domenica 24 aprile 2016

COMUNICATO CONCLUSIVO

COMUNICATO CONCLUSIVO

Oggi, 23 Aprile 2016, mi avvio ad una riflessione sull’interesse suscitato dall’opera del Boccaccio e dal lavoro di rivisitazione da me umilmente svolto, cercando di rispettare lo spirito delle novelle. Tengo a sottolineare che il risultato è stato superiore ad ogni aspettativa.
I lettori, a tutt’oggi, sono stati 78812 con il coinvolgimento di tanti, tanti paesi, come di seguito riportato:

ITALIA                                           73257
STATI  UNITI                                  1277
SVIZZERA                                         799
GERMANIA                                      554
FRANCIA                                         361
RUSSIA                                            211
UCRAINA                                        120
ARGENTINA                                      85
REGNO UNITO                                 69
SPAGNA                                            66
POLONIA                                          51
SVEZIA                                             35
INDIA                                               23
MALTA                                             2o
BRASILE                                          18
EGITTO                                           20
BELGIO                                           13
MESSICO                                          7
CINA                                                30
ROMANIA                                         6
GIORDANIA                                     5
IRLANDA                                          5
PAESI BASSI                                  12
ALBANIA                                          4     
CANADA                                          7
VENEZUELA                                   4
S.MARINO                                       4
COLUMBIA                                   11   
EMIRATI ARABI                             2
PAKISTAN                                      2   
COREA DEL SUD                          2                                  
SLOVACCHIA                                9
TAILANDIA                                    6
PERU’                                             2
  UNGHERIA                                 2
ECUADOR                                    1
MALESIA                                      1
FILIPPINE                                    1
BULGARIA                                   1
TUNISIA                                       6
ZAMBIA                                        1
MAROCCO                                   1
SERBIA                                         1
ANDORRA                                    1
CAMBOGIA                                 1
AUSTRALIA                                 2


I dati sono approssimativi e non definitivi in quanto il blog continua ad essere frequentato in un crescendo veramente entusiasmante. Infatti ieri vi sono stati ben 370 visitatori ed oggi, alle ore 17,00, 234. Il successo dell’iniziativa mi ha indotto a proseguire il mio lavoro sulla narrativa. Vi comunico ,quindi, che su un nuovo blog continueremo i nostri incontri settimanali con un sorriso e tanta, tanta simpatia,
Il nuovo blog è : FRANCO SACCHETTI E IL Trecentonovelle- A puntate.


Luciana De Lisa Coscioni.     






martedì 5 aprile 2016

LA CRISI RELIGIOSA E LETTERARIA

LA  CRISI  RELIGIOSA  E  LETTERARIA

Appena divulgato il Decameron,il Boccaccio cominciò ad avvertire un profondo disagio morale e religioso, dovuto anche alle reazioni e alle critiche.
 Certo è che, per dirla con Pirandello, egli non aveva intenzione di scrivere un’opera così innovativa, lontana dal sentimento della trascendenza che aveva animato tutto il Medioevo.
 In lui si è reciso il legame trascendente e metafisico; sono la realtà e la sorte umana ,nelle sue infinite forme, che lo affascinano, gli prendono la mano.
Come ne “I sei personaggi in cerca d’aurore” , i protagonisti delle 100 novelle del Boccaccio si staccano dalle pagine ed acquistano una vita propria, con i loro istinti, le loro malizie, le loro debolezze, le loro illusioni.
“ Nel grande universo umano del Decameron entrano categorie della società che prima, nella letteratura eroica e lirica, non avevano diritto di accesso. Essi ora acquistano cittadinanza letteraria……….. sono i mercanti, i sensali, i contadini, gli artigiani, i frati buontemponi, i prelati mondani, le suore spericolate, i letterati, gli studenti, assieme ai ricchi borghesi, ai principi, ai cavalieri, alle gentildonne, alle avventuriere: una folla multiforme, vitalissima, incontenibile………,un’infinita molteplicità di tipi e di esperienze…..essi fanno la realtà e il tessuto della società”(Salvatore Battaglia: Le epoche della Letteratura Italiana- 1963).
Alle soglie dei 50 anni, con la vecchiaia che avanzava, lo scrittore si rese conto di aver compiuto con la sua opera uno sconvolgimento dei valori medioevali, cosa assolutamente indegna per un intellettuale educato all’etica cristiana.
Nel 1362 si presentò a lui il monaco Gioachino Ciani che si disse inviato da un confratello morto in odore di santità. Costui lo rimproverò per la vita passata e gli preannunziò l’eterna dannazione se non avesse abbandonato i ruoli profani.
Fu allora che egli pensò di dare alle fiamme il Decameron.
Scrisse di questa sua intenzione all’amico Petrarca che lo dissuase con una lettera in cui
affermava che non vi era conflitto tra religione e poesia.   



