giovedì 31 ottobre 2013

PRIMA GIORNATA - NOVELLA N.9

PRIMA GIORNATA – NOVELLA N.9



Il re di Cipro, colpito dalle parole di una donna della Guascogna, da vile che era divenne valoroso.

Elissa, cui toccava raccontare, senza attendere l’ordine della regina, iniziò dicendo che ciò che non erano riusciti a fare tanti tentativi e tante imprese, poteva ottenere una parola detta per caso,non di proposito.
Il che si vedeva bene dalla novella raccontata da Lauretta ed ella stessa l’avrebbe dimostrato subito.
E raccontò che al tempo di Guido da Lusignano, primo re di Cipro, dopo che Goffredo di Buglione aveva conquistato Gerusalemme, nella prima Crociata, una gentildonna di Guascogna, andò in pellegrinaggio al Santo Sepolcro ; al ritorno, giunta a Cipro, fu oltraggiata da alcuni uomini scellerati.
Poiché non riusciva ad avere consolazione, pensò di andare a denunziare l’accaduto al re. Ma le fu detto che era del tutto inutile. Infatti il sovrano era così indolente e vile che non solo non applicava la giustizia alle offese fatte ai suoi sudditi, ma, anzi, sopportava con vergognosa viltà quelle che facevano a lui, per cui chi non riceveva giustizia, si sfogava offendendolo.
Avendo udito queste cose, la donna, pur non sperando vendetta, volle andare a constatare la viltà del re e, recatasi, piangendo, al suo cospetto, disse “Maestà, non vengo in tua presenza per avere vendetta dell’offesa ricevuta, ma per placare il mio dolore. Ti prego, insegnami come tu sopporti le offese che, ho sentito che ti sono fatte ,in modo che ,imparando da te , posso, pazientemente, sopportare la mia. Ti donerei volentieri la mia offesa, se potessi, sapendo che tu sai sopportare così bene”.
Il re, fino a quel momento indolente e pigro, come se si svegliasse da un sogno, duramente punì l’ingiuria fatta alla donna, e, in seguito, divenne rigidissimo persecutore di tutte le offese fatte all’onore della sua corona.








giovedì 24 ottobre 2013

PRIMA GIORNATA - NOVELLA N.8

PRIMA GIORNATA – NOVELLA N.8

 Gugliemo Borsieri ,con garbate parole, colpisce l’avarizia di messere Erminio Grimaldi.

Luaretta, che era seduta accanto a Filostrato, dopo aver sentito lodare l’intelligenza di Bergamino, cominciò a parlare dicendo che la storiella del cortigiano che aveva colpito l’avarizia del ricco mercante, ottenendo un buon esito, la spingeva a raccontare un’altra storia.
Nei tempi passati, a Genova, viveva un gentiluomo , chiamato Erminio de’ Grimaldi, che, per le sue immense ricchezze ,superava tutti i signorotti d’Italia. Come li superava in ricchezza, così li superava in avarizia ed era più avaro di tutti gli avari.
Manifestava la sua avarizia non solo verso gli altri, ma anche verso sé stesso.
 A differenza degli altri genovesi che, pur essendo avari, amavano vestire nobilmente, egli, per non spendere, sosteneva che il lusso fosse un difetto, così come il mangiare e il bere. Per questo fu chiamato da tutti “Messere Erminio Avarizia”.
Mentre costui non spendeva e, quindi, le sue ricchezze si moltiplicavano, arrivò a Genova un valente uomo di corte, elegante e colto, di nome Guglielmo Borsieri, per niente simile ai corrotti cortigiani di quel tempo, che volevano essere considerati gentiluomini, mentre dovevano, piuttosto, essere chiamati asini per la bruttura della loro malvagità.
Il mestiere degli uomini di corte, a quei tempi, era di trattare paci, dove erano scoppiate guerre e litigi tra nobili, combinare matrimoni, stringere amicizie, con piacevoli discorsi rasserenare gli animi affaticati, rallegrare le riunioni , e, con rimproveri, come padri, rimproverare i difetti, con frasi prudenti.
In quel tempo , invece, i gentiluomini passavano il loro tempo a dire cattiverie e cose tristi, e ,quel che era peggio, a farle in presenza degli uomini ,accusandosi scambievolmente. Ed era lodato e premiato dai miseri e scostumati signori colui che diceva e faceva le cose più abominevoli. Era del tutto evidente che ,in quell’epoca, le virtù avevano lasciato posto ai vizi abbandonando i miseri viventi.
Ma ,ritornando all’inizio, Guglielmo Borsieri fu onorato e ben accolto da tutti i genovesi e avendo sentito parlare dell’avarizia di messere Erminio, lo volle conoscere.
Messere Erminio, che già aveva sentito parlare di Guglielmo Borsieri, era un uomo di valore e, sebbene fosse avaro, pure aveva un qualche sprazzo di gentilezza, per cui lo ricevette cortesemente e lo trattenne con vari ragionamenti.
Conversando piacevolmente, lo portò ,insieme con altri ospiti, a visitare una sua casa nuova, molto bella.
Dopo avergliela mostrata tutta, disse “ Messer Guglielmo, voi che avete visto e udito molte cose, mi sapreste insegnare qualche cosa ,non ancora vista da nessuna parte, che possa dipingere nella sala di questa mia casa?”.
Guglielmo rispose “Signore, non saprei insegnarvi niente che non sia già stato visto, ma, se vi piace, ve ne insegnerò una che ,credo ,voi non vedeste mai”.
Ed Erminio disse “ Orsù, vi prego, ditemi qual è”, non aspettandosi la risposta che ricevette.
A ciò Guglielmo, prontamente, rispose “ Fateci dipingere la Cortesia”.
Messere Erminio, udita questa parola, fu preso, immediatamente, da una grande vergogna, così che mutò  completamente il suo comportamento e disse “Messer Guglielmo, io la farò dipingere in maniera che né voi, né altri potranno dire che io non l’ho mai vista né conosciuta”.
Da quel giorno in poi, tanto fu il potere delle parole di Guglielmo che “Messere Erminio Avarizia” divenne il più cortese e liberale gentiluomo di Genova.












