza e leggi volevano, meritavano un rigido ed aspro castigo.
Desiderava, a tal proposito, raccontare un consiglio dato da Salomone per guarire quelle che erano affette da tale malattia.
Tutte le femmine, anche quelle che non si ritenevano degne di una tale medicina, dovevano ricordare un proverbio che gli uomini usavano spesso “ Buon cavallo e mal cavallo vuole sprone, e buona femmina e mala femmina vuol bastone”.Infatti le femmine tutte erano labili e inclini a peccare.Perciò ,per quelle che andavano troppo al di là di quello che era conveniente, era necessario un bastone che le punisse; mentre , per sostenere la virtù delle altre ed impedire che sbagliassero, era utile un bastone che le sostenesse e le spaventasse.
Tra quelli partì un giovane di nome Melisso, nobile e molto ricco , della città di Laiazzo (Armenia), dove viveva e abitava..
Infine ,la regina, lasciando stare le prediche, cominciò a raccontare che, essendosi diffusa in tutto l’universo la fama della grandissima saggezza di Salomone, il quale elargiva le sue sentenze a chiunque gliele chiedesse, da tutte le parti del mondo accorrevano presso di lui molti per chiedergli consiglio.
Cavalcando verso Gerusalemme, uscendo da Antiochia, si imbattè in un altro giovane, chiamato Giosefo, che faceva il suo stesso cammino ,e proseguì per un tratto insieme a lui.
Durante il viaggio cominciarono a ragionare.
Melisso ,avendo già saputo da dove Giosefo proveniva e la sua condizione, gli chiese dove era diretto e per quale motivo. Giosefo gli rispose che andava da Salomone per chiedergli consiglio su quale via dovesse seguire con la moglie, che era una donna ribelle e cattiva, che non poteva controllare, né con le preghiere, né con le lusinghe.
Il giovane, a sua volta, chiese a Melisso donde fosse, dove andasse e perché.
Melisso rispose che era di Laiazzo ed aveva anch’egli una disgrazia. Spiegò che era ricco e spendeva molto per dare banchetti in onore dei suoi cittadini, ma non riusciva a trovare nessun uomo che gli volesse bene.
Perciò si recava da Salomone per aver consiglio su cosa fare per essere amato.
Dunque i due compagni proseguirono insieme il loro viaggio ed arrivarono a Gerusalemme.
Grazie ad uno dei ministri di Salomone furono condotti dinanzi al re, al quale Melisso, brevemente espose il suo problema. A lui Salomone rispose “ Ama”.Detto ciò Melisso fu rapidamente allontanato.