sabato 13 febbraio 2016

CONCLUSIONE DELL'AUTORE

CONCLUSIONE DELL’AUTORE

Io , Giovanni Boccaccio, concludo il mio lavoro rivolgendomi a voi,  nobilissime  giovani, dicendo che ho scritto per voi, con l’aiuto della grazia divina,  un’opera che mi è costata una grande fatica.
Sicuramente mi hanno giovato, nel portare a termine un lavoro così impegnativo, le vostre preghiere.
Ringrazio, quindi, prima di tutto Dio e poi tutte voi, prima di dar riposo alla penna e alla mano.
Prima di concedermi il meritato riposo  voglio dire alcune cosette (sicuro di non meritare alcun privilegio, come ho già accennato al principio della quarta giornata) per rispondere alle critiche che mi verranno mosse.
Alcune di voi potrebbero dire che ho usato troppe licenziosità nello scrivere le novelle, facendo alcune volte dire e molto spesso ascoltare cose che non erano adatte ad oneste donne.
 Nego ciò, perché, a mio parere, non vi è alcuna cosa così disonesta che non sia adatta a qualcuno, se la si dice con parole oneste, come ho fatto. Ma se pure così fosse, non intendo discutere  ,perché sarei sicuramente sconfitto.
Preferisco rispondere perché ho mille buone ragioni.
Innanzitutto se vi è, in alcune novelle, qualche licenziosità, l’ha richiesta il tipo della novella stessa, che se non fosse stata narrata in quel modo, secondo gli intenditori, avrebbe perso tutta la sua verve. E seppure vi è qualche cosa un po’ spinta, che non si addice ad una bizzoca, che pesa più le parole che i fatti e si preoccupa più di apparire che di essere buona, ritengo che non mi debba essere vietato averle scritte.
Allo stesso modo non è vietato agli uomini e alle donne dire parole come “foro” e “caviglia” e “mortaio” e “pestello” e “salsiccia” e “mortadello” e tante altre parole a doppio senso.
Alla mia penna deve essere concessa la stessa libertà data al pennello di un pittore, che ,senza alcun rimprovero, dipinge liberamente San Michele che ferisce il serpente con la spada e San Giorgio il dragone, ma dipinge anche Cristo maschio ed Eva femmina e lo stesso Cristo , quando volle morire sulla croce per salvare il genere umano, mentre gli venivano conficcati nei piedi uno o due chiodi.
Tutte quelle cose, di cui ho detto, e altre più indecenti si possono trovare, non nella chiesa, dove se  ne parla usando solo vocaboli onestissimi, ma nelle storie ecclesiastiche ed ,ancora, nelle scuole dei filosofi.
E se ne parla non soltanto tra religiosi e filosofi, ma, per divertimento, anche tra persone giovani e mature, non influenzabili da novelle, in un tempo in cui si mettono pure le brache sul capo per salvarsi.
Le cose dette ,di qualsiasi tipo, possono nuocere o giovare , come tutte le altre, a seconda dell’ascoltatore.
Chi non sa che il vino fa bene agli uomini, secondo Cinciglione , Scolaio( l’Ubriacone) e molti altri, ma fa molto male a chi ha la febbre? Chi non sa che il fuoco è utilissimo, anzi necessario ai mortali? Ma tutti sostengono che è malvagio se brucia le case, le ville, le città. Allo stesso modo le armi difendono la vita di coloro che vogliono vivere in pace, ma uccidono gli uomini, se vengono usate dai malvagi.
Nessuna mente corrotta ascolta alcuna parola con purezza. A quella non giovano le parole oneste, come le parole che non sono oneste non possono corrompere le persone pure. Ugualmente il fango non può oscurare i raggi del sole e le brutture terrene le bellezze del cielo.
Quale cosa è più santa, più degna di rispetto, delle Sacre Scritture? Eppure vi sono stati alcuni (gli eretici) che, male interpetrandole, hanno condotto altri alla perdizione.
Ciascuna cosa è ,di per sé, buona, può essere nociva, se male adoperata, così anche le mie novelle.
Esse non impediscono a chi lo voglia di trarne cattivi consigli e malvagie operazioni. Chi, invece, lo vuole, ne può ricavare utilità e frutto e, sicuramente, ciò avverrà se saranno lette in quel periodo e da quelle persone per le quali sono state raccontate.
Le bizzoche, che dicono le preghiere e fanno il migliaccio e le torte al proprio confessore, le devono lasciar stare.
Le mie novelle non corrono dietro a nessuna donna per farsi leggere, benché le bigotte dicono una cosa e ne fanno un’altra, se se ne presenta l’occasione.
