giovedì 16 luglio 2015

NONA GIORNATA - NOVELLA N.6

NONA GIORNATA – NOVELLA N.6

Due giovani sono ospitati da un tale; dei quali ,l’uno va a giacere con la figlia, e la moglie di lui senza accorgersene, giace con l’altro; quello che era con la figlia si corica col padre e gli dice ogni cosa, credendo di parlare con il compagno; fanno chiasso, discutendo insieme; la donna, resasi conto della cosa, entra nel letto della figlia e, con parole opportune, mette ogni cosa a posto.

Calandrino anche quella volta fece ridere la brigata.
Come le donne tacquero, la regina impose a Panfilo di raccontare.
Ed egli incominciò dicendo che il nome di Niccolosa, amata da Calandrino, gli aveva fatto venire in mente una novella di un’altra Niccolosa. La voleva raccontare perché potessero vedere come, con un rapido accorgimento, una saggia donna aveva evitato un grande scandalo.
Nella piana di Mugnone vi fu, non era ancora passato molto tempo, un buon uomo che dava ai viandanti da mangiare e da bere a pagamento e, sebbene fosse povero e avesse una piccola casa, in caso di necessità, ospitava qualche conoscente.
Egli aveva per moglie una donna molto bella e  due figli; la prima era una giovinetta bella e leggiadra, di quindici anni, che non aveva ancora marito. Il secondo era un bambino piccolo, che non aveva ancora un anno, che la madre stessa allattava.
Della giovane si era perdutamente innamorato un giovinetto gentile e garbato di Firenze ,che passava spesso per quella contrada. Anch’ella si rallegrava di essere amata da un giovane così bello e man mano si innamorava sempre di più.
Essi si sarebbero uniti da tempo se Pinuccio, come si chiamava il giovane, non avesse temuto il biasimo per la giovane e per sé stesso. Ma ,aumentando, giorno per giorno,l’ardore reciproco, Pinuccio desiderò di incontrarsi con lei.
Pensò, allora, di farsi ospitare dal padre di lei. Poiché conosceva bene la disposizione della casa, riteneva che si potesse incontrare con la ragazza, senza che nessuno se ne accorgesse.Subito si adoperò per attuare il suo progetto.
Con un suo compagno, chiamato Adriano, che sapeva del suo amore, presi a nolo due ronzini e poste sopra due valigie, forse piene di paglia, uscì da Firenze. Giunsero, dopo un lungo giro, alla piana di Mugnone che era già notte.
Fingendo di tornare dalla Romagna, si diressero verso le case e bussarono alla casa del buon uomo, il quale, riconoscendoli, aprì subito la porta.
Pinuccio lo pregò di ospitarli per quella notte perché ,data l’ora tarda, non potevano più entrare in Firenze.
L’oste gli rispose che non era così agiato da poter albergare uomini importanti come loro, tuttavia, data l’ora in cui erano giunti e l’impossibilità di poter andare altrove, li avrebbe ospitati volentieri, come poteva.
Smontati, dunque, i giovani ed entrati nell’alberghetto, prima sistemarono i loro ronzini poi, avendo portato con sè la cena, cenarono insieme all’oste.
L’oste aveva soltanto una cameretta assai piccola, nella quale erano tre lettini, messi come meglio aveva potuto. Due erano su una faccia della stanza e il terzo sull’altra, non rimaneva neanche un po’ di spazio. Il migliore di quei tre letti l’uomo lo fece sistemare per i due giovani e li fece coricare.
Dopo un po’ di tempo, mentre i due giovani fingevano di dormire, in uno dei letti rimasti fece coricare la figlia e nell’altro entrò lui con sua moglie, la quale accanto pose la culla, in cui teneva il figlioletto.
Disposte così le cose, Pinuccio, vedendo che tutti si erano addormentati, silenziosamente si alzò, se ne andò nel lettino dove riposava la giovane amata e le si mise a fianco.
La giovane, sebbene un po’ spaventata, lo accolse ben volentieri e fece l’amore con lui, come entrambi da tempo desideravano.
