giovedì 27 marzo 2014

TERZA GIORNATA - NOVELLA N.6

TERZA GIORNATA – NOVELLA N. 6

 Ricciardo Minutolo, ama la moglie di Filippello Sighinolfi, poiché era molto gelosa, dice che sua moglie si doveva incontrare con Filippello il giorno seguente a un bagno, ella va e credendo di stare col marito ,si incontra con Ricciardo.

La regina, dopo aver riso della sagacia del Zima, fece cenno di proseguire a Fiammetta.
Considerato che non soltanto a Firenze, ma anche in altre parti del mondo accadevano cose da raccontare, Fiammetta iniziò raccontando di una bigotta che schifando, inizialmente, l’amore, dall’astuzia dell’amante fu indotta a conoscerne i frutti.
A Napoli, città antichissima, la più allegra, certamente, di tutta l’Italia, viveva un giovane di nobile origine , il cui nome era Ricciardo Minutolo. Egli, sebbene avesse una moglie giovane e bella, si innamorò follemente di un’altra donna, che superava in bellezza tutte le altre donne napoletane. Si chiamava Catella ed era moglie di un gentiluomo di nome Filippello Sighinolfi, da lei molto amato.
Ricciardo, follemente invaghito di Catella, si disperava perché la donna era irraggiungibile .
Le sue parenti lo consolavano e gli consigliavano di rinunziare perché ella era innamorata del marito ed era di lui gelosissima.
Ricciardo, conoscendo la gelosia di Catella, mise a punto un piano.
Diffuse la voce che era innamorato non più di Catella, ma di una seconda donna, per cui fu trattato con maggiore cordialità.
Durante il periodo estivo, quando faceva molto caldo, i napoletani andavano a divertirsi al mare, per mangiare e cenare.
Ricciardo vi andò e fu ricevuto da Catella e dalle sue amiche, che cominciarono a schernirlo per il suo nuovo amore. Dopo un po’ di tempo, allontanatesi molte donne, i due si ritrovarono con poche altre.
Mentre conversavano, Ricciardo fece una battuta scherzosa su un certo amore di Filippello, suo marito.
Catella, rosa dalla gelosia, pregò il giovane di essere più chiaro. Egli si fece giurare che non avrebbe rivelato nulla né al marito ,né ad altri. Poi le confessò che sapeva che Filippello voleva possedere sua moglie, come lei stessa gli aveva rivelato. Quella stessa mattina aveva visto la moglie parlare con una femmina, mandata da Filippello, per fissarle un appuntamento ad un bagno al mare, pregandola vivamente di andare.
Ricciardo invitava, dunque, Catella, se ne aveva voglia, ad andare, verso le tre del pomeriggio, quando la gente dormiva, a quel bagno, dove sua moglie aveva convenuto di incontrarsi con Filippello.
Il furbastro, per rendere più credibile l’inganno, aggiunse che non avrebbe fatto andare al bagno sua moglie.
Ma considerò che se Filippello avesse trovato Catella in luogo dell’altra, sicuramente se ne sarebbe vergognato, in questo modo sarebbe stata vendicata sia l’offesa fatta alla donna ,sia quella fatta a lui.
La dama, com’era costume dei gelosi, che credevano a tutto, accesa dall’ira, rispose che avrebbe certamente fatto così e se ne andò.
La mattina seguente, Ricciardo si recò al bagno in questione e diede istruzioni alla padrona, che lo conosceva bene.
Costei nella casa, accanto al bagno, aveva una camera molto oscura, senza finestre che facessero entrare la luce. Vi mise un letto, nel quale il giovane , dopo pranzo, si coricò in attesa di Catella.