Ugualmente vi saranno alcune donne che diranno che sarebbe stato assai meglio che delle novelle non ci fossero.Ma ho scritto soltanto quelle che mi erano state raccontate, le donne che le raccontarono dovevano sceglierle belle ed io le avrei scritte belle.
Ma , supponendo che le avessi inventate e scritte io stesso, cosa che non è, non mi vergognerei se alcune non fossero proprio belle. Infatti non si può trovare un maestro, al di fuori di Dio, che faccia ogni cosa alla perfezione. Lo stesso Carlo Magno, che, per primo, fece i paladini, non seppe farne tanti da poter fare un esercito solo con loro.
Conviene che in tante cose diverse, si trovi una diversa qualità.
Nessun campo è così ben coltivato che non si possano  trovare in esso, mescolati a tante erbe ottime, l’ortica, le piante spinose e i pruni.
Inoltre, raccontando a giovinette semplici, come lo sono loro, sarebbe stata una sciocchezza affaticarsi ed andare a cercare  cose troppo raffinate e mettere gran cura nel parlare.
Tuttavia chi le leggerà lasci stare le novelle pungenti e scelga quelle che divertono. Esse, per non ingannare nessuno, portano indicato ,sul frontespizio, l’argomento di cui trattano.
Ancora , credo che ci sarà chi dirà che ce ne sono di troppo lunghe. A costui dico che, se uno ha da fare, è folle leggere quelle lunghe, ma ve ne sono anche di brevi.
Sebbene sia passato molto tempo da quando cominciai a scrivere, non ho dimenticato di aver offerto il mio lavoro alle donne oziose e non alle altre. Nessuna cosa può essere lunga a chi legge per passare il tempo.
Le letture brevi si addicono agli studenti, i quali devono adoperare il tempo utilmente, non lo devono solo far passare, mentre le donne hanno a disposizione tutto il tempo che non spendono nei piaceri dell’amore.
Inoltre, poiché nessuna di loro va a studiare né ad Atene, né a Bologna, né a Parigi può parlare più di quelli che hanno le menti affinate dagli studi.
Non dubito che ci saranno ancora altre che diranno che le cose dette sono troppe, piene di motti e di ciance e mal si adatta ad un uomo posato e serio  aver scritto in tal modo. Ringrazio quelle persone che, spinte da buone intenzioni, si preoccupano della mia fama. Ma voglio rispondere in tal modo alle loro obiezioni.
 Confesso di essere pesante e di esserlo stato per un lungo periodo della mia vita. Perciò parlando alle donne, che non mi hanno considerato pesante, affermo di non essere pesante ma di essere così leggero , che sto a galla sull’acqua.
Infine, considerando che le prediche, che fanno i frati ai fedeli per rimproverare gli uomini delle loro colpe, sono piene di motti, di burle e di stupidagini, ho pensato che gli stessi frati non stessero male nelle mie novelle, scritte per cacciare la malinconia delle donne. Ma, se si divertiranno troppo, potranno leggere il lamento di Geremia, la passione di Cristo e il lamento della Maddalena, che le potranno guarire.
Altre mi accuseranno di avere una lingua malvagia e velenosa, perché in qualche storia ho scritto la verità sui frati. Voglio perdonarle  perché credo che le spinga un giusto motivo. Infatti i frati sono buone persone , fuggono le tentazioni per amor di Dio e prendono quando possono e non lo raccontano. Se non che sono tutti un po’ caproni e sarebbe molto piacevole discutere con loro.
In effetti le cose del mondo non sono stabili, ma cambiano continuamente, così potrebbe essere cambiata la mia lingua, la quale ,come mi disse una mia vicina, era la migliore e la più dolce del mondo. In verità, quando mi disse ciò, mi rimanevano da scrivere ancora poche novelle.
Perciò ritengo che quello che ho detto basti come risposta a quelle invidiose.
Lasciando ormai ciascuna libera di dire e credere come le pare, è tempo di terminare, ringraziando Colui che mi condotto alla desiderata fine dell’opera con il suo aiuto.Mi rivolgo, infine, alle garbate donne, augurandomi che si ricordino di me, se trarranno alcuna utilità dalla lettura delle novelle.Qui finisce la Decima e ultima giornata del libro chiamato Decameron ,soprannominato principe Galeotto.
     