Mentre Pinuccio stava con la giovane, una gatta fece cadere alcune cose, provocando un rumore che svegliò la donna, la quale prontamente si alzò per vedere cosa era. Anche Adriano si alzò per un bisogno naturale e ,per andare a fare i suoi bisogni ,si trovò tra i piedi la culla, che gli impediva il passaggio. Allora la prese, la tolse dal posto in cui stava , la pose al lato del letto dove egli dormiva, e se ne ritornò nel suo letto.
La donna, accortasi che era caduta una roba di poco conto, senza accendere il lume, dopo aver sgridato la gatta, se ne tornò nella cameretta e, a tendoni, andò nel letto dove dormiva il marito. Ma non trovò la culla.
 Pensò, allora, di essere andata nel letto dei due ospiti. Proseguì e, trovata la culla, si coricò nel letto nel quale dormiva Adriano, convinta di coricarsi con il marito.
Adriano, che non si era ancora addormentato, la ricevette ben lietamente e ,senza parlare, si accoppiò con lei, con gran piacere della donna.
Frattanto, Pinuccio, temendo che il sonno lo sorprendesse accanto alla giovane, ormai sazio, si alzò per ritornare al suo letto.Giunto là, trovando la culla, pensò di essere nel letto del padrone di casa, per cui, andato un po’ più avanti, si coricò insieme all’oste, svegliandolo. Credendo di avere accanto Adriano ,disse “ Amico mio, ti dico che non ci fu mai cosa più dolce della Niccolosa! Per il corpo di Dio, ho provato con lei il più grande piacere che un uomo potesse mai avere da una donna e ti dico che mi sono accoppiato con lei per sei volte, da quando me ne sono andato da qui”.
L’oste, udendo quelle parole, prima si chiese che facesse Pinuccio nel suo letto, poi, turbato, disse “ Pinuccio, sei stato molto villano, non so perché mi fai questo; per Dio, te la farò pagare”.
Pinuccio, che era un giovane saggio, accortosi del suo errore, non cercò di appianare la cosa, ma rispose con arroganza.
La moglie, credendo di parlare con il marito, disse ad Adriano “Oimè. Senti che i nostri ospiti stanno litigando”.
Adriano, ridendo, le consigliò di lasciarli stare, ché sicuramente avevano bevuto troppo la sera prima.
La donna, riconosciuta la voce del marito,e udendo Adriano, immediatamente comprese dove era stata e con chi; perciò, saggiamente, senza dire una parola, subito si alzò. Presa la culla del figlioletto, non essendovi nella camera alcun lume, portò la culla accanto al letto dove dormiva la figlia e si coricò con lei.
Poi, fingendo di svegliarsi per il rumore fatto dal marito, lo chiamò e gli chiese che cosa diceva con Pinuccio.
Il marito rispose “ Non senti tu ciò che egli dice di aver fatto, stanotte, alla Niccolosa?”.
La donna, di rimando, disse” Egli mente perché non è giaciuto con la Niccolosa; infatti mi coricai io vicino a lei e, dopo, non ho potuto più dormire e tu sei una bestia perché gli credi.
Voi bevete tanto la sera che, poi, la notte andate in giro senza accorgervene e vi sembra di fare cose straordinarie. E’ un peccato che non vi rompiate il collo! Ma che fa lì Pinuccio, perché non è nel suo letto?”.
Dal canto suo, Adriano ,comprendendo che la donna, saggiamente, copriva la sua vergogna e quella della figlia, disse “ Pinuccio ,te l’ho detto cento volte di non andare in giro . Per questo tuo vizio di alzarti nel sonno e di ritenere vere le cose che sogni, prima o poi passerai un guaio. Torna qui e datti pace”.
L’oste, udendo ciò che diceva la moglie e ciò che diceva Adriano, cominciò a credere che veramente Pinuccio stesse sognando, perciò, presolo per una spalla, lo scosse per svegliarlo e riportarlo nel suo letto.
Pinuccio, avendo compreso ciò che avevano detto, finse di stare ancora sognando e farneticando, provocando le risa del padrone di casa.
