lunedì 29 gennaio 2024

 

         L'AGRICOLTURA NELLA STORIA

         "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                          Quinta puntata 

In questa atmosfera quasi magica viene spontaneo chiedersi quale sia l'importanza delle piante e il valore della magia in relazione ad esse. E' innegabile che le piante hanno un importante ruolo nella vita degli uomini e nella magia. Esso deriva loro in parte dal fatto che alcune erbe hanno reali proprietà curative o letali. Infatti i santoni indiani o africani erano e sono ,ancora oggi, esperti erboristi e il loro lavoro è sempre associato a incantesimi e riti magici.

Nel mondo antico le erbe per uso magico dovevano essere tagliate con un coltello di bronzo. La sacerdotessa di Didone, infatti, usava erbe che erano state tagliate con un coltello di bronzo alla luce lunare (Echi di Roma antica. Antologia della Letteratura latina. Fratelli Ferraro Editori). Tre sono le piante più sacre a Roma: IL FICUS, L'OLEA e LA VITIS, coltivate nel foro romano della Roma repubblicana. 

Il FICO ruminale è l'albero fausto da ruma, che significa mammella. E' l'albero dove si è fermata la cesta contenente Romolo e Remo, in riva al Tevere e si è fermata la lupa per allattarli. 

L'OLIVO, da cui si estrae l'olio. L'olio migliore è quello della spremitura a freddo, fatto con le ulive ancora verdi e senza muovere i noccioli. La seconda spremitura schiaccia tutto il resto. I residui del frantoio vengono usati come commestibili per le lucerne. La spremitura a freddo è conservata fino ai nostri giorni. Roma importa olio dalla Spagna, ma i benestanti usano olio del suolo italico. la macina del frantoio antico viene descritta da Plinio. Macine antiche si trovano, ancora oggi, nelle campagne. 

LA VITE, una delle piante più antiche, è stata venerata dall'uomo fin dalle epoche primitive. Il suo protettore è Dioniso per i Greci, Bacco , per i Romani. A Bacco, dio della vite e della vendemmia, è dedicato un culto e la festività del Baccanale.

Vi è ,poi, il LAURUS NOBILIS, simbolo della sapienza divina, sacro al dio Apollo. Gli antichi Romani coltivano l'alloro, ritenendolo una pianta nobile, e lo pongono sul capo dei poeti e dei generali vittoriosi nelle battaglie. Creano, così, un ornamento circolare, simbolo di gloria e di vittoria da porre sul capo. Da questa corona , chiamata "Laurea", deriva il termine "Laurea" o "Laureato", cioè cinto di alloro.

Passiamo, ancora, al ROSMARINO officinalis, impegnato anticamente in riti propiziatori e in riti funebri, perchè si credeva che allontanasse gli spiriti maligni. Se una delle piante moriva, veniva subito ripiantata. Se morivano precocemente era  segno di sventura (Piante sacre della Roma antica. gogle. com).

Divinità protettrici dell'agricoltura sono, nell'età antica. CERERE, la dea dei campi. Con Esiodo ricordiamo un canto propiziatorio alla dea Cerere, che veniva cantato durante il lavoro:

<<Proteggi il gregge insieme ai pastori 

e vadano i malanni lungi dalle mie stalle.

Lontano la brutta fame, e che avanzino l'erba e le fronde.

Che noi mungiamo poppe gonfie

e il cacio ci frutti cibo e danaro.

e siano molte le nuove agnelle, dentro il mio ovile>>. (Guida in progress. Professione insegnante. Giunti Scuola.v.3°).