domenica 24 gennaio 2016

DECIMA GIORNATA - CONCLUSIONE

DECIMA GIORNATA – CONCLUSIONE

La novella di Dioneo era finita e le donne ne avevano molto discusso, chi dicendo una cosa, chi un’altra, lodando o biasimando una cosa o un’altra.
Il re ,levato il viso verso il cielo, vide che il sole stava tramontando ed era l’ora del vespro. Senza alzarsi, disse “ O eleganti donne, conoscete bene che dagli uomini sapienti è stimato grande senno non solo ricordare le cose passate o conoscere le presenti, ma prevedere le cose future.
Come voi sapete, domani saranno quindici giorni che noi uscimmo da Firenze per poter prendere ristoro e salvarci la vita, fuggendo le malinconie, i dolori e le angosce, che affliggono la nostra città ,da quando è scoppiata la peste. A mio parere, abbiamo agito onestamente, sebbene siano state narrate novelle liete e che spingevano al piacere e si sia mangiato, bevuto, suonato e cantato( cose tutte che avrebbero potuto spingere le menti deboli a cose poco oneste). Nessuna azione, nessuna parola, nessuna cosa da biasimare da parte vostra e nostra è stata detta o fatta. Mi è sembrato di vedere e sentire onestà, concordia, amicizia fraterna; il che mi ha dato grande gioia. Perciò, affinché lo stare troppo tempo insieme non si trasformi in fastidio e nessuno possa criticare il nostro dimorare insieme troppo a lungo, avendo tutti noi avuto l’onore di reggere la compagnia, onore che io ancora esercito, ritengo opportuno, se siete d’accordo, di ritornare là da dove partimmo.
Questo eviterà che la nostra brigata, di cui intorno si è sentita notizia, possa aumentare così da toglierci ogni gioia. Dunque, se approvate, conserverò la corona donatami fino alla nostra partenza, fissata da me per domani mattina. Se poi deciderete diversamente, già so chi devo incoronare per il giorno seguente.”.
Dopo molte discussioni tra le donne e i giovani, tutti decisero di fare ciò che il re aveva proposto.
Il re, allora, chiamato il siniscalco, stabilì con lui cosa dovesse fare per la mattina seguente.
Poi, licenziata la brigata fino all’ora di cena, si alzò in piedi. Anche le donne e gli altri si alzarono e fecero vari giochi per divertirsi.
Venuta l’ora di cena, pranzarono allegramente. Dopo cena cominciarono a suonare e a cantare.
Mentre la Lauretta danzava, il re comandò alla Fiammetta di cantare una canzone.
E Fiammetta cominciò a cantare la canzone della gelosia dicendo :
Se l’amore venisse senza gelosia
io sarei la donna più lieta del mondo.
Se la giovinezza di un bell’amante
deve appagare una donna,
o il valore o il coraggio o la prodezza
o il senno, la nobiltà, l’eloquenza raffinata,
o le imprese compiute,
io sono colei che, essendo innamorata,
vedo tutte queste virtù nel mio amore.
Ma, siccome penso che
altre donne sono sagge come me,
tremo di paura
e credo al peggio:
ritengo che le altre desiderino
colui che mi ha rapito l’anima.
E così colui che è la mia somma fortuna
mi fa, sconsolata,
sospirare molto e vivere male.
Se io sentissi che il mio signore è fedele
quanto è valoroso,
non sarei gelosa:
ma si vedono tante donne
che invitano ad amare,
che io ritengo colpevoli tutti gli uomini.
Questo mi addolora e morirei volentieri,
e sospetto di chiunque lo guardi
e temo che me lo porti via.
In nome di Dio, dunque, prego
ciascuna donna che non
mi rechi questa offesa;
perché, se ve ne sarà alcuna
che con le parole, i cenni e le dolcezze
mi procurerà questo dolore,
se lo saprò, possa essere sfregiata,
se non le farò piangere
amaramente tale follia.


Come la Fiammetta ebbe finito la canzone, Dioneo, che le era al lato, ridendo, le chiese di far conoscere a tutte il suo amante, in modo da evitare che qualcuna potesse tentarlo, ignorando che apparteneva a lei.
Dopo di ciò, cantarono anche le altre, fino a metà notte, poi tutti andarono a riposare.
Come apparve il nuovo giorno, avendo il siniscalco già mandato via ogni loro bagaglio, ritornarono a Firenze, guidati dal loro re.
I tre giovani lasciarono le sette donne in Santa Maria Novella, da dove erano partiti, dopo averle salutate, e si dedicarono ad altre attività.
Le donne, quando piacque loro, se ne tornarono alle proprie case.










sabato 9 gennaio 2016

DECIMA GIORNATA - NOVELLA N.10

DECIMA GIORNATA – NOVELLA N.10

Il marchese di Salluzzo, costretto dalle preghiere dei suoi uomini a prender moglie, per prenderla di suo gusto , sceglie la figliuola di un contadino da cui ha due figli, i quali le fa credere di aver ucciso. Poi le dice di non amarla più e di aver preso un’altra moglie, portandole in casa la propria figliuola come se fosse sua moglie. Avendola cacciata di casa in camicia, vede che ella sopporta ogni cosa con pazienza. Per questo la riprende in casa più cara che mai, le mostra i suoi figli ,ormai grandi, e come marchesa la onora e la fa onorare.