martedì 22 ottobre 2013

PRIMA GIORNATA NOVELLA N.7

 PRIMA GIORNATA – NOVELLA N.7

Bergamino con la novella raccontata da Primasso all’abate di Cluny ,rimprovera Cangrande della Scala, per la sua improvvisa avarizia.


La gradevolezza della novella di Emilia, spinse tutti a commentarla.
Quando i commenti terminarono, Filostrato, cui toccava narrare, cominciò a parlare , dicendo che era facile colpire un bersaglio che non si muove. e, veramente, tutti coloro che lo desiderano possono facilmente colpire la vita viziosa e sporca dei religiosi , la loro cattiveria e la loro ipocrita carità.
Infatti, danno ai poveri quello che dovrebbero dare ai porci o gettare via.
E continuò dicendo che, spinto dalla precedente novella, voleva raccontare dell’improvvisa e insolita avarizia che aveva colpito Cangrande della Scala, Signore di Verona.
Cangrande era conosciutissimo in tutto il mondo, perché fu uno dei più importanti e magnifici signori ,che vi furono in Italia, dall’imperatore Federico II ai loro tempi.
Egli aveva disposto di fare in Verona una grandissima e splendida festa e aveva fatto venire molti cortigiani ed  altra gente da tutte le parti.
All’improvviso, non si sa per quale motivo, cambiò idea, risarcì , in parte, coloro che erano venuti e li licenziò.
Solo uno, chiamato Bergamino, svelto ed abile parlatore, non credette a ciò che aveva udito, non avendo ricevuto nulla e non essendo stato licenziato, rimase lì, sperando di ottenere qualche vantaggio,
Messer Cangrande aveva pensato che ogni cosa che egli donava andasse perduta o, meglio, gettata nel fuoco, ma di ciò non parlava con nessuno.
Bergamino, dopo alcuni giorni, vedendo che non era chiamato come novellatore , non riceveva niente e, oltre a ciò, spendeva molto nell’albergo con i suoi cavalli e i suoi servitori, cominciò a preoccuparsi molto.
Pure aspettava non ritenendo di far bene a partire senza ordine.Avendo portato con sé tre belle e ricche vesti, che gli erano state donate da altri signori, per partecipare, vestiti decorosamente , alla festa, per pagare l’oste, gli diede prima una veste, poi una seconda. Infine cominciò ad utilizzare la terza, deciso a rimanere finchè durava, e partire subito dopo.
Ora, mentre stava per consumare anche la terza veste, si trovò ,molto triste, davanti a Cangrande, che mangiava.
Il grand’uomo, più per prenderlo in giro, crudelmente, che per interesse, gli chiese perché era così malinconico.
Bergamino, subito, quasi senza pensare, ma per ricavare vantaggi dalla sua situazione, raccontò questa novella “Mio signore, dovete sapere che Primasso fu un uomo di grande cultura e abile verseggiatore, così famoso che tutti ne avevano sentito parlare per fama, anche se non lo conoscevano di persona.
Mentre si trovava a Parigi, molto male in arnese, udì parlare dell’abate di Cluny, che era ritenuto il più ricco prelato che la chiesa di Dio avesse, all’infuori  del Papa.
Si dicevano di lui cose straordinarie: che teneva sempre corte e che non negava mai a nessuno da mangiare e da bere, bastava solo chiederglielo.
Sentito ciò, Primasso, che amava vedere signori magnifici e generosi, decise di andare a vederlo e chiese dove abitava. Gli fu risposto che abitava nell’Abazia di Cluny, a circa sei miglia da Parigi.
Pensò che, partendo al mattino presto, poteva essere sul luogo ad ora di pranzo.
Fattosi insegnare la via, temendo di smarrirsi e di non trovare da mangiare, pensò di portare con sé, mettendoseli nel seno, tre pani, supponendo che l’acqua l’avrebbe potuta trovare in ogni parte.
