sabato 20 aprile 2024

 


 

          L'AGRICOLTURA nella STORIA

          "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                     Tredicesima puntata

Mentre continuiamo il cammino, gli scrittori discutono di come, frattanto, la società romana si sia trasformata. si assiste, infatti, alla conquista, da parte romana di immensi territori. Inoltre, i contatti con popolazioni tanto diverse per tenore di vita e per costumi, aprono una triplice profonda crisi: 1) in campo morale; 2)in campo economico; 3)in campo politico. 

1)CRISI MORALE. La raffinatezza dell'arte e della cultura greca, unita alla mollezza e al lusso dei popoli orientali, contribuiscono, in modo decisivo, ad allontanare i Romani da quella semplicità di vita e di costumi che essi avevano ereditato dagli avi. Il contatto con la cultura ellenistica greca, inoltre, favorisce il sorgere in loro, dopo tanti anni di guerre e di duri sacrifici, dell'irresistibile desiderio di un vivere più comodo........Con evidente danno dell'antica sobrietà e del tradizionale attaccamento alla famiglia e alla terra.

2)CRISI ECONOMICA. Altra conseguenza delle grandi conquiste è l'improvviso afflusso di ricchezze dalle provincie, a tutto vantaggio dell'aristocrazia senatoria. Questa, infatti, si è enormemente arricchita attraverso la spartizione delle prede belliche e delle terre conquistate. Una gran parte di queste è andata a finire nelle mani degli aristocratici, dando origine ad immensi latifondi. D'altro canto, si verifica un progressivo impoverimento dei piccoli proprietari. Costoro, infatti, mal compensati per il servizio militare prestato, esclusi quasi del tutto dalla spartizione del bottino di guerra, sono stati costretti ad abbandonare le loro terre e a cederle ai ricchi. Non resta loro che o vendere i propri campi e, a paga bassissima, lavorare a giornata, come "braccianti" presso un grande latifondista; o diventare "coloni" del nuovo proprietario, contentandosi di avere, come ricompensa, un'ottava parte del raccolto; oppure cercare rifugio in città (urbanesimo), per vivervi una vita grama, attendendo le pubbliche elargizioni di grano. I piccoli proprietari, divenuti nullatenenti, sono esclusi dalla milizia.

3)CRISI POLITICA. Si è formata, nel frattempo, una terza classe di cittadini, di origine modesta, ma ricca, quella dei "Cavalieri", che pratica anche una intensa attività commerciale, vietata ai senatori dalla legge. La classe dei cavalieri costituisce ,dunque, l'aristocrazia del danaro, ben presto rivale dell'aristocrazia terriera e senatoriale. Si ha, inoltre, in città la presenza di una gran massa di avventurieri nullafacenti, affluiti dalle regioni vicine e lontane, creando il fenomeno dell'urbanesimo parassitario. I due fratelli, Tiberio e Caio Gracco, tentano di rimediare alla preoccupante situazione. Tiberio, eletto tribuno della plebe nel 133 a.C., propone di ripartire fra i cittadini poveri le terre dell'agro pubblico, di cui si erano appropriati illegalmente i grandi latifondisti. Spera, così, di risollevare le sorti dell'agricoltura italiana, di ricostruire la classe dei piccoli proprietari terrieri e liberare la città dai facinorosi e dagli oziosi. Nonostante le resistenze dei patrizi, Tiberio riesce a far approvare il provvedimento dai Comizi. Ma ci sono tumulti ed agitazioni in cui Tiberio viene ucciso. Dieci anni dopo, nel 123 a.C. Caio Gracco riprende e porta a termine il programma del fratello. Fa, infatti, confermare la legge agraria ed ottiene la distribuzione di terre ai cittadini poveri e la fondazione di colonie nelle provincie con lo scopo di sfollare la capitale ( A. Brancati. L'uomo e il tempo. La Nuova Italia Editrice). 

sabato 6 aprile 2024

 



            L'AGRICOLTURA nella STORIA

           "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                      Dodicesima puntata

Della sua ricca produzione letteraria ci parla il nipote PLINIO IL GIOVANE, che, frattanto, si è avvicinato a noi e partecipa alla conversazione. Ci dice che è nato a Como, nel 61, da una ricca famiglia equestre. E' rimasto orfano di padre a soli nove anni. E' stato adottato dallo zio Plinio il Vecchio, al quale è rimasto molto legato. Venuto a Roma, ha ricoperto molte cariche pubbliche, finché è giunto al consolato. Delle opere di PLINIO la principale è L'EPISTOLARIO, che consta di 10 libri, dei quali i primi nove sono costituiti da lettere agli amici, il decimo contiene la corrispondenza con Traiano, durante il governo di Plinio nella Bitinia.