                                                                                                                                                                 
Venuto il suo turno, Giosefo espose i suoi bisogni e Salomone non rispose nient’altro se non “ Va al ponte dell’Oca”. Anch’egli fu rapidamente allontanato dalla presenza del re.Ritrovò Melisso che lo aspettava e gli disse la risposta che aveva avuto.
Pensando e ripensando, i due giovani non riuscivano a comprendere le parole del re e, delusi, si misero in cammino per il ritorno.
Dopo aver camminato per alcuni giorni, giunsero ad un fiume, sul quale era un bel ponte, su cui stava passando una gran carovana di carichi sopra muli e cavalli.
Dovettero fermarsi per far passare tutte le bestie, con i loro carichi. Erano quasi tutte passate, quando un mulo, per caso, si adombrò, come talvolta accadeva, e non voleva in nessun modo passare avanti.; il mulattiere, preso un bastone, cominciò a batterlo, assai cautamente, perché passasse il ponte.
Ma il mulo, ora mettendosi di traverso, ora tornando indietro, per nessuna ragione voleva passare. Allora il mulattiere si adirò moltissimo e cominciò a colpire il mulo col bastone con grande violenza, ora sulla testa, ora sul groppone, ma era tutto inutile.
Vedendo ciò, Melisso e Giosefo, che stavano a guardare, dicevano al mulattiere “ Cattivo, che fai, lo vuoi uccidere? Cerca di menarlo bene e delicatamente, vedrai che verrà, piuttosto che bastonarlo ,come fai tu”.
Ad essi il mulattiere rispose “ Voi conoscete i vostri cavalli e io conosco il mio mulo: lasciate fare a me con lui”. Così detto continuò a bastonarlo e tante gliene dette che il mulo passò avanti e il mulattiere ebbe la meglio.
Mentre stavano per partire, Giosefo domandò a un buon uomo che sedeva all’inizio del ponte, come si chiamava quel luogo, ed egli rispose “ Messere, qui si chiama il ponte dell’Oca”.
Come Giosefo udì, ricordò le parole di Salomone e rivolgendosi a Melisso, disse “ Ora, compagno, comprendo che il consiglio datomi da Salomone potrebbe essere buono e vero. Io, per il passato, non sapevo battere la mia donna, ma questo mulattiere mi ha mostrato quello che debbo fare”.
Giunti ,dopo molti giorni, ad Antiochia, Giosefo ritenne opportuno che Melisso si fermasse a casa sua alcuni giorni per riposarsi.
Accolto freddamente dalla moglie, le disse di preparare la cena, come Melisso desiderava.
Melisso accettò l’invito per compiacere l’amico e , con poche parole, fece le sue richieste.
La donna, come era solita nel passato, fece tutto il contrario di quello che Melisso aveva chiesto.
Giosefo, vedendo ciò, le chiese perché non aveva preparato la cena, come Melisso aveva disposto.
La donna, con arroganza, rispose “ Che vuol dire questo ? perché non ceni, se vuoi cenare ? anche se mi fu detto diversamente, a me piacque di fare così; se ti piace, mangia, se no fanne a meno”.
Melisso si meravigliò della risposta della donna e la biasimò molto.
Giosefo, udendo , disse “ Donna, anche se questa è la tua abitudine, credimi, ti farò mutare modo “.
E ,rivolto all’altro, aggiunse “ Amico, subito vedremo se è stato valido il consiglio di Salomone. Ti prego di non infastidirti, di stare a vedere e di ritenere un gioco quello che farò. Perché tu non mi trattenga, ricordati della risposta che ci diede il mulattiere quando ci rammaricammo per il suo mulo “.
Giosefo, trovato un bastone di quercia giovane, andò in camera, dove si era recata la donna, alzatasi da tavola, brontolando stizzosa. Afferratala per le trecce, la buttò a terra e cominciò a batterla fortemente con il bastone.
La donna cominciò a gridare e a minacciare, poi, vedendo che il marito non si fermava, già tutta indolenzita, iniziò a pregare Dio che non la uccidesse, dicendo che l’avrebbe sempre accontentato.
Giosefo non smetteva di picchiarla, anzi con più furia la colpiva ora per il costato, ora per le anche, ora per le spalle. Si fermò soltanto quando fu stanco.
Per dirla in breve, non rimase alla buona donna, nessuna parte del corpo che fosse sana.
Fatto ciò ,andò da Melisso e gli disse “ Domani vedremo che risultato avrà il consiglio del “Va al ponte dell’Oca” ”.
Si riposò un poco, poi si lavò le mani, cenò con l’amico ed ,infine, se ne andarono a dormire.
La donna, meschina, a gran fatica si alzò da terra e si gettò sul letto, dove si riposò ,come meglio poteva.
La mattina seguente, svegliatasi molto presto, fece domandare a Giosefo cosa voleva per pranzo.
Il marito, ridendo con Melisso, lo ordinò.
Quando fu l’ora di desinare trovarono ogni cosa fatta ottimamente e secondo l’ordine dato. Per cui lodarono il consiglio di Salomone , che ,prima, non avevano ben compreso.
Dopo alcuni giorni, Melisso lasciò Giosefo e ritornò a casa sua.
Raccontò ad un uomo saggio il consiglio che aveva avuto da Salomone e il saggio disse “ Non poteva darti consiglio migliore. Tu non ami nessuna persona, ma i banchetti e i servigi che fai, non li fai per amore verso qualcuno, ma per ostentazione ; ama, dunque, come ti disse Salomone, e sarai riamato “.
Così, dunque, fu punita la ritrosa e il giovane, amando, fu amato.