Finita la lunga novella, che era piaciuta a tutti, Dioneo, ridendo, disse che il buon uomo che aspettava la notte seguente per far abbassare la coda ritta del fantasma, avrebbe pagato pochi soldi per tutte le lodi che esse rivolgevano a messer Torello.
Poi, dato che toccava solo a lui raccontare, cominciò dicendo che, come a lor tutte era chiaro, quel giorno era stato dedicato a re, a sultani e a gente di quel genere. Non si sarebbe, dunque, allontanato di molto perché voleva parlare di un marchese, non per la di lui magnificenza, ma per la sua matta bestialità.
Anche se , alla fine, la vicenda si concluse per il meglio, non consigliava a nessuna di loro di seguire quell’esempio.
Molto tempo prima, tra i marchesi di Salluzzo, vi fu ,come capofamiglia, un giovane chiamato Gualtieri.
Costui, essendo senza moglie e senza figli, spendeva il suo tempo nell’andare a caccia di uccelli e di altri animali, né aveva alcuna intenzione di prender moglie e si riteneva per questo molto saggio.
I suoi sudditi più volte lo pregarono di ammogliarsi, affiché egli non rimanesse senza eredi e loro senza signore.
Si offrirono di trovargliene una che discendesse da padre e madre di nobili origini, che potesse accontentarlo.    
Ad essi Gualtieri rispose che era ben deciso a non prendere mai moglie, per timore di potersi imbattere in una donna non adatta a lui. Il dire che gli avrebbero scelto una donna che avesse come garanzia i costumi del padre e della madre, non lo rassicurava perché quella era una sciocchezza. Infatti, spesso, le figliuole erano dissimili dai padri e dalle madri.Li voleva accontentare, ma voleva scegliere una moglie che gli piacesse, in modo che, se le cose fossero andate male, doveva prendersela solo con sé stesso.
Aggiunse che voleva trovarsela egli stesso e che la sua sposa doveva essere onorata da tutti loro.
I suoi uomini risposero che erano contenti, l’importante era che prendesse moglie.
Già da tempo erano piaciuti a Gualtieri i costumi di una povera giovinetta, che abitava in un villaggio vicino a casa sua. Gli sembrò molto bella e ritenne che con lei avrebbe vissuto una vita felice.
Decise, quindi, di volerla sposare e, fattosi chiamare il padre, che era poverissimo, si accordò di prenderla in moglie. Fatto ciò, radunò tutti i suoi amici e disse loro che stava per soddisfare il loro desiderio.
Gli avevano promesso che sarebbero stati contenti ed avrebbero onorato qualsiasi donna avesse scelto. Era giunto il momento per lui di mantenere la sua promessa ed anche per loro.
Aveva trovato una giovane che gli piaceva lì vicino, intendeva prenderla in moglie e portarla a casa di lì a poco.
Pensassero loro a preparare una bella festa di nozze per poterla ricevere con onore, in modo che fossero tutti soddisfatti di aver rispettato le promesse fatte.
I suoi sudditi, ben lieti,assicurarono che avrebbero rispettato e onorato la moglie del loro signore.
Poi tutti si misero a preparare le nozze, fastose e ricche,invitando i loro amici, i parenti e gli altri gentiluomini del luogo. Lo stesso fece Gualtieri ,che fece ,inoltre, cucire ricchi abiti, provandoli su una giovane che fisicamente gli sembrava che somigliasse alla giovinetta che stava per sposare.
Oltre a ciò, predispose cinture e anelli e una ricca e bella corona e tutto ciò che si addiceva ad una novella sposa.
Giunto il giorno fissato per le nozze, Gualtieri verso le otto di mattina montò a cavallo insieme con alcuni che erano venuti ad onorarlo e, avendo organizzato ogni cosa, disse” Signori, è giunto il momento di andare a prendere la novella sposa”.
Si misero in viaggio e, dopo poco, giunsero alla villetta.
Nei pressi della casa del padre trovarono la giovane che tornava dalla fonte con l’acqua, in gran fretta per andare a vedere la sposa di Gualtieri.
Come il gentiluomo la vide ,la chiamò per nome, cioè Griselda, e domandò dove fosse il padre. Ella, timidamente, rispose che era in casa.
Gualtieri, entrato in casa, trovò il padre di lei, che si chiamava Giannucolo, e gli disse “ Sono venuto per sposare la Griselda, ma prima le voglio fare alcune domande, in tua presenza”.
Le chiese se, una volta diventata sua moglie, si impegnava a compiacerlo, a non turbarsi per qualunque cosa egli dicesse o facesse ,ad essere sempre obbediente ed altre cose simili.
Allora Gualtieri ,presala per mano, la condusse fuori, alla presenza di tutta la sua compagnia, la fece spogliare ignuda e rapidamente le fece vestire e calzare con gli abiti che aveva fatto fare, e sui capelli, spettinati com’erano, fece mettere la corona.