 Plinio ci racconta un episodio che fa parte dell'Epistolario e merita di essere conosciuto per la sua originalità e perché riguarda l'amore per la natura marina. " IL DELFINO d'IPPONA"- C. Plinio al caro Caninio. <<C'è, in Africa, la colonia d'Ippona, vicino al mare. Si stende vicino ad essa un lago navigabile: da questo, a guisa di un fiume, esce un canale, il quale, alternativamente, a seconda che la marea lo frena o lo sospinge, ora si versa in mare, ora ritorna nel lago. Qui, gente di ogni età è presa dal desiderio di pescare, di navigare e, anche, di nuotare, soprattutto i ragazzi. Per costoro è vanto e merito inoltrarsi, quanto più possibile, in alto mare; vince colui che lascia il più dietro possibile sia il lido, sia i compagni di nuoto. In questa gara un fanciullo, più coraggioso degli altri, cercava di spingersi più avanti. Gli venne incontro un delfino, ed ora precedeva il fanciullo, ora lo seguiva, ora gli girava intorno, infine lo prendeva in groppa, lo metteva giù, lo prendeva di nuovo e lo portava tremante prima in alto mare, poi, si volge alla spiaggia e restituisce il fanciullo alla terraferma e ai suoi compagni. La nuova si sparge per la colonia: tutti accorrevano, guardavano il fanciullo stesso come una cosa strana, lo interrogavano, lo ascoltavano, raccontavano ad altri. Il giorno dopo affollano la spiaggia, guardano il mare e ciò che ha parvenza di mare. I ragazzi si mettono a nuotare, tra costoro vi è quello, ma avanza con maggior cautela. Il delfino, alla stessa ora, va di nuovo dal fanciullo. Egli fugge con tutti gli altri. Il delfino, come se lo invitasse, lo richiamasse, balza fuori, s'immerge, fa e disfa' diverse giravolte. E ciò al secondo giorno, al terzo, per più giorni, finché la vergogna della paura subentrò in quella gente, cresciuta in mare. Gli si accostano, giocano insieme, lo chiamano, lo toccano persino, lo accarezzano mentre si offriva loro. Provando e riprovando, cresce il loro coraggio. Specialmente il fanciullo ,che per primo lo provò, nuota accanto a lui, che nuota, gli salta sul dorso, è portato e riportato indietro, crede di essere da lui riconosciuto, di essere benvoluto, egli stesso gli vuole bene; nessuno dei due ha paura, nessuno dei due fa paura: aumenta la fiducia di questo, la dimestichezza di quello. Ed anche gli altri fanciulli, a destra e a sinistra, vanno insieme dando avvisi e incoraggiamenti. Andava insieme, (anche questo è strano), un altro delfino, ma solamente come spettatore e compagno. infatti non faceva né si lasciava fare niente di simile, ma accompagnava e riaccompagnava indietro quell'altro, come gli altri fanciulli accompagnavano e riaccompagnavano quel fanciullo. E' tuttavia tanto vero quanto i fatti precedenti, che quel delfino che portava i ragazzi e giocava con loro, era anche solito venire sulla spiaggia e, asciugatosi con la sabbia, appena si era riscaldato, si rituffava. Costa che Ottaviano Avito, luogotenente del proconsole, per una sciocca superstizione, versò un unguento sopra il delfino uscito sulla spiaggia e che esso fuggì il suo insolito odore immergendosi in alto mare, né fu più visto se non dopo molti giorni, languido e mesto, e che ritornategli le forze, ripigliò la precedente gaiezza e i soliti gesti. Accorrevano allo spettacolo tutti i magistrati, per la cui venuta e permanenza il piccolo Comune era rovinato dalle nuove spese. infine, il luogo stesso veniva a perdere la sua tranquillità e solitudine. Fu deciso di uccidere di nascosto l'animale, al quale tutti accorrevano> (epist. IX, 33).( F.Villa, C.Piazzino. Maiorum Sermo. V.II Ed. Paravia).                               

sabato 23 marzo 2024



                   L'AGRICOLTURA nella STORIA

         "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                    undicesima puntata

Ecco che arriva un altro personaggio della Storia Romana a noi molto caro, è PLINIO IL VECCHIO. E' legato a momenti drammatici della nostra terra, quali l'eruzione del Vesuvio, nel 79 d.C. e il terremoto che distrusse Pompei, Stabia ed Ercolano. E' nato a Como, nel 23 d. C. ed è vissuto sotto Claudio, Nerone e Vespasiano. Ha rivestito varie cariche pubbliche e militari. E' morto nel 79 d.C. E', allora, comandante della base navale di Miseno. Si imbarca per portare aiuto alle popolazioni e per osservare il fenomeno da vicino. Muore, forse, intossicato dal fumo. Di lui ci è pervenuta la "NATURALIS HISTORIA", in 37 libri, un'opera enciclopedica che tratta di cosmologia, geografia, antropologia, zoologia, sostanze medicinali, metallurgia e mineralogia. Scrive della natura e della vita, anche negli aspetti più umili, usando spesso termini rustici. Da ampio spazio ai  "mirabilia", fatti straordinari, riportati dalla letteratura greca (Scuolanet/lett.latina-età imperiale/Plinio il Vecchio).Il libro XIV della "Naturalis Historia" tratta della VITE e dell'ULIVO. Dopo l'introduzione, Plinio comincia a parlare della vite e della supremazia dell'Italia nella produzione di questa pianta. Fa, poi, una classificazione delle varie qualità di uva, prodotto tipicamente italiano. Ci parla, prima di tutto, di un vitigno, cui dà il nome "cauda vulpium", perché la parte terminale del grappolo ha una curiosa forma leggermente ricurva, tale da farlo somigliare ad una coda di volpe  (sembra che di questo vitigno ci ha parlato anche Columella, dandogli il nome di "Aminea gemina"). Inizia, quindi, la seconda parte, dedicata al vino, con notizie riguardanti i vini omerici e i vini preferiti dalla famiglia di Augusto. Poi si enumerano i vini italiani, gallici, spagnoli e quelli d'oltremare. L'autore apre, inoltre, uno spaccato sull'uso sacrale del vino. La terza parte è dedicata alla vinificazione, cioè al trattamento del mosto e alla conservazione del vino. Il libro si conclude con una digressione moralistica contro l'ubriachezza e le  sue conseguenze. Nel libro XVII, dedicato alla arboricultura, si sofferma sull'esposizione delle vigne, sull'innesto e i metodi di coltura, sulle malattie della vite. Nel libro XXIII scrive degli usi medicinali della vite e dell'uva. Punti di riferimento sono per lui il "De agricultura" di Catone, l'opera di Columella e, ancora , le "Georgiche" virgiliane. Sempre nel libro XIV Plinio precisa che alle donne non è consentito bere il vino. Troviamo tra gli esempi che la moglie di Egnatio Maetenno fu uccisa dal marito perché aveva bevuto il vino dalla botte e che quello fu assolto da Romolo per la strage. Fabio Pictor scrive nei suoi Annali che una matrona fu costretta dai suoi a morire di fame perché aveva visto i loculi nei quali erano le chiavi delle celle dei vini. Due sono i liquidi (liquores) graditissimi ai corpi umani, i vini e gli olii, entrambi del genere degli alberi.( Traduzione e note di Andrea Aragosti). Della sua ricca produzione letteraria è rimasto ben poco.