Il viaggio andò benissimo ed egli giunse all’Abazia proprio all’ora del desinare.
Entrato nella sala vide tavole imbandite ,una gran cucina e tante altre cose preparate per mangiare e disse tra sé “Costui è veramente un uomo magnifico, come tutti dicono”.
Mentre si guardava intorno, il siniscalco dell’abate, poiché era ora di pranzare, comandò che si desse acqua alle mani e che ognuno sedesse al posto assegnatogli.
Per caso, Primasso fu messo a sedere proprio di fronte alla porta della camera da cui il prelato doveva uscire per andare a mangiare.
Era usanza in quella corte che non si poteva mangiare nessuna pietanza ,né bere vino se prima l’abate non si sedeva a tavola. Il religioso fu avvisato che era tutto pronto per l’inizio del banchetto, se a lui piaceva.
L’abate fece aprire la porta e il primo uomo che vide fu Primasso, che non conosceva e che era assai mal ridotto.
Gli venne, all’improvviso un pensiero cattivo, che non aveva mai avuto prima, e disse tra sé “ Vedi a chi do da mangiare il mio”.
Subito se ne tornò indietro, fece chiudere la camera e domandò se qualcuno conosceva quello straccione che sedeva davanti alla camera. Tutti risposero di no.
Nel frattempo, Primasso, che aveva fame perché aveva camminato molto e non era abituato a digiunare, vedendo che l’abate non veniva, tirò fuori dal corpetto uno dei tre pani che aveva portato e cominciò a mangiare.
L’abate, dopo un certo tempo, ordinò ad un servo di vedere se lo zotico era partito. Il servo rispose di no, anzi mangiava un pezzo di pane che aveva con sé
Il religioso, adirato, disse “ Mangi del suo, se ne ha, perché oggi non mangerà del nostro”. Avrebbe voluto che Primasso si allontanasse da solo, perché non gli pareva opportuno di licenziarlo.
Nel frattempo ,il buon’uomo cominciò a mangiare il secondo pane e poi, non essendovi cambiamenti, il terzo.
Come ciò gli fu riferito, il religioso pensò “ Ma che novità mi è venuta oggi nell’anima, che avarizia, quale sdegno e per quale motivo? Io ho sempre dato da mangiare, già da molti anni, a chiunque ha voluto, senza guardare se era nobile o villano, povero o ricco, mercante o vagabondo, e con i miei occhi l’ho visto sciupare  da delinquenti e masnadieri, solo per costui mi è venuto in mente di rifiutargli il cibo.
Sicuramente l’avarizia mi deve aver preso per un uomo non di poco conto, anche se sembra un malfattore. Deve essere qualche pezzo grosso se ha provocato in me tale reazione”. Ciò detto volle sapere chi era. Seppe che era Primasso e che era venuto per conoscerlo, avendo udito della sua fama di uomo munifico e generoso.
L’abate ,che aveva ben meritato la sua fama ,si vergognò e, desiderando farsi perdonare, lo onorò in molti modi.
Dopo averlo fatto mangiare abbondantemente, gli donò ricchi vestiti, danaro e cavalli, concedendogli di andare e venire ,liberamente, senza il suo permesso. Primasso, contento, lo ringraziò e ripartì, a cavallo, per ritornare a Parigi”.
Cangrande della Scala, da buon intenditore, senza darne segno, capì perfettamente, quello che voleva dire il narratore e disse “Bergamino, hai illustrato benissimo i tuoi problemi, il tuo valore ,la mia avarizia e quello che tu da me desideri. E, in verità , prima che nei tuoi confronti, non fui mai assalito dall’avarizia, ma la scaccerò come mi hai indicato”.
Fece pagare l’oste e donò a Bergamino ricchi vestiti, danari, un cavallo e, per quella volta, gli consentì di andare e venire come voleva.