Frattanto la donna, riflettendo sulle parole dell’imbroglione, era ritornata a casa, dove aveva ritrovato il marito, che ,immerso in altri pensieri, era stato poco affettuoso. Ciò aumentò i suoi sospetti e la sua determinazione.
Alle tre precise, Catella, con la sua dama di compagnia, andò al bagno indicato da Ricciardo e chiese alla padrona se Filippello era lì. La donna, le indicò la stanza.
Catella vi entrò, col capo coperto, chiuse la porta e fu accolta da Ricciardo con baci ed abbracci, ai quali rispose senza proferir parola, temendo di essere riconosciuta dalla voce.
La camera era oscurissima, della qual cosa i due erano ben contenti. Senza dire una parola, per evitare di riconoscersi, per molto tempo fecero l’amore.
Quando ritenne giunto il momento di mandar fuori tutto il suo sdegno, Catella, adirata cominciò a parlare dicendo” Ahimè, come è mal riposto l’amore di molte donne verso i mariti. Ti ho amato per più di otto anni e tu, invece, ardi d’amore per un’estranea. Io sono Catella, tua moglie, non sono la moglie di Ricciardo, sleale traditore, mi riconosci dalla voce? Mi sembrano mille anni di andare alla luce, così che ti possa svergognare.
Mi hai fatto più carezze in questo poco tempo, quando mi credevi un’altra, che per tutto il tempo che sono stata tua moglie. Sai bene che a casa ti mostri debole e senza forza, come stanotte che non ti sei avvicinato, per giungere fresco cavaliere alla battaglia. Sei diventato muto, udendo la mia voce? Ti illudesti di tener nascosto questo tradimento?”.
E continuò così , con gioia di Ricciardo , che la baciava e l’abbracciava, dicendo che forse era meno bella della moglie di Ricciardo Minutolo, che l’aveva tanto corteggiata, ma non si era mai potuto vantare che lei l’avesse guardato una sola volta.
Tanto grande fu il suo rammarico che Ricciardo, per evitare qualche complicazione, decise di palesarsi e di rivelarle l’inganno.
Presala in braccio, in modo che non si potesse allontanare, le disse “ Anima mia dolce, sono il vostro Ricciardo, Amore mi ha insegnato questo inganno per potervi avere. E’ opportuno che non gridiate, perché se vi sentono altre persone avverranno due cose. La prima è che il vostro buon nome si perderà, perché , se direte che siete stata attirata qui con l’inganno, dirò che non è vero. Anzi aggiungerò che vi ho  fatta venire promettendovi regali e doni che ,poi, non vi ho dato, perciò gridate tanto. E voi sapete che la gente è propensa a credere più al male che al bene e crederà più a me che a voi. Come seconda cosa, scoppierà tra me e vostro marito una inimicizia mortale che provocherà o la sua o la mia morte. Per tutti questi motivi siate saggia e tacete”.
Catella, mentre il giovane diceva queste cose, piangeva forte, pure dovette convenire che poteva accadere ciò che l’uomo diceva, perciò smise di gridare, ma minacciò di vendicarsi .
Ricciardo cominciò ad addolcirla con tenere parole e tanto disse e tanto pregò che la donna si calmò. E ricominciarono ad amoreggiare.
Riconoscendo che i baci dell’amante erano più saporiti di quelli del marito, Catella, cambiata la durezza in dolce amore, amò Ricciardo teneramente. E si godettero il loro amore.
Fiammetta concluse con l’augurio che Iddio facesse godere per amore anche loro.