mercoledì 13 marzo 2024



          L'AGRICOLTURA nella STORIA

          "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                         decima puntata

Alla poesia bucolica si dedica sotto Nerone, TITO CALPURNIO SICULO. Della sua vita non sappiamo nulla, neanche se fosse chiamato Siculus perché siciliano o perché cultore  della poesia teocritea : Teocrito era di Siracusa. Abbiamo, però, sette ecloghe sue che ricalcano da vicino- sia nel contenuto che nello stile- le Bucoliche di Virgilio, e riprendono alcuni spunti direttamente da Teocrito. Calpurnio esalta l'imperatore e la sua politica: l'età dell'oro non è stata quella di Augusto, ma quella di Nerone. La speranza degli umili in un mondo migliore è espressa in versi accurati, animati, a volte , da un pathos sincero. " Regnerà una quiete perfetta, ignara di armi impugnate essa porterà un'altra volta nel Lazio il regno di Saturno, un'altra volta il regno di Numa, che per primo alle schiere esultanti di strage, e ancora ardenti nell'accampamento di Romolo, insegnò le opere della pace e ordinò che le trombe, tacendo le armi, nei riti sacri suonassero e non nelle guerre". (Calpurnio Siculo,Bucol.1,63 sgg.). 

L'attività tradizionale dei ricchi- la conduzione delle grandi proprietà terriere- è abbandonata, sia perché si sono formati enormi latifondi, a cui non potevano provvedere direttamente i proprietari, sia per una nuova e diversa valutazione dell'importanza sociale della ricchezza. A nulla valgono gli sdegnati lamenti del tradizionalista Columella (storia e testi della letteratura latina. A cura di I. Mariotti. Da Tiberio a Traiano. Zanichelli editore Bologna).

 Mentre ci intratteniamo piacevolmente, ecco venire verso di noi un uomo che non mi sembra di conoscere. Esiodo corre in mio aiuto e mi dice che è QUINTO GARGILIO MARZIALE, nativo di Anzia nella Mauretania. Di lui si hanno poche notizie, è autore di un'opera di agricoltura, in cui tratta dell'efficacia medicinale delle piante e di argomenti di veterinaria. Di essi sono conservati scarsi frammenti nel IV libro della "Medicina Plinii" con il titolo di "Medicinae ex olearibus et pomis ". (Treccani.it/enciclopedia). 

Invece, quello che tutti conosciamo bene, è MARCO VALERIO MARZIALE, nato a Bilbilis, nella Spagna tarragonese nel 40 d.C. muore nel 104 d.C. Attratto dalla vita della città, si è recato a Roma, lasciando la vita di provincia. Inizialmente ha avuto come protettore Seneca, ed ha svolto il ruolo di "cliente", lamentandosi, costantemente, nella sua poesia, dell'avarizia dei padroni. Dopo il fallimento della congiura dei Pisoni, compone il "Liber de spectaculis", che celebra gli spettacoli di Tito in occasione dell'inaugurazione del Colosseo. Dopo la composizione degli "Xenia" e "Apophoreta" scrive 12 libri di EPIGRAMMI, che gli danno grande successo. La fama , ottenuta con epigrammi adulatori, gli fa avere, da parte degli imperatori Tito e Domiziano concessioni e privilegi. 

Vive, poi, per un certo tempo, a Roma, dove, nell'84, gli è stato donato un terreno agricolo nei pressi di Nomentum, dove si reca nei periodi primaverili ed estivi. E' vissuto a Roma fino al 98, poi è ritornato in Spagna. A Bilbilis, una ricca vedova di nome Marcella, ammirata dalla sua arte, gli ha regalato una casa e un podere. E' morto a Bilbilis nel 104. 

Quella di Marziale è stata un'esistenza misera e scontenta. E' diventato anche proprietario di una casetta sul Quirinale e di un piccolo podere nei dintorni di Roma. Non è riuscito, comunque mai, a raggiungere l'agognata agiatezza. La nostalgia della natia Bilbilis e l'aspirazione ad una vita agreste e solitaria è rimasta nel fondo della sua anima ed egli ha conservato sempre una vena rustica e intimistica  (L.Perelli. Storia della letteratura latina Paravia).





  

martedì 5 marzo 2024

 



            L'AGRICOLTURA nella STORIA

             "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                            Nona puntata

Ed ecco venir verso di noi un terzetto di scienziati, che discutono animatamente. Si tratta di LUCIO GIUNIO MODERATO COLUMELLA, POMPONIO MELA e AULO CELSO. Devo confessare che io conoscevo molto poco questi autori, per cui, quando ci sono venuti incontro, mi sono affrettata a documentarmi. 

Ho appreso che LUCIO COLUMELLA è nato a Gades, in Spagna, il 4 d.C. ed è morto a Taranto nel 70. Dopo essere stato nell'esercito, ha iniziato la sua vita di fattore e si è stabilito in Italia, dedicandosi alle sue vaste proprietà terriere. il trattato "DE RE RUSTICA", in dodici libri, è il più ampio che l'antichità ci ha tramandato sull'agricoltura. Quello che noi conserviamo è la seconda edizione, ampliata, composta sotto Nerone. Abbiamo, inoltre, un libro "DE ARBORIBUS". Columella esamina, organicamente e dettagliatamente, tutti gli aspetti del mondo contadino, dal fondo rustico alla vita dei campi, dall'arboricultura all'allevamento del bestiame e delle api, dal giardinaggio ai compiti del fattore e della fattoressa. Ci parla, in particolare, di un vitigno "l'Aminea gemina", così detto per i suoi grappoli d'uva accoppiati, da cui si ottiene un vino austero e durevole. Esso ha origini antichissime ed è stato portato in Italia dalla lontana Tessaglia. Ha trovato in Irpinia un terreno particolarmente idoneo, in quanto vulcanico. Tale vitigno è detto "Greco" (Avellino e la sua provincia. Monografie d'Italia-Clementi editore).  