A tutti , che lo osservavano stupiti, spiegò che quella era la donna che aveva scelto come moglie, se ella lo voleva come marito.
Poi, rivolto a lei, che se ne stava vergognosa ed incerta, le disse “ Griselda, mi vuoi come marito?”.
Ed ella rispose “ Signor mio, si”.
Ed egli disse “ Ed io voglio te per mia moglie”. Ed in presenza di tutti la sposò.
La fece montare su un cavallo e la condusse a casa, dove fu fatta una festa di nozze ricca e bella, come se fosse stata la figlia del re di Francia.
La giovane sposa mutò con gli abiti anche l’animo e i costumi.
Oltre che bella divenne anche attraente, piacevole e garbata, tanto che non sembrava essere stata figlia di Giannicolo e guardiana di pecore, ma piuttosto la figlia di un nobile signore.
Ciò faceva meravigliare ogni uomo che l’aveva conosciuta prima.
Inoltre era servizievole e obbediente al marito, tanto che egli si riteneva il più contento e appagato uomo del mondo.
Anche verso i sudditi del marito era tanto garbata e gentile che non c’era nessuno che non l’amasse e la onorasse, pregando per la sua salute.
Tutti, mentre prima dicevano che il loro signore era stato poco saggio a prenderla in moglie, ora lo ritenevano molto saggio perché aveva saputo vedere le grandi virtù della donna, nascoste sotto i poveri panni e l’abito contadino.
In breve, Griselda seppe conquistarsi l’affetto e la stima di tutti i sudditi.
Non molto dopo le nozze ella ingravidò e partorì una bambina, con grande gioia di Gualtieri.
Poco dopo , il marchese ebbe uno strano pensiero; volle provare con cose intollerabili la pazienza della moglie.
Dapprima la ferì con parole, dicendole che i sudditi non erano contenti di lei per la sua umile condizione, perché generava figli di umile origine, che erano scontenti della figlia che era nata e mormoravano continuamente.
Udendo quelle parole, la donna, senza cambiare espressione o buone intenzioni, disse “ Signor mio, fa di me quello che ritieni più onorevole per te e ti dia più consolazione; io sarò contenta ben sapendo che sono inferiore a loro e non sono degna dell’onore che mi facesti”.
Gualtieri apprezzò molto quella risposta, vedendo che la moglie non si era insuperbita per la condizione ,cui era stata elevata.
Poco tempo dopo disse alla moglie che i sudditi non potevano sopportare la fanciulla nata da lei e le mandò un servo che, con viso molto triste, le disse “ Madonna, il mio signore mi ha comandato di prendere la vostra figliuola per………” e più non aggiunse.
La donna, udendo le parole ,vedendo il viso del servitore e ricordando le promesse da lui fatte, comprese che al servo era stato ordinato di uccidere la figlia.
Prese la bimba dalla culla, la baciò, la benedisse e, sebbene sentisse nel cuore un gran dolore, senza cambiare espressione del viso, la pose in braccio al servitore ,dicendogli “Tieni, fa ciò che il tuo signore ti ha ordinato, ma evita che le bestie e gli uccelli la divorino, a meno che egli non te lo abbia ordinato”.
Il servitore prese la bimba e riferì la risposta la risposta a Gualtieri che si meravigliò per la forza d’animo della moglie.
Il signore mandò il servo con la piccola a Bologna da una parente a cui l’affidò perché la crescesse e la educasse come se fosse sua figlia.
In seguito la moglie ingravidò di nuovo e, a tempo debito, partorì un figlio maschio, che fu molto caro a Gualtieri.
Non soddisfatto di quello che aveva fatto, con maggire crudeltà colpì la donna e le disse “ Donna, dopo che partoristi questo figlio maschio, non ho potuto più vivere con i miei uomini ,perché essi si rammaricano che dopo di me debba divenire loro signore un nipote di Giannucolo. Di questo mi preoccupo e ritengo che, se non voglio essere cacciato, mi convenga fare ciò che feci l’altra volta e alla fine lasciare te e prendere un’altra moglie”.
La donna, pazientemente, l’ascoltò e rispose soltanto che egli doveva fare quello che riteneva di suo gradimento, senza preoccuparsi di lei, a cui stavano a cuore solo le cose che piacevano a lui.
Poco dopo Gualtieri, come aveva mandato a prendere la figlia, mandò a prendere il figlio, e, facendole credere di averlo ucciso, lo mandò a Bologna per farlo crescere, come aveva fatto con la bambina.
La donna si comportò come aveva fatto per la figlia, senza mutare espressione, né aggiungere altre parole.
Il marito si meravigliava molto della cosa, pensando che nessuna donna poteva fare quello che la moglie faceva. Sapeva che era saggia e affezionatissima ai figli, fino a che egli glielo permetteva, altrimenti avrebbe pensato che non gliene importava niente.