giovedì 20 marzo 2014

TERZA GIORNATA - NOVELLA N.5

TERZA GIORNATA – NOVELLA N.5

Il Zima dona a Messer Francesco Vergellesi un suo pallafreniere, col suo permesso parla con la di lui moglie, che tace, il Zima, rispondendo al posto di lei, ottiene il risultato voluto.

La regina, avendo Panfilo concluso il racconto di frate Puccio, fece cenno ad Elissa , un po’ ritrosa e timida, per indole, di continuare .Ed ella incominciò col dire che molti saputoni credevano che gli altri non sapessero nulla e, volendo ingannare gli altri alla fine dagli altri erano ingannati; per questo era da ritenersi follia provocare, senza motivo, l’ingegno altrui.
Per convincere tutti della sua opinione Elissa, seguendo l’ordine della narrazione, raccontò che vi fu ,un tempo, in Pistoia un cavaliere di nome messer Francesco, della famiglia dei Vergellesi, uomo ricco e savio , ma avarissimo.
Dovendo andare a Milano, come podestà, si era rifornito di tutto quello che gli poteva servire; gli mancava soltanto un bel pallafreno (garzone, attendente), ma non ne aveva trovato uno che gli piacesse.
In Pistoia viveva, allora, un giovane di nome Ricciardo, di umile origine, ma molto ricco, così ordinato e ricercato che veniva chiamato da tutti “Il Zima” (L’azzimato).
Costui era da tempo innamorato, senza speranza, della moglie di messer Francesco, che era bellissima e molto onesta. La qual cosa era risaputa da tutti.
Il giovane aveva uno dei più bei palafrenieri della Toscana e lo teneva in gran conto.
Qualcuno consigliò all’avaro di chiedere il garzone al Zima, che glielo avrebbe sicuramente dato per l’amore che portava alla donna.
Messer Francesco, fatto chiamare il Zima, gli chiese di vendergli il ragazzo.
Zima glielo offrì in dono a condizione di poter parlare, con il suo permesso ,con la moglie.
Il colloquio doveva avvenire alla presenza del marito, ma separatamente, così che il Zima potesse essere ascoltato solo da lei.
Il cavaliere, spinto dall’avarizia, sperando di ingannare il giovane, andò dalla moglie ,le spiegò tutto e le impose di ascoltare, ma di non rispondere assolutamente alle parole dell’uomo.
La donna gradì poco la cosa, ma acconsentì per compiacere il marito e lo seguì per udire ciò che  costui voleva dirle.
Il Zima le si sedette accanto e le confessò tutto il suo amore, dichiarandosi suo umile servitore.
Affermò che se non fosse stato ricambiato sarebbe morto e lei sarebbe stata un’omicida.
Sperando in una risposta positiva, tacque sospirando, in attesa che la donna gli rispondesse.
La donna, già piegata dagli assidui corteggiamenti, fu turbata dalle affettuose parole del ferventissimo amante e cominciò a provare amore per lui. Pure rimase in silenzio per obbedire all’ordine del marito, ma con l’espressione del viso, con il lampeggiar degli occhi e con lunghi sospiri dava speranza al suo corteggiatore. Zima, allora, per comunicare, seguì un nuovo sistema.
Come se fosse la donna a rivolgersi a lui disse “ Zima mio caro, già da tempo conosco il tuo amore per me e ne sono contenta, anzi ti ho amato più di ogni altro uomo, ma ho dovuto respingerti per paura d’altri e per conservare il mio buon nome. Ora viene il momento di dimostrarti il mio amore, abbi speranza. Infatti messer Francesco, fra pochi giorni, andrà a Milano, come podestà, come ben sai, visto che gli hai donato il bel palafreno. Fra pochi giorni, quando sarà partito, potremo realizzare il nostro amore.
Non ci parleremo più fino al giorno in cui vedrai due asciugamani stesi alla finestra della mia camera, che è sopra al giardino.
Quella sera, di notte, senza che nessuno ti veda, attraverso l’ingresso del giardino, verrai da me.
Io ti aspetterò e tutta la notte, scambievolmente, ci ameremo, come desideriamo”.
Zima, terminato il discorso da lui fatto al posto della donna, incominciò a parlare per sé, assicurando che avrebbe fatto ogni cosa ,proprio come lei aveva indicato.
La donna, per tutto il tempo, non disse una sola parola.
Poi Zima si alzò e ritornò verso il cavaliere  e gli disse che non aveva mantenuto la promessa di farlo parlare con la sua donna, invece l’aveva fatto parlare con una statua di marmo.
Messer Francesco, soddisfatto per aver ottenuto il palafreniere, conservando la stima per sua moglie, se ne andò a fare il podestà a Milano.
La donna, rimasta sola, ripensava alle parole di Zima, che aveva rinunziato all’attendente per amor suo, vedendolo spesso passare sotto la sua casa.
Riflettè che non era il caso di perdere la sua giovinezza nell’attesa di un marito che era andato a Milano, sarebbe ritornato dopo sei mesi e l’avrebbe risarcita da vecchia.
Pensò, ancora, che difficilmente avrebbe trovato un amante come Zima, che era sola, che nessuno avrebbe saputo nulla, ed ,infine ,che era meglio fare una cosa e pentirsi ,piuttosto che non farla e pentirsene lo stesso. 
Dopo queste riflessioni, pose due asciugamani alla finestra che affacciava sul giardino, come Zima aveva detto.
Vedendoli ,lietissimo, la notte seguente, l’uomo andò alla porta del giardino, la trovò aperta, entrò in casa dove trovò la gentildonna che lo aspettava e che lo ricevette con grandissima festa.
Abbracciandola e baciandola centomila volte, Zima la seguì per le scale e, senza indugio, si coricarono e fecero l’amore appassionatamente.
E quella fu la prima, ma non l’ultima volta, perché si incontrarono, con gran piacere reciproco, molte altre volte, sia quando il marito era a Milano, sia dopo che era tornato.