Columella ha idee sue e fa appello alla propria esperienza. Si propone, in primo luogo, di rivalutare l'agricoltura italica, che non  riesce a far fronte alle esigenze della popolazione-si preferisce importare dalle provincie- e condanna lo scarso impegno dei grandi proprietari. I precetti sono dettati dal buon senso della cultura contadina, e del suo autoritarismo, ancora vivo nei detti e nelle canzoni popolari. 

Così per la scelta della "mogliera" ;<<se te la pigli troppo bella/ti ci vuole la sentinella/se te la pigli troppo brutta/ci rimani a bocca asciutta>>. Ecco cosa dice lo scrittore a proposito di questa scelta :<<La massaia....... prima di tutto deve essere giovane, cioè non troppo fanciulla, per le stesse ragioni che ho esposto a proposito dell'età del massaro; e inoltre di salute perfetta e di aspetto non ripugnante. Non occorre, invece, che sia una bellezza! La forza fresca e intatta le permetterà di sostenere le veglie e le altre fatiche. La troppa bruttezza allontanerebbe il compagno, mentre la troppa bellezza renderebbe costui fiacco e pigro. Dobbiamo dunque preoccuparci di avere un massaro che non vada cercando avventure di qua e di là, dal sonno, dagli uomini ma e abbandoni la campagna assegnatagli e nello stesso tempo non se ne stia tutto il giorno attaccato a lei. Però non sono solo queste le qualità che dobbiamo cercare nella massaia. Bisogna preoccuparsi, particolarmente, che sia lontanissima dal vino e dai piaceri della gola, dalle superstizioni, dal sonno, dagli uomini, ma sempre pensi, invece, quali sono le cose che deve tener presenti, quelle che deve preparare per il giorno dopo, ecc......,in modo che si comporti come si è detto deve comportarsi il massaro; La maggior parte delle qualità, infatti, devono essere simili nella donna e nell'uomo; essi devono parimenti evitare ogni difetto e sperare premi per la loro buona condotta. Inoltre la donna deve lavorare perché il massaro abbia il minimo di faccende nella casa, dato che egli, fin dalla prima mattina, deve uscire con i lavoratori e la sera ritorna a casa quando è stanco.(Columella XX 1sgg.trad.calzecchi-Onesti).

Ancora oggi la sua opera e di guida e di insegnamento per coloro che si interessano alla natura, all'agricoltura. Nel trattare delle erbe medicinali, sostiene.ad.es. che "l'eruca", ossia la rucola "eccita a Venere i mariti pigri". Si dedica alle scienze agrarie (Wikypedia). Ha seguito l'esempio dello zio Marco, da lui definito "Un uomo astuto e uno splendido fattore". 

Nelle sue fattorie di Ardea e Alba Longa sperimenta varie tecniche agrarie, di cui da notizia nei suoi scritti. Il V libro è dedicato alla coltivazione dell'ulivo e alla tecnica olearia, insieme alla viticultura.. L'olivo e la vite sono coltivazioni tipiche del Mediterraneo. Egli ha un approccio scientifico e dà consigli pratici sulla materia. Per questo, quando è stata inventata la stampa, l'opera ha avuto molte edizioni e rappresenta la maggior fonte di conoscenza sull'agricoltura romana. 

Nella prefazione del DE RE RUSTICA lo scrittore dice che <<la terra ha avuto in sorte una giovinezza eterna, simile a quella degli dei, essa viene detta madre di tutte le cose, appunto perché tutte le ha prodotte, e di nuovo le produrrà in avvenire! Non è nemmeno l'inclemenza del cielo la causa dei danni che lamentiamo, la colpa è nostra, perché  abbandoniamo la cura dei campi nelle mani del peggiore dei nostri schiavi, e glieli lasciamo straziare, mentre ai tempi dei nostri padri, i migliori cittadini se ne occupavano personalmente e con la massima diligenza. Veramente non so darmi pace di questo fatto.....chi vuol fabbricare chiama ingegneri e architetti, chi vuol mettere navi in mare e navigare cerca provetti marinai, chi vuol fare la guerra si affida ad esperti di arte militare.. solo la scienza agricola, che, senza dubbio, è vicina, per nobiltà ed importanza, alla sapienza, non ha né chi la insegni, né chi la impari.....Finora non ho conosciuto né chi si professasse maestro di agricoltura, né chi ne volesse essere studioso. Eppure anche se la città mancasse di professioni delle scienze suddette, lo Stato potrebbe essere in fiore, come fu nei tempi antichi. Sappiamo che gli uomini furono felicissimi-e lo potrebbero essere ancora-senza avvocati e senza divertimenti. Ma se mancano i coltivatori dei campi, non si può mangiare, non si può vivere!(Trad. di R. Calzecchi-Onesti)(Humanitatislitterarum-Armando Salvatore-Loffredo Editore Napoli). 

E' stato lo zio Marco, che gli ha insegnato molte cose sul campo, ad infondergli la passione per l'agricoltura. Ha alcune fattorie in Italia, dove sperimenta personalmente le tecniche agricole, che riporta nel "de re rustica". In particolare, il V libro viene dedicato alla coltivazione dell'olivo, con riferimento alla olivocultura e alla tecnica olearia, basata su cognizioni botaniche e tecnologie che sono restate fino al XVIII sec. Esse saranno punti di riferimento per questa attività nei paesi mediterranei dell'Europa. Autori latini, che si sono occupati dell'agricoltura, sono ricordati per la loro importanza letteraria, invece Columella é importante proprio per la storia delle Scienze agrarie.

Lo scrittore ci presenta anche i suoi colleghi, Pomponio Mela e Cornelio Celso.

POMPONIO MELA, nato in Spagna nel I sec. d.C. é stato un geografo romano. Ha scritto, nel 44 d.C.,la più antica opera di geografia, a noi giunta,  "De chorografia", probabilmente su richiesta dell'imperatore Claudio.