Alla fine ,svegliandosi, chiamò Adriano, chiedendogli dove fosse, e Adriano gli rispose.
Pinuccio, mostrandosi ancora tutto intondito, alla fine si alzò dal fianco dell’oste e se ne tornò nel letto con Adriano.
Venuto il giorno e alzatisi tutti, l’oste si mise a ridere e a scherzare di Pinuccio e dei suoi sogni.
Così ,tra un motto e un altro, i due giovani, preparati i ronzini, caricate le valigie, rimontati a cavallo, se ne tornarono a Firenze, tutti soddisfatti per come erano andate le cose.
In seguito, trovati altri modi, Pinuccio si incontrò nuovamente con la Niccolosa, che diceva alla madre che il giovane certamente aveva sognato.
Invece, la donna, ricordandosi degli abbracci di Adriano, diceva tra sé che era stata ben sveglia.







giovedì 9 luglio 2015

NONA GIORNATA - NOVELLA N.5

NONA GIORNATA – NOVELLA N.5

Calandrino s’innamora di una giovane, Bruno gli dà un biglietto con delle parole magiche, dicendogli che se la tocca con quello, ella andrà subito con lui; scoperto dalla moglie, da lei viene aggredito.


Finita la breve novella di Neifile, senza che la brigata la commentasse troppo, la regina, rivolta a Fiammetta, le comandò di continuare.
Ella,sorridente, volentieri cominciò a dire che ,ripensando al fatto che erano lì riuniti per far festa e stare serenamente, riteneva che bisognasse parlare di cose allegre ,che potessero divertire.
Per questo, sebbene si fosse molte volte parlato delle vicende piacevoli di Calandrino, pensava, come aveva fatto poco prima Filostrato, di raccontare ancora una novella, che aveva come protagonista proprio lui.
Per la verità, nel raccontarla, avrebbe voluto cambiare i nomi dei personaggi, ma, sicuramente,questo avrebbe diminuito il divertimento degli ascoltatori.
Nicola Cornacchini fu un cittadino fiorentino molto ricco. Egli, fra i suoi possedimenti, aveva a Camerata  una bella proprietà , nella quale fece costruire una bella casa e si accordò con Bruno e Buffalmacco perché gliela dipingessero.
Essi ,poiché il lavoro era molto, aggiunsero anche Nello e Calandrino e cominciarono a lavorare..
Nella casa c’erano soltanto qualche camera da letto e alcune cose adatte e vi abitava solo una vecchia, come guardiana del luogo.
Poiché non vi era nessun altro, il figlio di Niccolò, di nome Filippo, giovane e senza moglie, talvolta vi conduceva qualche femmina per divertirsi; ce la teneva un giorno o due e poi la mandava via.
Un giorno vi condusse una donna ,di nome Niccolosa, che un delinquente, chiamato il Mangione, tenendola con sé in casa a Camaldoli, dava a pagamento. Costei aveva un bel corpo, era ben vestita, si presentava molto bene e non sembrava una di quelle.
Un pomeriggio, mentre era uscita dalla camera con una sottoveste di cotone bianco, con i capelli raccolti, ed era andata a lavarsi le mani e il viso al pozzo ,che era nel cortile della casa, Calandrino, che era andato a bere , la vide e la salutò cordialmente.
Ella gli rispose e cominciò a guardarlo perché le pareva un po’ strano.
Anche Calandrino la guardò attentamente e gli sembrò bella ; poi cominciò a trovare motivi per fermarsi ,senza tornare dai suoi compagni con l’acqua ,ma ,per timidezza, non diceva niente.
La donna, che dagli sguardi dell’uomo si era accorta di piacergli, per prenderlo in giro, lo guardava e ogni tanto gettava qualche sospiro.
Calandrino subito s’innamorò e non si allontanò fino a quando la donna non fu richiamata nella camera da Filippo.