giovedì 13 marzo 2014

TERZA GIORNATA - NOVELLA N.4

TERZA GIORNATA – NOVELLA N.4

 Don Felice insegna a frate Puccio come diventerà beato facendo penitenza; Mentre padre Puccio la fa, Don Felice gode con la moglie del frate.

Filomena, finita la novella, tacque e la regina, ridendo, fece segno a Panfilo di continuare.
E Panfilo cominciò dicendo che c’erano persone che mentre si sforzavano di andare in Paradiso, senza accorgersene ci mandavano gli altri, come accadde ,non molto tempo addietro, ad una loro concittadina. Secondo quanto si diceva , vicino al convento francescano di San Pancrazio, viveva un uomo buono e ricco, chiamato Puccio di Rinieri, che, dedito alle cose dello spirito, si fece terziario francescano, col nome di frate Puccio. Seguendo la via dello spirito, trascurò la moglie e si diede tutto alla chiesa. Da ignorante e rozzo qual’era, pregava in continuazione, andava alle prediche, digiunava e faceva penitenza.
La moglie, che si chiamava Elisabetta, giovane, tra i ventotto e i trenta anni, fresca, bella e rotondetta come una mela di Casale, per la santità del marito era sempre a dieta, contro la sua volontà, e, quando voleva dormire col marito, lui le raccontava la vita di Cristo o il lamento della Maddalena.
In quel periodo tornò da Parigi un monaco conventuale di San Pancrazio, chiamato don Felice, giovanissimo, bello, intelligente e colto. Divenuto amico di frate Puccio, spesso e volentieri , si recava a casa sua a pranzo e a cena ; la moglie del frate, per compiacere il marito, li accudiva volentieri.
Il monaco, frequentando la casa, vedendo la donna così bella e rotondetta, ma sofferente, pensò di poter sostituire il marito e togliergli la fatica.
Ben presto, astutamente, suscitò in Elisabetta i suoi stessi desideri ; ma era molto difficile incontrarsi perché frà Puccio non usciva mai di casa.
Pensando e ripensando, don Felice escogitò un piano, che gli permettesse di stare in casa con la donna senza sospetto, nonostante anche il frate fosse in casa.
Un giorno, mentre era con il frate, gli disse che conosceva bene il suo desiderio di diventare santo e gli poteva insegnare una via per raggiungere la santità rapidamente. Ma il Papa e gli alti prelati, che la usavano, non volevano che si conoscesse perché avrebbero perduto le elemosine dei laici, cui tenevano tanto.
Fra Puccio promise solennemente che non ne avrebbe parlato con nessuno.
Il monaco ,allora, gli rivelò che i Santi Dottori facevano fare a chi voleva diventare beato una penitenza ,che lo avrebbe purgato dei peccati commessi e, anche di quelli che avrebbe fatto dopo. Tali peccati se ne sarebbero andati con l’acqua santa, come capitava con quelli veniali.
La penitenza consisteva, prima di tutto, nel confessarsi scrupolosamente, nel fare quaranta giorni di digiuno e nell’astinenza rigidissima dal toccare non solo le altre donne, ma anche la propria moglie.