Nel periodo storico comprendente l'impero di Augusto e di Tiberio notiamo anche la presenza di AULO CELSO. Profondo conoscitore di Ippocrate, nato a Roma (25 a. C.- 45 d.C.) enciclopedista e medico di fama, ha sperimentato varie pratiche mediche, sia greche che romane. La sua opera principale é "De Artibus", in 5 libri, in cui tratta delle varie scienze, prima fra tutte l'agricoltura. Ci informa sui campi, il bestiame, gli uccelli domestici e le api.(HTTPS//ro.impero.com). 

sabato 24 febbraio 2024




         L'AGRICOLTURA  nella STORIA

           "ITALIA FELIX" e CURIOSITA"
                 
              Ottava puntata

Ed ecco che il mio pensiero va a FEDRO, che mi ha sempre attratto con la sua umanità e la comprensione per i difetti degli  uomini.
E' nato sotto il principato di Augusto, intorno al 15 a.C., ha scritto le sue FAVOLE sotto Tiberio, Caligola e Claudio. E' uno schiavo di origine tracia. Perseguitato da Seiano, braccio destro di Tiberio, ha subito molte umiliazioni e la povertà. 
Egli stesso ci dice che le sue composizioni sono circa 90, divise in cinque libri, sono Aesopiane non di Esopo.
 La Favola è una breve narrazione, in prosa o in poesia, di personaggi immaginari. Sono, in genere, animali, descritti come se fossero uomini. Sono presenti le varie caratterizzazioni: i Virtuosi, i Cattivi, i Prepotenti. Egli vuole condannare i difetti della classe dominante romana. Sono storielle che dispensano pillole di saggezza e si concludono con una morale. Senz'altro originale, pur nella sua brevità, è la favola "La volpe e l'uva".<< Una volpe, spinta dalla fame, saltando con tutte le sue forze, cercava di cogliere l'uva su un'alta pergola. Ma , poiché non la poté toccare, andandosene disse "Non è ancora matura, non voglio coglierla acerba". Coloro che disprezzano a parole ciò che non sono capaci di fare dovranno riferire a sé stessi questa favoletta >>( Scuola. net).
 Ormai Virgilio, Tibullo e Properzio sono morti o sono vicini a morire, solo Ovidio, l'epigono, ha ancora un avvenire. Si chiude in bellezza e in saggezza, più ancora che la storia della prima più limpida e felice età di Augusto, la storia del più autentico mondo greco-latino>> (Arnaldi). 

E non può mancare all'appello PUBLIO OVIDIO NASONE (43 a. C. - 18 d.C.), senza dubbio attratto da quel crocicchio di persone che si è formato. E' nato a Sulmona ed è morto a Tomi,  sul mar Nero, dove si trova in esilio, in quanto coinvolto in uno scandalo di corte che ha avuto come protagonista Giulia, la nipote di Augusto. Ha scritto numerose opere, tra cui la più famosa è "LE METAMORFOSI". Nel poemetto " REMEDIA AMORIS", quale "medicus amoris", prescrive i rimedi necessari per guarire dalle sofferenze dell'amore. 
Nell'ARS AMATORIA, dimostra di conoscere il potere delle erbe medicinali. In particolare, ci parla del potere della Rucola o ruchetta, nome latino "eruca saliva", che è molto cara agli antichi, soprattutto per le sue proprietà curative. I Romani ne consumavano i semi, le attribuivano proprietà magiche e le utilizzavano nei filtri amorosi, ritenendola la più potente fra gli afrodisiaci. La sua coltivazione è spesso effettuata nei terreni che ospitano le statue falliche, erette in onore di Priapo, dio della virilità. Ovidio la chiama "eruca salax" o "herba salax" cioè erba lussuriosa.
Contro il mal d'amore, sicuramente, è di aiuto preferire la campagna alla città, dedicarsi allo sport e ai viaggi.

 Anche nelle "METAMORFOSI" non dimentica mai la natura. Orfeo, suonatore di cetra, va per i campi seguito dalle Baccanti. Egli le respinge e le Baccanti lo uccidono. Dioniso, per punirle le trasforma in alberi della foresta (Pierucciagricoltura.it).

 E come non pensare ad Apollo e Dafne. La Fanciulla, per sfuggire al dio, che, follemente innamorato, la insegue, prega il fiume Peleo, suo padre, di salvarla. "Finita la preghiera, un greve torpore le invade le membra, il tenero seno si cinge di corteccia sottile, in fronde i capelli, in rami si protendono le braccia, il piede, per ora tanto veloce, aderisce a pigre radici, la cima racchiude il suo volto. Di lei rimane solo il nitore. Febo anche l'albero ama....... ma sfugge il legno i suoi rami. Il dio le parla << Poiché non puoi essere la mia sposa, sarai almeno la mia  pianta. Sempre porteranno le tue ghirlande ,o lauro, la mia chioma, la mia cetra, la mia faretra. Tu poserai sul capo dei duci latini quando lieti canti celebreranno il trionfo e il Campidoglio vedrà sfilare lunghe processioni>> (A.Reinaud R.Andria.Echi di roma Antica.v.2. Fratelli Ferraro Editori).                       
  


venerdì 16 febbraio 2024

 


        L'AGRICOLTURA nella STORIA

        "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                    Settima puntata 

Siamo in piena età augustea. Ottaviano Augusto chiude il tempio di Giano e diviene garante della pace, protettore della famiglia e restauratore del "mos maiorum". Quella di Augusto viene ad essere, per la maggior parte, l'età della pace: dapprima disperatamente sospirata, cercata, invocata, poi salutata e goduta con quasi universale soddisfazione. Infatti il senso di pace è largamente diffuso in tutta la letteratura di questo periodo. Un accenno va fatto ad un personaggio di grande rilievo del periodo storico di cui discutiamo : Mecenate, il quale " alla protezione delle lettere non è soltanto indotto da ragioni di accorgimento politico, ma anche da intimo gusto d'arte " (Rostagni). 