Tornato a lavorare, Calandrino non faceva altro che sbuffare.Bruno se ne accorse e, preoccupato, gli chiese che diavolo avesse e perché sbuffasse in quel modo.
Calandrino gli rispose che per star bene aveva bisogno di un amico che lo aiutasse.
Alle insistenze di Bruno, il sempliciotto gli rivelò che aveva incontrato una giovane più bella di una fata, che si era innamorata di lui, cosa grande. Aggiunse che se ne era accorto quando era andato a prendere l’acqua.
Bruno gli consigliò di stare attento, ché poteva trattarsi della moglie di Filippo.
Prontamente Calandrino rispose che non gliene fregava niente, perché l’avrebbe strappata non solo a Filippo, ma a Cristo stesso. Bruno promise il suo aiuto, in quanto era in confidenza con lei, ma non poteva tener celata la cosa a Buffalmacco ,che gli stava sempre vicino.
Calandrino rispose che non si preoccupava di Buffalmacco ma di Nello, che era parente di sua moglie Tessa e avrebbe guastato ogni cosa.
Bruno ,che sapeva bene chi era la donna, ne parlò a Nello e a Buffalmacco e si accordarono su cosa dovessero fare di quell’innammoramento.
Quando Calandrino ritornò, Bruno gli chiese se aveva visto la donna, alla risposta affermativa dell’innamorato, promise di andare a vedere se era quella che ben conosceva.
Dunque, insieme con Bruno, si incontrò con Filippo e Niccolosa,, disse loro chi era Calandrino e che cosa ciascuno dovesse fare e dire ,per divertirsi alle sue spalle.
Tornato dal credulone, gli disse che era proprio la sua conoscente, moglie di Filippo;  che poteva portarle un’ambasciata, se la vedeva, ma bisognava essere molto prudenti, perché, se Filippo se ne fosse accorto, non sarebbe bastata tutta l’acqua dell’Arno per lavare l’offesa.
Calandrino gli chiese di riferirle che si voleva impegnare mille moggi di terreno per amor suo e che era suo servitore ,se non voleva nulla. Bruno promise il suo aiuto.
Venne l’ora di cena e i pittori lasciarono il lavoro e scesero nel cortile ,dove erano anche Filippo e Niccolosa.
Calandrino cominciò a guardare la donna e a fare i gesti più goffi del mondo, tanto che avrebbe attirato l’attenzione anche di un cieco. Ella, dal canto suo, secondo le informazioni ricevute da Bruno, faceva ogni cosa per farlo innamorare, divertendosi moltissimo ai corteggiamenti grossolani del cafonaccio.
Filippo , con Buffalmacco e gli altri, fingeva di discutere e di non accorgersi di niente.
Dopo un certo tempo si allontanarono ,con grande rammarico di Calandrino.
Andando verso Firenze, Bruno disse a Calandrino “ Ho visto bene ,per Dio, che tu la fai struggere come ghiaccio al sole, e ,se le vai a fare una serenata con la ribeba , cantando le tue canzoni d’amore, la farai gettare dalla finestra per raggiungerti”.
Calandrino gongolava dalla gioia ed era tutto ringalluzzito perché aveva fatto innamorare così rapidamente una donna come lei. Non avrebbero saputo fare meglio i giovani presuntuosi che se ne andavano su e giù,vantandosi delle loro conquiste, ma che ,in mille anni, non avrebbero concluso un accidenti. Sicuramente ,con la ribeba e la serenata ,la sua conquista era assicurata. Le avrebbe fatto vedere di che cosa era capace nel fare l’amore e che non era vecchio, come le poteva sembrare.
E Bruno calcava la dose dicendo “Certamente , mi par già di vederti morderle, con i tuoi denti fatti a pioli, la sua bocca vermiglia e le sue gote, che paiono due rose, e poi mangiartela tutta”.
A Calandrino ,udendo quelle parole, pareva già di essere passato ai fatti; non solo non stava più nella pelle, ma cantava e ballava , tutto felice.
Il giorno dopo, presa la ribeba, con gran divertimento di tutta la brigata, cantò molte canzoni.