Inoltre era opportuno che avesse in casa un luogo da cui, di notte, si potesse vedere il cielo. Colà doveva porre una tavola molto grande dove doveva appoggiare la schiena e stare in piedi, con le braccia aperte, come un crocifisso, e così doveva stare fino al mattino. Doveva, nel frattempo, recitare trecento Paternostri e trecento Avemarie in onore della Trinità . Poi, guardando il cielo, doveva sempre ricordare che Dio era il creatore del cielo e della terra e che Cristo era stato sulla croce come lui. All’alba se ne poteva andare nel suo letto a dormire. Al mattino seguente doveva andare in chiesa per udire almeno tre messe e recitare cinquanta Paternostri ,con altrettante Avemarie. In seguito ,doveva pranzare e nel pomeriggio, verso le sei, andare nuovamente in chiesa per recitarvi certe orazioni, senza le quali la penitenza non si poteva fare.
Se avesse seguito tutte le indicazioni, già prima di finire la penitenza, avrebbe sentito che cosa meravigliosa era la beatitudine eterna.
Frate Puccio, ben determinato, decise che avrebbe cominciato a fare penitenza la domenica successiva e, ritornato a casa ,raccontò ogni cosa alla moglie.
Ella, comprendendo il gioco del monaco, assecondò il marito,  promettendo che con lui avrebbe solo digiunato, ma non avrebbe fatto altro.
Venuta la domenica, frate Puccio cominciò la penitenza.
Il signor monaco, sicuro di non poter essere scoperto, per molte sere andava a cena dalla donna, portando ogni ben di Dio da mangiare e da bere. Poi giaceva con lei fino all’alba, infine, svegliatosi, se ne andava, e frate Puccio tornava nel suo letto.
Il luogo scelto per la penitenza si trovava vicino alla camera della donna, diviso da un sottilissimo muro. Durante la notte, i due amanti, nel fare l’amore con troppo ardore, provocavano delle scosse del pavimento della casa. Il frate, senza muoversi, chiamò la moglie e le chiese che cosa faceva. La donna, molto
scherzosamente, rispose che era lei che si dimenava perché non poteva dormire per il digiuno, infatti,  come  aveva sentito dire mille volte “ chi la sera non cena, la notte si dimena”
Credette, lo sciocco, che la moglie non poteva dormire per il digiuno e, in buona fede, le disse “Donna, te l’avevo detto di non digiunare, ma tu l’hai voluto fare, non pensare a ciò e cerca di riposare; ti dimeni tanto nel letto, che fai dimenare tutta la casa”.
La donna gli rispose di non preoccuparsi e di continuare nella sua penitenza. E frate Puccio riprese i suoi Paternostri.
La donna e il signor monaco da quella notte, fecero disporre in un’altra parte della casa un letto, dove stavano, in grande allegria, per tutto il tempo della penitenza di frate Puccio. Nello stesso momento il monaco se ne andava e la donna tornava nel suo letto, vicino al luogo della penitenza, dove rientrava il frate. Procedendo così le cose, la donna, scherzando col monaco, diceva che, grazie alla penitenza che faceva il marito, loro due avevano guadagnato il Paradiso.
Quando la penitenza finì, Elisabetta, apprezzando molto i cibi che le aveva fatto assaggiare il monaco, mentre il marito l’aveva tenuta lungamente a dieta, trovò il modo di continuare a nutrirsi con lui.
In conclusione, mentre frate Puccio, facendo penitenza, credette di mettersi in Paradiso, ci mise il monaco e la moglie, che con lui viveva nel bisogno di ciò che il monaco le donò abbondantemente.


giovedì 6 marzo 2014

TERZA GIORNATA - NOVELLA N.3

TERZA GIORNATA – NOVELLA N.3

 Fingendo di confessarsi e di essere con coscienza purissima, una donna innamorata di un giovane, induce un frate autorevole, senza che se ne accorga, a farle realizzare i suoi desideri.