Virgilio appoggia il programma di Augusto, enfatizzando i valori dell'agricoltura e del lavoro dei campi. Nell'umanità delicata con cui sono viste e sentite le piante vi sono i germi del grande poeta. Le "BUCOLICHE" emanano dal di dentro e dicono il sospiro di Virgilio, in un'ora affannata, per la quiete e l'oblio.....Questo spirito idillico, misto di malinconia e di serenità, dissidio che si quieta in un'armonia superiore, è il fondo nel quale guizzano le prime accese faville della Musa virgiliana. La contemplazione dei campi, l'accostarsi con palpito fraterno agli uomini della terra, alle loro gioie e più alle loro pene : ecco la fresca fonte di questa poesia.

Nelle "GEORGICHE" L'orizzonte si allarga, abbraccia l'interezza della vita umana, etica, religiosa, sociale, politica; dalla letteraria si passa ad una delle tradizioni più native di Roma, la georgica.....l'età Saturnia è veduta da un altro punto di vista, meno fittizio, più vicino al reale, più solido. Siamo sulle orme del vecchio Catone e dei prischi Latini.....La poesia del lavoro, del duro lavoro delle zolle, via via  senza posa attraverso le stagioni dell'anno, attraverso la seminagione e la piantagione: ecco ciò che Virgilio ci dà. "Labor omnia vincit improbus": tale è il vangelo bandito dal poeta e la sua legge morale (Funaioli).

Virgilio, meglio di ogni altro, interpetra il passaggio dai travagli dell'età di Cesare alle speranze dell'età di Augusto, traendone occasione per indagare il problema del dolore, del male del mondo e del destino umano.....Nelle Bucoliche, scritte durante le guerre civili, il mondo e la storia appaiono dominati dall'ingiustizia e dalla violenza, e il poeta cerca rifugio nel sogno dell'Arcadia. Nelle Georgiche, viene riconosciuto il valore morale della sofferenza e della fatica e l'amore virgiliano per la terra e per la vita degli umili si innesta, in coincidenza con il programma augusteo, sulla celebrazione dell'antica Italia agreste (L. Perelli. Storia della Letteratura latina-Paravia).       

                      

martedì 6 febbraio 2024

 



            L'AGRICOLTURA nella STORIA

            "ITALIA  FELIX" e CURIOSITA'

                             Sesta puntata

Dopo la breve digressione, ci soffermiamo a considerare che la poesia di Orazio <<è eminentemente soggettiva e personale..... nel senso.....che essa ha per oggetto di osservazione, di contemplazione e di canto, i moti interni del suo spirito, la sua formazione, in particolare la sua ricerca della sapienza (Rostagni). Dinanzi ai terribili avvenimenti del tempo (Confisca delle terre, guerra perugina ecc.)<< invece di astrarsi, come il suo tenero amico (Virgilio), in fantasie di luoghi migliori, si arrovella nel confronto tra le aspirazioni e la realtà e violentemente esprime il disgusto per la violenza e la follia delle lotte civili (Arnaldi)>>.

<<Solo in una società ricostituitasi faticosamente dopo aver infranto sanguinosamente, e a più riprese, gli schemi ideologici e le inquadrature politiche e sociali della repubblica>>, Orazio <<poté avere quel gusto della vita quotidiana, anche modesta, scoprire le bellezze di una passeggiata vespertina in mezzo ad umile gente, diventare, quale nessuno lo era stato prima di lui, il poeta,..... che era piaciuto, in pace e in guerra, ai grandi...... Che la satira di Orazio non superi in genere quei limiti di bonaria moralità e umanità a cui egli tendeva, che più di una volta non sia stata neppure satira, ma senso della vita, soprattutto dei valori della sua vita, dimostra quale equilibrio interno ed esterno egli abbia raggiunto>>(Arnaldi). 

Frattanto si avvicina, incuriosito, MARCO TERENZIO VARRONE (116 - 27 a.C.). I suoi libri del "DE RE RUSTICA" mirano a risuscitare e continuare le virtù agresti della stirpe romana, rappresentata da Catone il Censore (Rostagni). Si nota subito che Varrone ha un diverso senso di umanità verso gli schiavi, rispetto a Catone che è così disumano. infatti è benigno verso di loro, come il suo amicissimo Cicerone (Bignone)-Humanitas litterarum .A. Salvatore- Loffredo Ed.p.139).

Mentre i nostri primi incontri si allontanano, giungono altri personaggi del mondo latino. Facciamo, dunque, la conoscenza di ALBIO TIBULLO (50 a. C -19 d. C). Nasce nel Lazio rurale e nella sua raccolta, "il CORPUS TIBULLIANUM", fa l'elogio della vita rustica. E' ritenuto il poeta dei campi, visti, non come un luogo di sofferenza , ma come un locus amoenus . << Malinconica suona la musa di Tibullo: l'immagine della morte, della vecchiaia vengono sempre a turbare la gioia dell'amore. La quale in atto non c'è; c'è nella nostalgia. E col sentimento amoroso si confonde la contemplazione georgica e idillica: pace religiosa, divina semplicità dei rura, sognata solitudine campestre in compagnia della propria donna, pianto per la sua lontananza, pieno abbandono e oblio della propria persona nella persona di lei.....irrequietezza e dolore per quello che ella fa ed ella è.....ricordi di fanciullezza e, comunque del passato assai più felice del presente>>.

Manifesta un sincero amore per la campagna, considerata come il rifugio ideale di fronte alle angosce dell'amore e della guerra. Il poeta sente un forte bisogno di un rifugio, di uno spazio intimo e tranquillo in cui proteggere e coltivare gli affetti di fronte alle insidie e alle tempeste della vita.