SATURNO, il dio della seminagione; 

SILVANO, il dio dei boschi;

FAUNO, il dio del gregge.

giovedì 18 gennaio 2024

 


        L'agricoltura nella storia

             "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                         Quarta puntata

Dalla Grecia arriva a Roma e al Sud-Italia un'ondata di cultura con la C maiuscola. Esiodo mi parla del trattato "De agri cultura" di MARCO PORCIO CATONE (234-149 a.C.) detto il Censore. Nasce a Tuscolo, nella campagna laziale, da una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Da fanciullo e giovinetto vive a lungo in Sabina, coltivando direttamente i campi con le sue braccia. L'opera viene composta intorno al 160 a. C. In essa viene enfatizzata la figura del buon agricoltore e del buon colono, forte e onesto, che Catone definisce "Vir bonus colendi peritus". Lo scritto vuol essere una guida per il pater familias. Contiene una serie di consigli su come disporre le piantagioni, illustra le tecniche agricole e i procedimenti di lavorazione, inserendo formule religiose, rituali e ricette di cucina.

 Lo scrittore ha tramandato anche qualche ricetta medica, di cui faceva uso per sè e per i suoi, più vicina alle pratiche di stregoneria che alla scienza medica, allora assai progredita fra i Greci: infusi di melograne acerbe, empiastri di cavoli pestati e simili. Un biografo maligno dice che, con questi sistemi, egli è campato fino a 85 anni, ma ha fatto morire la moglie e il figlio.

Continuiamo il nostro cammino, quando, dalla nebbia del passato, ecco emergere TITO LUCREZIO CARO (94-55 ? a. C.), di cui ci parla San Girolamo. Apprendiamo il suo dramma. Pare che lo scrittore sia stato colpito da follia e che si sia suicidato dopo aver preso un filtro d'amore. Nei momenti di lucidità compone il "De rerum natura", in cui parla della difficoltà del vivere nella terra che è inospitale, la vita è resa possibile dalle fatiche dell'agricoltura. La concezione epicurea viene esposta con dovizia. 

Esiodo è lietissimo per l'incontro con Lucrezio, che ha seguito il suo esempio nell'interessarsi della Natura. Mi spiega che in "Le Opere e i Giorni" ha fatto un discorso didascalico, con consigli e istruzioni per portare avanti proficuamente il lavoro. Ha inaugurato la poesia scientifica. Si sente, quindi, molto vicino a Lucrezio. E' questo il primo incontro dello spirito latino con quello greco, della cultura greca con quella romana. 

Tra le istruzioni che Lucrezio dà per la coltivazione dei campi, riprendiamo un passo dal libro IV del "De rerum natura", riguardante l'innesto. <<Esempio della semina e origine dell'innesto fu dapprima la natura stessa, creatrice di tutte le cose, poichè le bacche e le ghiande, cadute al suolo a tempo opportuno, producevano sotto i tronchi una selva di germogli, onde piacque agli uomini innestare polloni nei rami e piantare in terra nuovi virgulti per i campi. Quindi sperimentavano sempre nuove colture dell'amato campicello, e vedevano i frutti selvatici addolcirsi nella terra, dedicando ad essi, nel coltivarli, riguardi e amorose cure>>. ( Libro IV w 1361-1369).

Dopo poco, continuando per la nostra strada, incontriamo PUBLIO VIRGILIO MARONE (70 a.C- 19 a. C.), nativo di Antes, a poca distanza da Mantova. Appartiene ad una agiata famiglia di proprietari terrieri e trascorre la fanciullezza e la adolescenza nella malinconica pianura padana. La sua origine agreste lo rende particolarmente sensibile alla luce fraterna della natura e lo porta ad idealizzare la figura dell'agricoltore italico (L.Perelli- Storia della Letteratura Latina-Paravia).

La sua prima opera è "Le Bucoliche" o Ecloghe pastorali; ha come protagonisti i pastori e si  riallaccia al genere letterario dell'idillio, di cui è stato inventore Teocrito. Ricordiamo insieme la prima Ecloga, in cui Virgilio riporta il dialogo tra i due pastori, Titiro e Melibeo. Melibeo è costretto a lasciare il suo campo, per le espropriazioni delle terre ai contadini in favore dei veterani. Titiro, invece, conserva il proprio terreno, grazie all'interessamento di un uomo importante e se ne sta sdraiato all'ombra di un verde albero. Il poema virgiliano che celebra il lavoro dei campi e la natura agreste è " Le Georgiche", in quattro libri. Il poeta vuole ora appoggiare l'intento di Ottaviano di far rinascere in Italia la classe dei piccoli e medi proprietari terrieri. 