Mentre Pampinea ormai taceva e tutti lodavano l’astuzia del pallafreniere e il senno del re, la regina fece cenno a Filomena di continuare.
Filomena cominciò dicendo che voleva raccontare una beffa che una bella donna fece ad un religioso importante. Considerò, inizialmente ,che talvolta i religiosi erano i più stolti tra gli uomini e credevano di sapere più degli altri. Erano avidi, andavano dove potevano trovare da mangiare e potevano essere beffati non soltanto dagli uomini ma anche da qualcuna delle donne.
Continuò poi riferendo che pochi anni prima, viveva in Firenze una gentildonna bella, intelligente più di qualunque altra, di cui non avrebbe rivelato il nome perché vivevano ancora coloro che si potevano adirare, mentre c’era solo da ridere.
Costei, nata da una famiglia nobile, aveva sposato un artigiano della lana ricchissimo, ma disprezzato dalla moglie, che non lo riteneva degno di lei, per la sua bassa condizione.
Peraltro, l’uomo, nonostante le sue ricchezze, era anche ignorante, sapeva parlare solo di come produrre un tessuto, di come ordire una tela, di come fare un filato. Decise, dunque, di dare al marito solo il minimo indispensabile nei rapporti coniugali, ma di voler trovare per sé un uomo più degno del lanaiolo.
Si innamorò follemente, di un uomo valoroso di mezza età (35 anni circa), ma l’uomo non si accorgeva di niente. Sapendo che costui era amico di un religioso grande e grosso, un po’ stupido, ma molto stimato, ritenne che poteva servirsi di lui come intermediario tra lei e l’uomo.
Si recò in chiesa e chiese di essere confessata dal frate. Egli ascoltò la confessione .
Tra le tante cose, la donna gli riferì che un uomo bello e fisicamente ben piantato le aveva posto assedio e se lo trovava sempre intorno, sia quando si affacciava alla finestra, sia sull’uscio quando usciva di casa.
La cosa l’addolorava enormemente perché era una donna onesta, innamorata più che mai di suo marito, uomo ricchissimo, e che mai era stata tentata di fare qualcosa contro l’onore coniugale. Aveva pensato di parlarne con i suoi fratelli, ma aveva cambiato idea perché temeva che ne potesse nascere uno scandalo. Invece aveva preferito parlarne con lui perché sapeva che erano amici.
Chiedeva al frate di parlargli e di consigliargli di rivolgere le sue attenzioni ad altre donne, che a lei quell’interesse esagerato dava grande noia e non era disposta ad assecondarlo.
Il santo frate le credette e, avendo compreso a chi si riferiva, promise di intervenire. Espose poi le proprie necessità e ringraziò per la ricca elemosina. La donna , presa la penitenza, se ne tornò a casa.
Non molto dopo , l’uomo andò dal frate, dopo aver discusso del più e del meno, il religioso lo tirò da parte e, in modo cortese, lo invitò a desistere dal corteggiare la donna.
Poiché l’uomo, meravigliato, negava, il frate rispose che era certo di quello che diceva perché glielo aveva detto lei stessa, con molto rammarico. Precisò, ancora, che era una donna onesta, che aveva disgusto di quelle cose e voleva essere lasciata in pace.
L’uomo, più intelligente del santo frate, comprese l’astuzia della donna, fingendo vergogna ,promise di evitare, per il futuro , il corteggiamento. Allontanatosi, andò sotto casa della donna, che era alla finestra, sorridente, dimostrando che egli aveva ben compreso il senso delle parole del frate. Da quel giorno continuò a passare spesso per quella strada ,cautamente, fingendo di dover fare qualche servizio.
La donna, accortasi di essere corrisposta, volendo dimostrargli più chiaramente il suo amore, tornò il chiesa e cominciò a piangere. Al frate ,che chiedeva se l’uomo aveva rispettato la promessa fattagli di non infastidirla più, ella rispose che , anzi, era avvenuto il contrario. Infatti, per tutta risposta, il perfido, mentre prima passava una volta sotto casa, adesso passava sette volte. Come se non bastasse il guardarla, era stato così ardito e sfacciato che le aveva mandato in casa , proprio il giorno prima, una donna con in dono una borsa e una cintura, come se lei non avesse già delle borse e delle cinture. Infuriata, si era trattenuta dal fare il diavolo a quattro, per rispetto del frate. Aveva restituito i due oggetti alla servetta, ma poi, temendo che quella se li tenesse per sé, se li era ripresi e li aveva portati al frate perché li restituisse al donatore. Gli dicesse, inoltre, che non aveva bisogno delle sue cose perché, grazie a Dio e a suo marito, aveva tante cinture e borse da potervi affogare dentro. Minacciò che se l’insistenza non fosse cessata, ne avrebbe parlato al marito e ai fratelli. Detto questo, piangendo, trasse fuori dalla veste, una borsa preziosa e una cintura e le gettò in grembo al frate.