La campagna tibulliana è, dunque, uno spazio di idillica felicità, di vita semplice e serena, pervasa da un senso di rustica religiosità. Essa rivela il suo carattere italico, col patrimonio di antichi valori agresti celebrati dall'ideologia arcaicizzante del principato. Vi è un'intima adesione ai valori tradizionali (Conte. Pianezzola. Forme e contesti della letteratura latina. Le Monnier).

lunedì 29 gennaio 2024

 

         L'AGRICOLTURA NELLA STORIA

         "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                          Quinta puntata 

In questa atmosfera quasi magica viene spontaneo chiedersi quale sia l'importanza delle piante e il valore della magia in relazione ad esse. E' innegabile che le piante hanno un importante ruolo nella vita degli uomini e nella magia. Esso deriva loro in parte dal fatto che alcune erbe hanno reali proprietà curative o letali. Infatti i santoni indiani o africani erano e sono ,ancora oggi, esperti erboristi e il loro lavoro è sempre associato a incantesimi e riti magici.

Nel mondo antico le erbe per uso magico dovevano essere tagliate con un coltello di bronzo. La sacerdotessa di Didone, infatti, usava erbe che erano state tagliate con un coltello di bronzo alla luce lunare (Echi di Roma antica. Antologia della Letteratura latina. Fratelli Ferraro Editori). Tre sono le piante più sacre a Roma: IL FICUS, L'OLEA e LA VITIS, coltivate nel foro romano della Roma repubblicana. 

Il FICO ruminale è l'albero fausto da ruma, che significa mammella. E' l'albero dove si è fermata la cesta contenente Romolo e Remo, in riva al Tevere e si è fermata la lupa per allattarli. 

L'OLIVO, da cui si estrae l'olio. L'olio migliore è quello della spremitura a freddo, fatto con le ulive ancora verdi e senza muovere i noccioli. La seconda spremitura schiaccia tutto il resto. I residui del frantoio vengono usati come commestibili per le lucerne. La spremitura a freddo è conservata fino ai nostri giorni. Roma importa olio dalla Spagna, ma i benestanti usano olio del suolo italico. la macina del frantoio antico viene descritta da Plinio. Macine antiche si trovano, ancora oggi, nelle campagne. 

LA VITE, una delle piante più antiche, è stata venerata dall'uomo fin dalle epoche primitive. Il suo protettore è Dioniso per i Greci, Bacco , per i Romani. A Bacco, dio della vite e della vendemmia, è dedicato un culto e la festività del Baccanale.

Vi è ,poi, il LAURUS NOBILIS, simbolo della sapienza divina, sacro al dio Apollo. Gli antichi Romani coltivano l'alloro, ritenendolo una pianta nobile, e lo pongono sul capo dei poeti e dei generali vittoriosi nelle battaglie. Creano, così, un ornamento circolare, simbolo di gloria e di vittoria da porre sul capo. Da questa corona , chiamata "Laurea", deriva il termine "Laurea" o "Laureato", cioè cinto di alloro.

Passiamo, ancora, al ROSMARINO officinalis, impegnato anticamente in riti propiziatori e in riti funebri, perchè si credeva che allontanasse gli spiriti maligni. Se una delle piante moriva, veniva subito ripiantata. Se morivano precocemente era  segno di sventura (Piante sacre della Roma antica. gogle. com).

Divinità protettrici dell'agricoltura sono, nell'età antica. CERERE, la dea dei campi. Con Esiodo ricordiamo un canto propiziatorio alla dea Cerere, che veniva cantato durante il lavoro:

<<Proteggi il gregge insieme ai pastori 

e vadano i malanni lungi dalle mie stalle.

Lontano la brutta fame, e che avanzino l'erba e le fronde.

Che noi mungiamo poppe gonfie

e il cacio ci frutti cibo e danaro.

e siano molte le nuove agnelle, dentro il mio ovile>>. (Guida in progress. Professione insegnante. Giunti Scuola.v.3°).

SATURNO, il dio della seminagione; 

SILVANO, il dio dei boschi;

FAUNO, il dio del gregge.

giovedì 18 gennaio 2024

 


        L'agricoltura nella storia

             "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                         Quarta puntata

Dalla Grecia arriva a Roma e al Sud-Italia un'ondata di cultura con la C maiuscola. Esiodo mi parla del trattato "De agri cultura" di MARCO PORCIO CATONE (234-149 a.C.) detto il Censore. Nasce a Tuscolo, nella campagna laziale, da una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Da fanciullo e giovinetto vive a lungo in Sabina, coltivando direttamente i campi con le sue braccia. L'opera viene composta intorno al 160 a. C. In essa viene enfatizzata la figura del buon agricoltore e del buon colono, forte e onesto, che Catone definisce "Vir bonus colendi peritus". Lo scritto vuol essere una guida per il pater familias. Contiene una serie di consigli su come disporre le piantagioni, illustra le tecniche agricole e i procedimenti di lavorazione, inserendo formule religiose, rituali e ricette di cucina.

 Lo scrittore ha tramandato anche qualche ricetta medica, di cui faceva uso per sè e per i suoi, più vicina alle pratiche di stregoneria che alla scienza medica, allora assai progredita fra i Greci: infusi di melograne acerbe, empiastri di cavoli pestati e simili. Un biografo maligno dice che, con questi sistemi, egli è campato fino a 85 anni, ma ha fatto morire la moglie e il figlio.

Continuiamo il nostro cammino, quando, dalla nebbia del passato, ecco emergere TITO LUCREZIO CARO (94-55 ? a. C.), di cui ci parla San Girolamo. Apprendiamo il suo dramma. Pare che lo scrittore sia stato colpito da follia e che si sia suicidato dopo aver preso un filtro d'amore. Nei momenti di lucidità compone il "De rerum natura", in cui parla della difficoltà del vivere nella terra che è inospitale, la vita è resa possibile dalle fatiche dell'agricoltura. La concezione epicurea viene esposta con dovizia. 