giovedì 17 settembre 2015

NONA GIORNATA - NOVELLA N.8

NONA GIORNATA – NOVELLA N.8

Biondello fa una beffa a Ciacco a proposito di un pranzo; della quale si vendica cautamente Ciacco, facendolo picchiare.

Tutti i componenti dell’allegra compagnia furono d’accordo nell’affermare che quello che Talano aveva veduto, mentre dormiva, non era un sogno, ma una visione, che si era avverata , senza che mancasse alcuna cosa.
Quando tutti tacquero, la regina ordinò alla Lauretta di continuare.
E la donna disse che, come tutti gli altri in quel giorno avevano preso spunto da cose già dette, così ella, prendendo spunto dalla vendetta dello studente, raccontata da Pampinea, avrebbe narrato di un’altra vendetta, molto pesante per chi la subì, anche se non tanto crudele.
Iniziò dicendo che vi era in Firenze un tale, da molti chiamato Ciacco, uomo ghiottissimo quanto nessun’altro mai.
Non avendo la possibilità di sostenere le spese che la sua ghiottoneria richiedeva, essendo un uomo garbato e pieno di spirito, cominciò a fare ,non l’uomo di corte, ma il motteggiatore, e a frequentare i ricchi ,che si dilettavano a mangiare cose buone.Con questi andava assai di frequente a pranzo e a cena, anche quando non era invitato.
Viveva, in quei tempi, in Firenze, uno di nome Biondello, piccoletto di persona, molto carino, pulitissimo, come una mosca, con una cuffia in capo, con una zazzaretta bionda, senza mai un capello fuori posto, il quale faceva lo stesso mestiere di Ciacco.
Egli, mentre era andato a comprare due lamprede per messer Vieri de’ Cerchi (capo del partito dei guelfi bianchi), fu visto da Ciacco, che gli chiese perché aveva comprato quel pesce.
Biondello gli rispose che lo aveva comprato per ordine di messer Corso Donati (capo del partito dei guelfi neri), che la sera prima aveva avuto in dono tre lamprede più belle di quelle e uno storione. Siccome doveva fare un pranzo per alcuni gentiluomini, erano poche, perciò gliene aveva fatte comprare altre due.
Gli chiese, poi, se andasse anch’egli.
Ciacco rispose “ Sai bene che verrò”.
Al momento opportuno ,Ciacco si presentò a casa di Corso Donati e lo trovò con alcuni vicini.
Corso gli chiese cosa andasse facendo e Ciacco gli rispose che era andato a mangiare con quella comitiva.
Corso gli diede il benvenuto e se ne andarono tutti insieme a pranzo.
A tavola furono serviti loro dei ceci e del tonno ed infine del pesce dell’Arno fritto, senza niente altro.
Il ghiottone, accortosi dell’inganno di Biondello; si adirò e si propose di fargliela pagare.
Pochi giorni dopo incontrò Biondello ,che aveva già raccontato a molti di quella beffa.
Biondello lo salutò e gli domandò come erano state le lamprede di messer Corso.
Ciacco gli rispose “Prima che passino otto giorni, tu me lo saprai dire meglio di me”.
Senza indugio, allontanatosi dal beffeggiatore, si recò da un imbroglione e stabilì il prezzo per uno scherzo.
Gli diede un bottiglione di vetro e lo condusse vicino alla loggia dei Cavicciuli. Gli mostrò un cavaliere, chiamato Filippo Argenti, uomo grande, grosso e forzuto, iracondo e bizzarro più di ogni altro.
Gli disse di andare da lui con il fiasco in mano e di dirgli “ Messere, mi manda Biondello per pregarvi di riempirlo del vostro buon vino vermiglio, perché si vuole divertire con i suoi amici ubriaconi”.