Costui promise che sarebbe nuovamente intervenuto a dargli una tirata d’orecchi tale che l’uomo non le avrebbe più dato fastidio. Raccomandò di non parlarne , assolutamente, con il marito e i fratelli perché ne poteva seguire un gran danno.
La donna ,fingendo di rasserenarsi e conoscendo l’avidità del frate, aggiunse che in sogno le erano apparsi i parenti morti, in gran pena, che chiedevano elemosine, e, soprattutto sua madre, che faceva pietà, preoccupata della situazione della figlia. Gli mise, dunque, un fiorino in mano perché dicesse per le anime dei suoi morti  quaranta messe di San Gregorio ed altre preghiere , per trarle fuori dall’Inferno.
Il frate, lieto, prese le offerte ,le diede la benedizione e la congedò. Non accorgendosi di essere stato ingannato, rimproverò aspramente il suo amico, che tiepidamente negava.
Dopo aver detto molte parole, il frate sciocco diede la borsa e la cintura all’amico e, dopo molte raccomandazioni , lo licenziò.
Allontanatosi il frate, l’uomo si recò dalla donna e le fece vedere che aveva la borsa  e la cintura, a conferma che le cose andavano per il meglio. Ormai aspettavano solo che il marito andasse da qualche parte ,per potersi incontrare.
Non molto dopo, il marito partì per Genova per una commissione.
Subito dopo la sua partenza, la donna si recò dal frate e, piangendo, gli disse “Padre mio, vi ho promesso l’altro ieri che non avrei fatto nulla senza avvisarvi, perciò vi voglio dire che cosa ha fatto quel diavolo dell’inferno del vostro amico. Stamattina, poco prima dell’alba, avendo saputo, non so come, che mio marito era andato a Genova, è entrato nel mio giardino e, attraverso un albero, è venuto sulla finestra della mia camera.
L’aveva già aperta e voleva entrare, quando mi svegliai e avrei gridato se non mi avesse chiesto di tacere per Dio e per voi, rivelandomi chi era. Tacqui, per amor vostro, e nuda come nacqui, corsi a chiudergli la finestra sul viso. Credo che se ne andò, perché non lo sentii più. Dissuadetelo voi dal continuare, perché non ne posso più”.
Il frate non sapeva che dire dalla meraviglia, pure, promise di intervenire nuovamente per frenare quel diavolo scatenato, che credeva un santo, per togliergli dalla mente quella bestialità.
Era appena uscita dalla chiesa che sopraggiunse l’uomo che fu accusato dal frate, con grande veemenza, di essere spergiuro e traditore.
Il furbone, che aveva ben capito dove portavano i rimproveri del religioso, gli chiese perché si adirava tanto, come se avesse crocifisso Cristo.
Il frate lo rimproverò aspramente perché, come la donna gli aveva riferito, sapendo che il marito non c’era, di notte  era andato nel giardino della donna, era salito sull’albero e dalla finestra aveva cercato di entrare in camera sua . Aggiunse che ,in quel modo, non poteva vincere la santità della donna che ,se fino ad allora aveva taciuto grazie alle preghiere del frate, avrebbe rivelato tutto ai fratelli.
Il valente uomo , saputo ciò che gli serviva, calmò il frate con mille promesse.
Allontanatosi, seguì a puntino le istruzioni e, nella notte seguente, entrò nel giardino, salì sull’albero, trovò la finestra aperta, entrò nella camera, dove trovò la donna ad attenderlo con le braccia aperte.
Mentre erano impegnati  nei giochi d’amore, ridevano della stupidità del frate bestione che aveva insegnato così bene all’uomo la via per incontrarsi.
Sistemati i fatti loro, non tornarono più dal frate, ma si ritrovarono, allegramente, molte altre notti insieme, in grazia di Dio, come Filomena si augurava che potesse accadere a tutti coloro che ne avessero voglia.