Rapidamente ,per vedere spesso la giovane, divenne tanto svogliato che non lavorava quasi per niente, ma, mille volte al giorno, correva ora alla porta, ora al cortile, per vederla.
La donna, molto astutamente, gliene dava motivo, seguendo le istruzioni di Bruno.
Bruno, dal canto suo, rispondeva alle sue ambasciate e gliene faceva altre da parte di lei.
Quando ella non c’era, gli faceva giungere lettere di lei con cui alimentava la speranza di assecondare i suoi desideri, dicendo che era a casa dei suoi parenti, là dove egli non la poteva vedere.
In questo modo Bruno e Buffalmacco , che gestivano il caso, sfruttavano la situazione, con il maggior divertimento del mondo, facendosi dare da Calandrino una volta un pettine d’avorio, un’altra una borsa, un’altra ancora delle sciocchezzuole, dandogli in cambio alcuni anellini falsi ,di nessun valore, che lo scimunito riceveva con grande festa. Oltre a ciò, avevano da lui roba da mangiare e altri piccoli favori, perché curassero i fatti suoi.
Ora, essendo trascorsi ben due mesi in quel modo, senza che costoro avessero fatto di più, Calandrino, vedendo che il lavoro stava per finire, e, pensando che se non avesse fatto l’amore con la donna prima che il lavoro fosse finito,non avrebbe potuto farlo più, cominciò a pressare Bruno.
Il furbone, dopo essersi accordato con Filippo e con la giovane sul da farsi, disse a Calandrino “Vedi, amico, questa donna mi ha promesso mille volte che farà ciò che tu vorrai, poi non ne fa niente. Mi sembra proprio che  ti meni per il naso. Perciò se non fa ciò che ti promette, noi, se tu lo vorrai, glielo faremo fare ,che ella voglia o no”. Calandrino rispose che voleva farlo, per l’amor di Dio.
Disse Bruno “ Avrai il coraggio di toccarla con il biglietto magico che ti darò?”.
Calandrino assicurò di sì.
Bruno, allora,gli chiese di portargli della carta fatta di pelle di animale, prima di nascere, e di prendere un pipistrello. Alla fine li prese e li consegnò ,con altre cose ,a Bruno che si ritirò in camera e scrisse su quella carta alcune stupidagini, in caratteri magici, gliela portò e gli disse “ Calandrino, sappi che se la toccherai con questa scritta, ella ti verrà immediatamente dietro e farà quello che vorrai. Perciò, se Filippo oggi  va in qualche luogo, avvicinati a lei, in qualche modo, e toccala. Poi, vattene nella capanna di paglia che è qui a lato, che è il posto più adatto, perché non ci va mai nessuno. Vedrai che ella verrà e, quando sarà lì, tu sai bene cosa devi fare”.
Calandrino fu l’uomo più contento del mondo e si accinse a fare ciò che Bruno gli aveva detto.
Nello, che Calandrino temeva, si divertiva un mondo e dava corda per beffarlo.
Come Bruno gli aveva ordinato, andò a Firenze dalla moglie di Calandrino e le disse “ Tessa, tu sai quante botte ti dette Calandrino, senza ragione, il giorno che ritornò con le pietre di Mugnone, perciò voglio che tu ti vendichi; se non lo fai, non mi considerare più né parente ,né amico. Tuo marito ,in campagna, si è innamorato di una donna di lassù, ed ella è così briccona, che si va nascondendo spesso con lui. Poco fa , si misero d’accordo per incontrarsi. Voglio che tu venga, lo veda e lo castighi per bene”.
La donna subito credette a ciò che aveva udito e, alzatasi in piedi, cominciò ad imprecare contro quel ladro maledetto del marito, giurando che gliel’avrebbe fatta pagare.
Preso il mantello , in compagnia di una donnetta, a passo svelto, andò in campagna insieme a Nello.
Appena Bruno li vide arrivare, avvisò Filippo ,che, andato dove Calandrino lavorava, disse ai lavoranti che doveva recarsi ,con urgenza ,a Firenze. Raccomandava loro di continuare a lavorare.