Esiodo gioisce dell'incontro in quanto Virgilio, nel primo libro, si è riportato allo spirito de "Le Opere e i Giorni". Dominano, infatti, i concetti dell'avarizia della terra e della fatica che il contadino deve compiere per vincere le forze ostili della natura. Il secondo libro tratta della coltivazione degli alberi e della vite. Vi sono, qui, tinte festose e la vita agreste è rappresentata nei suoi aspetti più lieti. Vi sono le lodi dell'Italia, terra benedetta dagli dei e dalla natura, madre delle messi e degli uomini forti. Nel terzo libro, che ha come tema l'allevamento delle api, si torna alla vita serena e attiva. Nell'opera si ha l'esaltazione del piccolo coltivatore laborioso e dei valori tradizionali Romani ( Laboriosità, frugalità, religiosità, culto della famiglia e della patria), che Ottaviano vuole ripristinare. La scena si fa più ricca. C'è Lucrezio che riesce a descrivere splendidamente il mormorio di un ruscello e la fioritura lussureggiante della primavera, la tempesta che rumoreggia nel bosco e la bellezza terribile di un temporale (Norden- Humanitas litterarum - Loffredo ed. Napoli).

Accanto c'è MARCO TULLIO CICERONE (106- 43 a. C.), che, nella attività poetica giovanile, traduce il poemetto astronomico di Arato di Soli, appunto gli "Aratea" che narra dei pronostici del tempo. Gli "Aratea", probabilmente, sono stati attentamente studiati da Lucrezio che ne trae spunti di versi e di immagini (Bignone- Humanitas litterarum- ed. Loffredo). Non dobbiamo, infatti, dimenticare che la letteratura latina ha inizio come opera di traduzione e di imitazione della letteratura greca. Frattanto Virgilio continua a dar consigli, nel "Moretum" (Appendix Virgiliana) per la coltivazione dell'orto. << Un orto c'era congiunto alla casupola, che pochi vimini e canne rinascenti, dal fusto sottile, proteggevano, limitato come estensione, ma fertile di varie erbe. nulla vi mancava........la sua coltivazione non costituiva una perdita di tempo, ma era una norma di diligente cura: se la pioggia o il dì festivo lo costringevano inoperoso nella povera casetta.....all'orto era dedicata la sua attività. Sapeva egli disporre in fila le varie piante ed affidare in grembo alla terra i semi e......incanalare con diligenza i ruscelli vicini. Qui il cavolo, qui le bietole........e la lattuga, gradita chiusura delle laute mense, qui serpeggia il cocomero e la radice si sviluppa in punta e la pesante zucca che si allarga in un ampio ventre (trad. di A.Salvatore)>>.

Ci viene incontro QUINTO ORAZIO FLACCO (65-8 a. C.) nato a Venosa, in Lucania. Il padre era liberto, di origine piccolo-borghese (L. Perelli). Ci racconta che, dopo la Battaglia di Filippi, nel 42 a. C. Mecenate gli ha fatto dono di una villa in Sabina, che è stata per lui un rifugio dalle noie e dalle brighe della vita cittadina. Seguace di Epicuro, sviluppa il tema del "Carpe diem", affermando l'ideale di una vita isolata dal mondo ostile che lo circonda. Nelle "Satire" ringrazia Mecenate per il dono della villa. Il tema della campagna e della quiete della villa è connesso al sentimento della stanchezza della vita e al desiderio di ritirarsi in sé stesso. (L. Perelli. Storia della Letteratura Latina- Ed. Paravia).