giovedì 13 marzo 2014

TERZA GIORNATA - NOVELLA N.4

TERZA GIORNATA – NOVELLA N.4

 Don Felice insegna a frate Puccio come diventerà beato facendo penitenza; Mentre padre Puccio la fa, Don Felice gode con la moglie del frate.

Filomena, finita la novella, tacque e la regina, ridendo, fece segno a Panfilo di continuare.
E Panfilo cominciò dicendo che c’erano persone che mentre si sforzavano di andare in Paradiso, senza accorgersene ci mandavano gli altri, come accadde ,non molto tempo addietro, ad una loro concittadina. Secondo quanto si diceva , vicino al convento francescano di San Pancrazio, viveva un uomo buono e ricco, chiamato Puccio di Rinieri, che, dedito alle cose dello spirito, si fece terziario francescano, col nome di frate Puccio. Seguendo la via dello spirito, trascurò la moglie e si diede tutto alla chiesa. Da ignorante e rozzo qual’era, pregava in continuazione, andava alle prediche, digiunava e faceva penitenza.
La moglie, che si chiamava Elisabetta, giovane, tra i ventotto e i trenta anni, fresca, bella e rotondetta come una mela di Casale, per la santità del marito era sempre a dieta, contro la sua volontà, e, quando voleva dormire col marito, lui le raccontava la vita di Cristo o il lamento della Maddalena.
In quel periodo tornò da Parigi un monaco conventuale di San Pancrazio, chiamato don Felice, giovanissimo, bello, intelligente e colto. Divenuto amico di frate Puccio, spesso e volentieri , si recava a casa sua a pranzo e a cena ; la moglie del frate, per compiacere il marito, li accudiva volentieri.
Il monaco, frequentando la casa, vedendo la donna così bella e rotondetta, ma sofferente, pensò di poter sostituire il marito e togliergli la fatica.
Ben presto, astutamente, suscitò in Elisabetta i suoi stessi desideri ; ma era molto difficile incontrarsi perché frà Puccio non usciva mai di casa.
Pensando e ripensando, don Felice escogitò un piano, che gli permettesse di stare in casa con la donna senza sospetto, nonostante anche il frate fosse in casa.
Un giorno, mentre era con il frate, gli disse che conosceva bene il suo desiderio di diventare santo e gli poteva insegnare una via per raggiungere la santità rapidamente. Ma il Papa e gli alti prelati, che la usavano, non volevano che si conoscesse perché avrebbero perduto le elemosine dei laici, cui tenevano tanto.
Fra Puccio promise solennemente che non ne avrebbe parlato con nessuno.
Il monaco ,allora, gli rivelò che i Santi Dottori facevano fare a chi voleva diventare beato una penitenza ,che lo avrebbe purgato dei peccati commessi e, anche di quelli che avrebbe fatto dopo. Tali peccati se ne sarebbero andati con l’acqua santa, come capitava con quelli veniali.
La penitenza consisteva, prima di tutto, nel confessarsi scrupolosamente, nel fare quaranta giorni di digiuno e nell’astinenza rigidissima dal toccare non solo le altre donne, ma anche la propria moglie.
Inoltre era opportuno che avesse in casa un luogo da cui, di notte, si potesse vedere il cielo. Colà doveva porre una tavola molto grande dove doveva appoggiare la schiena e stare in piedi, con le braccia aperte, come un crocifisso, e così doveva stare fino al mattino. Doveva, nel frattempo, recitare trecento Paternostri e trecento Avemarie in onore della Trinità . Poi, guardando il cielo, doveva sempre ricordare che Dio era il creatore del cielo e della terra e che Cristo era stato sulla croce come lui. All’alba se ne poteva andare nel suo letto a dormire. Al mattino seguente doveva andare in chiesa per udire almeno tre messe e recitare cinquanta Paternostri ,con altrettante Avemarie. In seguito ,doveva pranzare e nel pomeriggio, verso le sei, andare nuovamente in chiesa per recitarvi certe orazioni, senza le quali la penitenza non si poteva fare.
Se avesse seguito tutte le indicazioni, già prima di finire la penitenza, avrebbe sentito che cosa meravigliosa era la beatitudine eterna.
Frate Puccio, ben determinato, decise che avrebbe cominciato a fare penitenza la domenica successiva e, ritornato a casa ,raccontò ogni cosa alla moglie.
Ella, comprendendo il gioco del monaco, assecondò il marito,  promettendo che con lui avrebbe solo digiunato, ma non avrebbe fatto altro.
Venuta la domenica, frate Puccio cominciò la penitenza.
Il signor monaco, sicuro di non poter essere scoperto, per molte sere andava a cena dalla donna, portando ogni ben di Dio da mangiare e da bere. Poi giaceva con lei fino all’alba, infine, svegliatosi, se ne andava, e frate Puccio tornava nel suo letto.
Il luogo scelto per la penitenza si trovava vicino alla camera della donna, diviso da un sottilissimo muro. Durante la notte, i due amanti, nel fare l’amore con troppo ardore, provocavano delle scosse del pavimento della casa. Il frate, senza muoversi, chiamò la moglie e le chiese che cosa faceva. La donna, molto
scherzosamente, rispose che era lei che si dimenava perché non poteva dormire per il digiuno, infatti,  come  aveva sentito dire mille volte “ chi la sera non cena, la notte si dimena”
Credette, lo sciocco, che la moglie non poteva dormire per il digiuno e, in buona fede, le disse “Donna, te l’avevo detto di non digiunare, ma tu l’hai voluto fare, non pensare a ciò e cerca di riposare; ti dimeni tanto nel letto, che fai dimenare tutta la casa”.
La donna gli rispose di non preoccuparsi e di continuare nella sua penitenza. E frate Puccio riprese i suoi Paternostri.
La donna e il signor monaco da quella notte, fecero disporre in un’altra parte della casa un letto, dove stavano, in grande allegria, per tutto il tempo della penitenza di frate Puccio. Nello stesso momento il monaco se ne andava e la donna tornava nel suo letto, vicino al luogo della penitenza, dove rientrava il frate. Procedendo così le cose, la donna, scherzando col monaco, diceva che, grazie alla penitenza che faceva il marito, loro due avevano guadagnato il Paradiso.
Quando la penitenza finì, Elisabetta, apprezzando molto i cibi che le aveva fatto assaggiare il monaco, mentre il marito l’aveva tenuta lungamente a dieta, trovò il modo di continuare a nutrirsi con lui.
In conclusione, mentre frate Puccio, facendo penitenza, credette di mettersi in Paradiso, ci mise il monaco e la moglie, che con lui viveva nel bisogno di ciò che il monaco le donò abbondantemente.


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