Poi, fingendo di partire, si nascose per vedere che cosa facesse Calandrino, il quale ,come credette che Filippo era andato via, scese nel cortile, dove trovò Niccolosa ,tutta sola. Ella, che sapeva bene che cosa doveva fare, gli si accostò un poco confidenzialmente e Calandrino la toccò con la scritta.
Dopo che l’ebbe toccata, senza dir nulla, si diresse verso la capanna di paglia, mentre la Niccolosa lo seguiva.
Come furono entrati, chiuso l’uscio, abbracciò Calandrino, gli salì addosso a cavalcioni, e, tenendogli le mani sulle spalle, senza farlo avvicinare al viso, lo guardava con grande desiderio. Mentre lo abbracciava, gli diceva che aveva sempre desiderato di fare l’amore con lui e di averlo sul suo seno. Aggiungeva che egli l’aveva conquistata con la musica della ribeba e non le sembrava vero di stare con lui.
Calandrino, che a stento si poteva muovere, non riusciva a baciarla, mentre la donna gli diceva di non aver fretta e di lasciarsi guardare ancora un po’.
Bruno e Buffalmacco stavano insieme a Filippo e udivano tutto.
Quando Calandrino era sul punto di baciare la Niccolosa, giunse Nello con monna Tessa.
La moglie, proprio davanti all’uscio , adirata, spinse da un lato Nello, entrò e vide addosso a Calandrino la Niccolosa, la quale, immediatamente, , si alzò e fuggì dov’era Filippo.
Monna Tessa graffiò con le unghie il viso di Calandrino, che non si era ancora alzato, lo prese per i capelli, sbattendolo di qua e di là, e gli disse “ Sporco cane bastardo, dunque, mi fai questo ? Vecchio pazzo, che sia maledetto il bene che ti ho voluto. Ti sembra bello che tu ,che non ti dai tanto da fare in casa tua , ti vai innamorando in casa d’altri? E che bell’innamorato ! non ti conosci tu? tu che se ti spremessi tutto, non uscirebbe tanto sugo, che bastasse per una salsa. Sicuramente non era la tua Tessa che impregnavi, ma una maledetta, che Dio la faccia dannare, chiunque sia, ché deve essere sicuramente una donnaccia, per avere desiderio di stare con te”.
Calandrino, vedendo venire la moglie, rimase sbandato, né morto né vivo, né seppe difendersi da lei, in alcun modo. Pure, così graffiato, pelato, raccolto il cappuccio,si alzò e cominciò a pregare inutilmente la moglie di non gridare, se non voleva che fosse fatto a pezzi ,perché la donna era la moglie del padrone di casa. 
Bruno e Buffalmacco che, con Filippo e la Niccolosa, si erano fatti un sacco di risate, come richiamati dal rumore, giunsero lì.
Rappacificarono la donna con molte parole e consigliarono a Calandrino di andarsene a Firenze e di non ritornare mai più, per evitare che Filippo , saputa la cosa, potesse vendicarsi.
Così, dunque, Calandrino, sventurato, tutto pelato e graffiato ,se ne tornò a Firenze e non ebbe più il coraggio di tornare in campagna.
Tormentato, di giorno e di notte, dai rimproveri della moglie, pose fine al suo ardente amore, avendo dato molto da ridere ai suoi compagni, alla Niccolosa e a Filippo.




giovedì 2 luglio 2015

NONA GIORNATA - NOVELLA N.4

NONA GIORNATA – NOVELLA N.4

Cecco di messer Fortarrigo gioca a Buonconvento ogni sua cosa e anche i denari di Cecco di messere Angiolieri; gli corre dietro in camicia e, accusandolo di averlo derubato, lo fa catturare dai contadini; si veste con i panni di lui e monta sul di lui cavallo, e andandosene, lo lascia in camicia.

Tutta la brigata aveva accolto, con molte risate, le parole che Calandrino aveva detto alla moglie.
Dopo che Filostrato tacque, come volle la regina, Neifile incominciò.