Esiodo è lietissimo per l'incontro con Lucrezio, che ha seguito il suo esempio nell'interessarsi della Natura. Mi spiega che in "Le Opere e i Giorni" ha fatto un discorso didascalico, con consigli e istruzioni per portare avanti proficuamente il lavoro. Ha inaugurato la poesia scientifica. Si sente, quindi, molto vicino a Lucrezio. E' questo il primo incontro dello spirito latino con quello greco, della cultura greca con quella romana. 

Tra le istruzioni che Lucrezio dà per la coltivazione dei campi, riprendiamo un passo dal libro IV del "De rerum natura", riguardante l'innesto. <<Esempio della semina e origine dell'innesto fu dapprima la natura stessa, creatrice di tutte le cose, poichè le bacche e le ghiande, cadute al suolo a tempo opportuno, producevano sotto i tronchi una selva di germogli, onde piacque agli uomini innestare polloni nei rami e piantare in terra nuovi virgulti per i campi. Quindi sperimentavano sempre nuove colture dell'amato campicello, e vedevano i frutti selvatici addolcirsi nella terra, dedicando ad essi, nel coltivarli, riguardi e amorose cure>>. ( Libro IV w 1361-1369).

Dopo poco, continuando per la nostra strada, incontriamo PUBLIO VIRGILIO MARONE (70 a.C- 19 a. C.), nativo di Antes, a poca distanza da Mantova. Appartiene ad una agiata famiglia di proprietari terrieri e trascorre la fanciullezza e la adolescenza nella malinconica pianura padana. La sua origine agreste lo rende particolarmente sensibile alla luce fraterna della natura e lo porta ad idealizzare la figura dell'agricoltore italico (L.Perelli- Storia della Letteratura Latina-Paravia).

La sua prima opera è "Le Bucoliche" o Ecloghe pastorali; ha come protagonisti i pastori e si  riallaccia al genere letterario dell'idillio, di cui è stato inventore Teocrito. Ricordiamo insieme la prima Ecloga, in cui Virgilio riporta il dialogo tra i due pastori, Titiro e Melibeo. Melibeo è costretto a lasciare il suo campo, per le espropriazioni delle terre ai contadini in favore dei veterani. Titiro, invece, conserva il proprio terreno, grazie all'interessamento di un uomo importante e se ne sta sdraiato all'ombra di un verde albero. Il poema virgiliano che celebra il lavoro dei campi e la natura agreste è " Le Georgiche", in quattro libri. Il poeta vuole ora appoggiare l'intento di Ottaviano di far rinascere in Italia la classe dei piccoli e medi proprietari terrieri. 

Esiodo gioisce dell'incontro in quanto Virgilio, nel primo libro, si è riportato allo spirito de "Le Opere e i Giorni". Dominano, infatti, i concetti dell'avarizia della terra e della fatica che il contadino deve compiere per vincere le forze ostili della natura. Il secondo libro tratta della coltivazione degli alberi e della vite. Vi sono, qui, tinte festose e la vita agreste è rappresentata nei suoi aspetti più lieti. Vi sono le lodi dell'Italia, terra benedetta dagli dei e dalla natura, madre delle messi e degli uomini forti. Nel terzo libro, che ha come tema l'allevamento delle api, si torna alla vita serena e attiva. Nell'opera si ha l'esaltazione del piccolo coltivatore laborioso e dei valori tradizionali Romani ( Laboriosità, frugalità, religiosità, culto della famiglia e della patria), che Ottaviano vuole ripristinare. La scena si fa più ricca. C'è Lucrezio che riesce a descrivere splendidamente il mormorio di un ruscello e la fioritura lussureggiante della primavera, la tempesta che rumoreggia nel bosco e la bellezza terribile di un temporale (Norden- Humanitas litterarum - Loffredo ed. Napoli).

Accanto c'è MARCO TULLIO CICERONE (106- 43 a. C.), che, nella attività poetica giovanile, traduce il poemetto astronomico di Arato di Soli, appunto gli "Aratea" che narra dei pronostici del tempo. Gli "Aratea", probabilmente, sono stati attentamente studiati da Lucrezio che ne trae spunti di versi e di immagini (Bignone- Humanitas litterarum- ed. Loffredo). Non dobbiamo, infatti, dimenticare che la letteratura latina ha inizio come opera di traduzione e di imitazione della letteratura greca. Frattanto Virgilio continua a dar consigli, nel "Moretum" (Appendix Virgiliana) per la coltivazione dell'orto. << Un orto c'era congiunto alla casupola, che pochi vimini e canne rinascenti, dal fusto sottile, proteggevano, limitato come estensione, ma fertile di varie erbe. nulla vi mancava........la sua coltivazione non costituiva una perdita di tempo, ma era una norma di diligente cura: se la pioggia o il dì festivo lo costringevano inoperoso nella povera casetta.....all'orto era dedicata la sua attività. Sapeva egli disporre in fila le varie piante ed affidare in grembo alla terra i semi e......incanalare con diligenza i ruscelli vicini. Qui il cavolo, qui le bietole........e la lattuga, gradita chiusura delle laute mense, qui serpeggia il cocomero e la radice si sviluppa in punta e la pesante zucca che si allarga in un ampio ventre (trad. di A.Salvatore)>>.

Ci viene incontro QUINTO ORAZIO FLACCO (65-8 a. C.) nato a Venosa, in Lucania. Il padre era liberto, di origine piccolo-borghese (L. Perelli). Ci racconta che, dopo la Battaglia di Filippi, nel 42 a. C. Mecenate gli ha fatto dono di una villa in Sabina, che è stata per lui un rifugio dalle noie e dalle brighe della vita cittadina. Seguace di Epicuro, sviluppa il tema del "Carpe diem", affermando l'ideale di una vita isolata dal mondo ostile che lo circonda. Nelle "Satire" ringrazia Mecenate per il dono della villa. Il tema della campagna e della quiete della villa è connesso al sentimento della stanchezza della vita e al desiderio di ritirarsi in sé stesso. (L. Perelli. Storia della Letteratura Latina- Ed. Paravia).