Gli raccomandò di non farsi mettere le mani addosso, perché Filippo gli avrebbe procurato un malanno, guastando tutti i programmi.Gli promise che l’avrebbe pagato al ritorno.
Il faccendiere andò e fece a messer Filippo l’ambasciata.
Messer Filippo , pensando che Biondello, da lui ben conosciuto, lo volesse beffare, adirato disse “ Che riempire il fiasco, che ubriaconi sono questi? Che Dio maledica te e lui”.
Si alzò in piedi e cercò di afferrare l’imbroglione che fuggì via, ritornò da Ciacco, che aveva visto tutto, e gli riferì ciò che messer Filippo aveva detto.
Ciacco, contento, pagò l’imbroglione e non si diede pace finché non ritrovò Biondello, al quale chiese se, per caso, fosse andato di recente alla loggia dei Cavicciuli. Aggiunse che sapeva che messer Filippo lo stava cercando, ma non sapeva per quale motivo.
Biondello si allontanò e Ciacco lo seguì per vedere come andassero le cose.
Messer Filippo non aveva potuto raggiungere il messaggero e si tormentava perché, come sembrava dalle parole riferitegli, Biondello si beffava di lui.
Mentre si tormentava, giunse Biondello.
Come Filippo lo vide, gli andò incontro e gli diede un gran pugno sul viso.
Biondello, sorpreso, gli chiese il perché di quel pugno.
Messer Filippo, presolo per i capelli, gli stracciò la cuffia dal capo, gli gettò il cappuccio a terra e lo colpì con violenza, dicendogli “ Traditore, mi mandi a dire di riempirti un fiasco del mio vino vermiglio perché ti devi divertire con i tuoi compagni ubriaconi? Ti sembro giovane da essere beffato?”.
E così dicendo, con dei pugni, che parevano di ferro, gli ruppe tutto il viso e non gli lasciò sul capo nemmeno un capello che stesse a posto; lo buttò nel fango e gli stracciò tutti i panni di dosso. E tanto si impegnò a colpirlo che lo sventurato non potè dire una sola parola, né chiedergli perché facesse ciò.
Biondello aveva ben capito le parole “ Arrubinatemi” e  “zanzeri” per cui Filippo si era infuriato, ma non sapeva che volesse dire.
Alla fine, dopo che Filippo si era sfogato, gli tolsero dalle mani il malcapitato, arruffato e malconcio, al quale spiegarono perché messer Filippo l’aveva colpito.
Biondello, piangendo, si scusava e diceva che non aveva mai mandato a chiedere del vino a messer Filippo.
Poi, dopo che si fu un po’ ripreso, triste e sconsolato, se ne tornò a casa, sospettando che fosse stata tutta opera di Ciacco.
Dopo molti giorni, scomparsi i lividi dal viso, cominciò ad uscire di casa e incontrò Ciacco che gli chiese  “Biondello, come ti è sembrato il vino di messer Filippo?”.
Biondello rispose “ Come sono sembrate a te le lamprede di messer Corso !”.
Allora Ciacco aggiunse “ Dipende da te ormai, qualora tu vuoi dare così bene da mangiare a me ,come facesti, io darò a te così bene da bere, come avesti”.
Biondello, che sapeva che contro Ciacco poteva più pensare che fare alcunchè, gli augurò buona fortuna e, da quel momemto in poi, si guardò bene dal beffarlo.



giovedì 10 settembre 2015

NONA GIORNATA – NOVELLA N.7

Talano di Imola sogna un lupo che squarcia tutta la gola e il viso della moglie; le dice di stare attenta; ella non lo fa ,e le succede.