Si rivolse ,prima di tutto, alle donne dicendo che se non fosse stato più difficile agli uomini mostrare il proprio senno e la propria virtù, piuttosto che la stupidità e il vizio, molti avrebbero faticato a tenere a freno le loro parole. Ne aveva dato dimostrazione la stoltezza di Calandrino che, senza necessità, per guarire il male che la sua stupidità gli faceva credere di avere, aveva svelato pubblicamente i piaceri intimi della sua donna.
Questa cosa le aveva fatto ricordare un’altra contraria, cioè come l’astuzia di uno superasse il senno di un altro, procurandogli grave danno e vergogna. Voleva raccontare proprio di ciò.
Non molti anni prima, vivevano in Siena due uomini adulti, entrambi di nome Cecco, ma uno era figlio di messere Angiolieri, l’altro di messer Fortarrigo.
I due si somigliavano per i loro cattivi costumi ; in una parola, erano tanto simili nell’odiare i loro padri, che diventarono amici e stavano sempre insieme.
All’Angiolieri, che era un uomo bello e garbato, sembrava di vivere male in Siena con l’appannaggio che gli donava il padre. Avendo sentito che nella Marca di Ancona era andato, come legato del Papa, un cardinale che lo proteggeva, decise di voler andare da lui, credendo di migliorare la sua condizione. Lo disse al padre e gli chiese di dargli l’appannaggio di sei mesi, per potersi vestire e fornire di un cavallo, in modo da presentarsi onorevolmente. Cercò, inoltre, un servitore per portarlo con sé.
Il Fortarrigo udito ciò, si presentò all’Angiolieri e cominciò a pregarlo in tutti i modi perché lo portasse con sé, dicendo che voleva essere suo servitore e familiare, senza alcun salario, escluse le spese.
L’Angiolieri rispose che non lo voleva portare, anche se lo riteneva capace, perché aveva il vizio del gioco e spesso si ubriacava.
Il Fortarrigo giurò e spergiurò sui sacramenti che si sarebbe guardato dall’una e dall’altra cosa, aggiungendo tante preghiere che l’Angiolieri, vinto, gli disse di si.
Un mattino, messisi in cammino, entrambi se ne andarono a pranzare a Buonconvento. Colà, dopo pranzo, l’Angiolieri, poiché faceva molto caldo, si fece preparare un letto, si spogliò e, aiutato dal Fortarrigo, se ne andò a dormire, dopo avergli raccomandato di svegliarlo verso le tre.
Il Fortarrigo, mentre l’Angiolieri dormiva, si recò in una taverna e lì, dopo aver bevuto, cominciò a giocare.
In poco tempo perse i denari che aveva e gli vinsero anche i panni che aveva indosso.
Egli ,desideroso di rifarsi, in camicia, com’era rimasto, andò dove dormiva l’Angiolieri. Vedendolo dormire profondamente ,gli prese dalla borsa tutti i denari che aveva e tornò a giocare, perdendo anche quelli .
L’Angiolieri, svegliatosi, si alzò, si vestì e chiese del suo accompagnatore. Non trovandolo, pensò che era rimasto a dormire ,ubriaco, da qualche parte, come era solito fare.
Deciso a lasciarlo lì, fatta mettere la sella e la valigia sul cavallo, pensando di fornirsi di un altro servitore a Corsignano, andò dall’albergatore per pagare, ma non trovò il denaro.
Cominciò ,allora, a gridare ,mettendo in subuglio tutta la casa dell’oste, dicendo che lì dentro era stato derubato, minacciando di fare tutti prigionieri e di condurli a Siena.
Ed ecco arrivare ,in camicia, il Fortarrigo, che andava a prendersi i panni, come aveva fatto con i denari.
Come vide l’Angiolieri in procinto di salire a cavallo , gli disse “ Che è questo, Angiolieri? Ce ne vogliamo già andare ? Aspetta ancora un po’. Deve venire qui, adesso, un tale che ha in pegno il mio corpetto per 38 soldi; sono certo che ce lo renderà per 35, se lo paghiamo subito”.