I suoi sudditi credendo che il signore avesse fatto uccidere i suoi figli ,lo biasimarono molto , lo ritennero un uomo crudele e avevano grandissima compassione per la donna.
Ella, con le donne che si dolevano con lei per la morte dei figli, disse soltanto che a lei piaceva ciò che piaceva a colui che li aveva generati.
Passati diversi anni dalla nascita della fanciulla, a Gualtieri sembrò fosse giunto il momento di provare ancora una volta le capacità di sopportazione della moglie.
Con i suoi sudditi disse che non poteva più tollerare di avere per moglie Griselda, che aveva sbagliato nello sposarla e voleva chiedere al Papa una dispensa che gli consentisse di sposare un’altra donna.
Gli uomini lo sconsigliarono ,ma egli fu irremovibile.
La donna, sentendo quelle cose, ritenne di dover tornare a casa a guardare le pecore, come aveva fatto da ragazza, e di dover vedere un’altra donna a fianco dell’uomo cui voleva un gran bene. Provò un grande dolore nel suo intimo, ma esternamente si dispose a sopportare anche quella prova con viso fermo.
Non molto dopo Gualtieri fece giungere da Roma alcune lettere false per far credere ai sudditi che il Papa gli aveva concesso la dispensa di poter prendere un’altra moglie e di lasciare Griselda.
La fece andare davanti a lui e, alla presenza di molti, le disse “Donna, per concessione del Papa, posso prendere un’altra donna e lasciare te. Poiché i miei antenati furono gentiluomini e signori di queste contrade e i tuoi sono stati sempre contadini,voglio che tu non sia più mia moglie e te ne torni a casa di Giannucolo, con la dote che mi portasti .Io porterò qui, come moglie, un’altra donna che ho trovato, più adatta a me”.
Griselda, faticosamente, oltre la natura delle donne, trattenne le lacrime e rispose “Signor mio, ben sapevo che la mia umile condizione non si addiceva, in alcun modo, alla vostra nobiltà. Tutto ciò che ebbi da voi e da Dio lo ritenni un dono, non per sempre, ma dato in prestito. Se a voi piace riprenderlo, a me non deve dispiacere rendervelo. Ecco l’anello con cui mi sposaste, prendetelo. Ordinatemi di riportarmi indietro la dote che vi recai, non ci sarà bisogno di una borsa ,né di un somaro, perché non ho dimenticato che mi aveste ignuda. Se ritenete onesto che questo mio corpo, nel quale ho portato i figli generati da voi, sia veduto da tutti, me ne andrò ignuda. Ma, vi prego, in premio della verginità che vi recai, che possa portare con me almeno una camicia, oltre la mia dote”.
Gualtieri ,che pure aveva voglia di piangere, con viso duro ,le consentì di portare con sé una camicia.
Tutti coloro che erano presenti lo pregarono di donarle degli abiti ,perché colei che era stata per tredici anni come sua moglie in quella casa non fosse veduta uscirne così vergognosamente e poveramente in camicia.
Ma a nulla valsero le preghiere e la donna, raccomandati tutti a Dio, in camicia, scalza e senza alcun copricapo, uscì di casa e se ne tornò dal padre, mentre tutti coloro che la videro andar via piangevano.
Giannucolo, che non aveva mai ritenuto vero che Gualtieri l’avesse sposata, si aspettava ogni giorno che quell’evento accadesse, perciò le aveva consegnato i vestiti che si era tolta quando il marchese l’aveva sposata. Glieli portò e Griselda, dopo essersi rivestita, si mise a fare nella casa paterna piccoli servizi, come era solita fare, sopportando con animo forte i duri colpi della fortuna nemica.
Gualtieri, mandata via la moglie, fece credere a tutti i sudditi che aveva scelto una figliuola dei conti di Panico. Ordinò che si facessero grandi preparativi per le nozze e mandò a chiamare Griselda, chiedendole di preparare le camere e tutte le altre cose necessarie per ricevere con onore la nuova sposa. Aggiunse che nessun’altra donna avrebbe potuto farlo meglio di lei , che era di casa. Concluse dicendo che poteva invitare tutte le donne che voleva e riceverle come se fosse stata la padrona di casa. Poi, celebrate le nozze, se ne poteva tornare a casa sua.
Anche se quelle parole furono una pugnalata al cuore, Griselda, non avendo potuto togliersi dalla mente l’amore che gli portava, rispose “ Signor mio, sono pronta”.
Entrata con le vesti contadinesche in quella casa da cui poco prima era uscita in camicia, cominciò a spazzare, ad ordinare le camere, a porre drappi nelle sale, a far preparare le pietanze per il banchetto ed ogni altra cosa, come se fosse una piccola servetta della casa. Non si fermò mai finché non ebbe sistemato tutto come era conveniente. Fatto ciò, invitò tutte le donne della contrada e cominciò ad attendere.