Finita la novella di Panfilo, tutti commentarono la prudenza della donna.
Subito dopo, la regina invitò Pampinea a raccontare la sua.
Ella incominciò dicendo che altre volte avevano già ragionato tra loro della veridicità dei sogni.
Sebbene ne avessero già parlato, pure voleva narrare, con una novelletta assai breve, quello che era capitato, non molto tempo prima, ad una sua vicina, perché non aveva voluto credere ad un sogno fatto su di lei dal marito. Non sapeva se conoscevano Talano l’imolese, uomo assai onorevole.
Egli aveva presa in moglie una giovane, chiamata Margherita, particolarmente bella, ma sopra tutte le altre bizzarra, sgradevole e capricciosa, al punto che non voleva fare nessuna cosa secondo il parere di un’altra persona, né altri poteva farlo secondo il giudizio di lei.
Sebbene ciò fosse difficile da sopportare, Talano, non potendo fare altro, stava zitto.
Una notte, essendo andato con Margherita in campagna, in un loro possedimento, mentre dormiva ,gli sembrò di vedere in sogno la moglie andare in unn bosco molto bello, che essi avevano, non lontano dalla loro casa.
Mentre la vedeva camminare nel bosco, gli sembrò che da una parte del bosco uscisse un lupo grande e feroce, il quale si avventò alla gola della donna, la buttò a terra e si sforzava di trascinarla via, mentre gridava, chiedendo aiuto. La donna, poi, uscitagli dalla bocca, era rimasta con la gola e il viso dilaniati.
Talano, al mattino, svegliatosi, disse alla moglie “ Donna, sebbene la tua scontrosità mi ha impedito di trascorrere un solo giorno sereno con te, pure mi addolorerei molto se ti capitasse qualche incidente.
Perciò, se vuoi ascoltare il mio consiglio,oggi non uscire di casa”.
Interrogato da lei del perché, le raccontò, per filo e per segno, il suo sogno.
La donna, scrollando il capo, disse “ Chi mal vuol, mal sogna. Tu fingi di preoccuparti per me, ma sogni quello che vorresti mi capitasse. Sicuramente mi guarderò bene di non rallegrarti per questo mio male, né per altri mali”.
Talano rispose che sapeva bene che ella gli avrebbe risposto così, che facesse come voleva. Le consigliava, tuttavia, di rimanere a casa quel giorno, o almeno di non andare nel loro bosco.
La donna disse che l’avrebbe ascoltato, ma cominciò a dire tra sé che forse il marito la voleva spaventare per impedirle di andare nel bosco, perché si era dato appuntamento con qualche donnaccia e non si voleva far trovare da lei. Non sarebbe stata così sciocca da credergli. Sicuramente non l’avrebbe ascoltato; ma era opportuno che vedesse che affare il marito stava tramando, anche a costo di rimanere tutto il giorno nel bosco.
Detto ciò, come il marito uscì da una parte della casa, ella uscì dall’altra.
Senza alcun indugio, di nascosto, se ne andò nel bosco e si nascose nella parte più folta di esso, guardandosi intorno per vedere se veniva qualcuno.
Mentre se ne stava tranquilla, ecco uscire da una folta macchia vicino a lei un lupo grande e feroce.
Il lupo le si avventò alla gola, senza che la sventurata potesse nemmeno chiedere aiuto a Dio, e, afferratala con forza, cominciò a trascinarla come se fosse stata un piccolo agnellino.
 Ella non poteva gridare per la stretta alla gola, né aiutarsi in nessun modo.
Il lupo l’avrebbe sicuramente strangolata, se non si fosse scontrato con alcuni pastori, che lo costrinsero a lasciarla, minacciandolo.
I pastori la riconobbero e la portarono , ferita e sanguinante, a casa sua, dove , dopo lungo tempo, fu guarita dai medici.
Rimase, comunque, deturpata ,orribilmente, nella gola e nel viso, che prima era bellissimo.
 Ella, vergognandosi di essere vista, pianse molto per la sua scontrosità e per non aver voluto credere al sogno veritiero del marito, sebbene non le costasse nulla.