Frattanto, arrivò uno che diede all’Angiolieri la certezza che i denari gli erano stati rubati dal Fortarrigo, mostrandogli la quantità dei denari che quel birbante aveva perduto.
L’Angiolieri si adirò molto e gli avrebbe fatta la pelle ,se non avesse temuto l’ira di Dio e le leggi.
Minacciando di farlo impiccare e di farlo esiliare, montò a cavallo.
Il Fortarrigo, come se l’Angiolieri non parlasse con lui ma con un altro, con una faccia di bronzo, diceva “O Angiolieri, lasciamo stare queste parole che non contano niente; pensiamo a questo, se lo riscattiamo subito, avremo il corpetto per 35 soldi, se aspettiamo a domani, quell’uomo ne vorrà 38, che sono i denari che mi prestò e mi fa questo piacere ,perché mi affidai a lui. Cerchiamo di guadagnarci questi tre soldi”.
L’Angiolieri, sentendolo parlare così, si disperava perché vedeva che tutti quelli che stavano intorno non credevano che il Fortarrigo si fosse giocato tutti i denari del suo padrone. Dunque gli rispose “ Che cosa ho a che fare con il tuo corpetto? Che tu sia impiccato, perché non solo mi hai derubato e ti sei giocato il mio denaro, ma hai anche impedito la mia partenza e ti fai beffe di me “.
Il Fortarrigo continuava, come se l’altro non dicesse niente, a chiedergli di riscattare il suo corpetto, ché , in tutta Siena non ne avrebbe potuto trovare uno che gli stesse meglio e che valeva più di 40 soldi, mentre l’aveva dato in pegno per 38, sicchè veniva danneggiato due volte.
L’ Angiolieri si addolorò molto vedendosi prima derubato e poi colpito da vane parole.
Senza più rispondergli, salì a cavallo  e si diresse verso Torrenieri.
Il Fortarrigo, con sottile astuzia, in camicia, cominciò a corrergli dietro. Andarono per circa due miglia, l’Angiolieri correndo avanti per togliersi di torno il seccatore che lo inseguiva e lo pregava che riscattasse il suo corsetto.
Il Fortarrigo vide ad un certo punto dei contadini in un campo vicino alla strada davanti all’Angiolieri, subito cominciò a gridare “Pigliatelo, pigliatelo”
I contadini, chi con la vanga, chi con la marra, si pararono sulla strada davanti all’Angiolieri, pensando che fosse lui il ladro ,che aveva derubato colui che veniva dietro in camicia ,e catturarono lo sventurato, che, inutilmente, diceva loro chi fosse e com’erano andate le cose.
Frattanto il Fortarrigo, giunto colà, adirato disse “ Non so perché non ti uccido, ladro sleale ,che fuggivi con le mie cose” e, rivolto ai contadini , disse “ Vedete, signori, come costui mi ha lasciato nell’albergo, dopo essersi giocato ogni mia cosa. Posso ben dire che, grazie a Dio e grazie a voi, ho riacquistato almeno questo”.
L’Angiolieri, benchè dicesse molte parole, non veniva ascoltato.
Alla fine, il Fortarrigo, con l’aiuto dei villani, fece scendere da cavallo il giovane, lo spogliò dei suoi panni e si rivestì.
Montato a cavallo, lasciato l’Angiolieri in camicia e a piedi, se ne tornò a Siena, dicendo che il cavallo e i panni li aveva vinti al gioco all’Angiolieri.
L’ Angiolieri, che credeva di andare ricco dal cardinale della Marca, povero e in camicia se ne andò a Buonconvento e, vergognandosi, per molto tempo non osò tornare a Siena.
In seguito gli furono prestati dei vestiti ed egli, sul ronzino che cavalcava Fortarrigo, se ne andò dai suoi parenti a Corsignano, dove rimase finchè il padre non gli dette di nuovo l’appannaggio.
Così la malizia del Fortarrigo turbò le buone intenzioni dell’Angiolieri, che , comunque, a tempo e a luogo ,la punì.