Gualtieri aveva fatto allevare i figli a Bologna da una sua parente sposata, che viveva in casa dei conti di Panico. La fanciulla aveva già dodici anni ed era la più bella cosa che si potesse vedere , il fanciullo aveva sei anni. Mandò a dire al suo parente di andare con la figlia e il figlio a Saluzzo, di portare una bella compagnia e di dire a tutti che conduceva la fanciulla in sposa al marchese. Gli raccomandò di non dire a nessuno chi ella fosse realmente.
Il gentiluomo fece come il marchese gli aveva chiesto, si mise in cammino e, dopo pochi giorni, con la fanciulla, il fratello e tutta la compagnia, all’ora di pranzo, giunse a Salluzzo. Lì trovò tutti i paesani ed altri invitati che attendevano le novella sposa del marchese.
La fanciulla, accolta dalle donne, venne nella sala dove erano state messe le tavole.
Griselda, vestita con i suoi poveri panni, le andò incontro lietamente e le diede il benvenuto.
Le donne, che avevano pregato Gualtieri di lasciare che Griselda stesse in un’altra stanza o che potesse indossare gli abiti che erano stati suoi, si misero a sedere e furono servite.
Tutti gli uomini lodarono molto la fanciulla, ritenendo che il signore avesse fatto un buon cambio.
Anche Griselda lodava lei e il fratellino.
Gualtieri, apprezzando molto il comportamento della donna, vedendo che non si modificava per niente, conoscendola bene, sapeva che cosa nascondeva sotto la sua espressione ferma.
La fece, dunque, chiamare e le chiese che cosa le sembrava della sua sposa.
Griselda rispose “Signor mio, mi sembra che vada molto bene; se poi è saggia quanto è bella, come credo, non dubito che possiate vivere come l’uomo più felice del mondo. Ma, vi prego, non date a questa quelle punture
che avete dato all’altra, che fu vostra, perché credo che non le potrebbe sostenere. Infatti è giovane ed ,ancora, è stata allevata con raffinatezza, mentre l’altra era stata abituata alle fatiche, fin da bambina”.
Il marchese ,poiché vide che Griselda era convinta che la fanciulla dovesse essere sua moglie, pure ne parlava bene, la fece sedere vicino a lui e le disse “Griselda, è tempo ,ormai, che tu conosca il risultato della tua lunga pazienza e che coloro che mi hanno ritenuto crudele, ingiusto, bestiale conoscano che facevo ciò per un fine prestabilito. Volevo, infatti, insegnare a te ad esser moglie, a loro a sapersela tenere, a me ad avere eterna tranquillità, finché vivessi, cosa che temetti  potesse non avvenire, quando ti presi per moglie. Perciò così ti punsi e ti tormentai. Ma mi sono accorto che non hai mai smesso di farmi piacere e di darmi quella consolazione che desideravo. Desidero, dunque, renderti, in una sola ora, ciò che ti tolsi in molte ore, e ristorarti, con molta dolcezza, delle punture che ti diedi. Sappi che quella ,che credi sia una sposa, è tua figlia e il fratello è tuo figlio, i quali  tu e molti altri credeste, per lungo tempo, che io, crudelmente, avessi fatto uccidere. Sappi che sono tuo marito, ti amo sopra ogni altra cosa e ritengo di potermi reputare felice perché ho una moglie come te”.
Così detto, l’abbracciò e insieme con lei, che piangeva di gioia, andò verso la figlia che, sorpresa, sedeva , ascoltando quelle cose. Abbracciò teneramente lei ed il fratello, svelando a tutti l’inganno.
Le donne, lietissime, finito il pranzo, se ne andarono in camera di Griselda. Le tolsero i suoi panni contadineschi e la rivestirono con abiti nobili e, come padrona, la ricondussero nella sala, dove i figli e il marito l’accolsero con grande festa.
I festeggiamenti durarono per molti giorni. Tutti reputarono molto saggio Gualtieri, sebbene ritenessero troppo dure le prove cui aveva sottoposto la moglie. Ma, soprattutto, stimarono ancora più saggia Griselda.
Dopo alcuni giorni ,il conte di Panico ritornò a Bologna. Gualtieri tolse Giannucolo dal suo lavoro e se lo portò con lui, come suo suocero, onorandolo e rispettandolo finché visse.
Infine, maritata degnamente la figlia, visse con Griselda, onorandola più che poteva, a lungo e serenamente.
Si poteva, dunque, aggiungere che anche nelle povere case piovevano dal cielo spiriti divini, mentre in quelle reali uomini che non erano degni di guardare nemmeno i porci piuttosto che di governare.
Chi avrebbe potuto sopportare con viso non solo sereno, ma lieto, le prove crudeli cui Gualtieri sottopose Griselda? Per lui sarebbe stato giusto che si fosse imbattuto in una donna che, quando l’aveva cacciata fuori di casa in camicia, si fosse fatta scuotere la pelliccia da un altro, in modo da ottenerne una bella veste.