giovedì 26 novembre 2015

DECIMA GIORNATA - NOVELLA N.6

DECIMA GIORNATA – NOVELLA N.6

Re Carlo (Carlo I d’Angiò) ormai vecchio, dopo aver vinto molte guerre, innamoratosi di una giovinetta, vergognandosi del suo folle pensiero, fa sposare lei e la sorella onorevolmente.

Sarebbe troppo lungo raccontare tutte le discussioni fatte dalle donne su chi fosse stato più liberale o Giliberto o messer Ansaldo o il negromante.
Dopo aver discusso per un po’ di tempo, il re, guardando verso la Fiammetta, per interrompere la discussione, le ordinò di raccontare.
Fiammetta, senza alcun indugio, cominciò dicendo che era stata sempre dell’opinione che le brigate come le loro non si dovessero impegnare in dispute troppo sottili e complicate. Tali dispute convenivano alle scuole degli studiosi e non a loro, che si dedicavano al ricamare a al filare.
Perciò ella, che aveva già in mente una storia che poteva far discutere, vedendole pronte a litigare per le cose dette, l'avrebbe lasciata andare e ne avrebbe raccontata un’altra, di un valoroso re, che operò con cavalleria, senza venir meno al suo onore.
Tutte loro avevano sentito parlare di Carlo il Vecchio, ossia di Carlo I D’Angiò, per la sua venuta in Italia in difesa della Chiesa e per la sua vittoria su Manfredi (figlio di Federico II di Svevia).
Dopo  quella vittoria i ghibellini furono scacciati da Firenze e vi ritornarono i guelfi.
Un cavaliere, chiamato messer Neri degli Uberti, ghibellino, uscendo dalla città con tutta la sua famiglia, chiese di mettersi sotto la protezione del re Carlo.
Per stare in un luogo tranquillo, dove finire la sua vita, se ne andò a Castellammare di Stabia. Lì, un poco lontano dalle altre abitazioni di quel posto, comprò un possedimento tra ulivi, noccioli e castagni, di cui quella contrada era ricca.
Su quel possedimento fece costruire una bella e ricca casa e al suo fianco un ameno giardino, nel mezzo del quale, secondo il costume del luogo, poiché c'era abbondanza di acqua, fece un bel vivaio che riempì con molto pesce. E si dedicava escusivamente a rendere ogni giorno più bello il suo giardino.
Frattanto re Carlo, d’estate, per riposarsi un po’, se ne andò a Castellammare, dove, avendo sentito parlare  della bellezza del giardino di messer Neri, desiderò di vederlo.
Sapendo che messer Neri, il proprietario del giardino, era di parte ghibellina, a lui avversa, pensò di dover trattare con lui molto garbatamente e prudentemente. Gli mandò ,dunque, a dire che la sera seguente voleva cenare nel famoso giardino con quattro compagni, serenamente.
Messer Neri fu assai contento e, avendo ordinato ai suoi servitori di fare tutto ciò che era necessario, ricevette il re il più lietamente che potè.
Il re, dopo che ebbe visitato tutto il giardino e la casa, dopo essersi lavato, si sedette ad una delle tavole che erano state apparecchiate al lato del vivaio. Ad un lato comandò che sedesse Guido da Monforte, che era un suo compagno, dall’altro messer Neri.
Furono servite delicate vivande e vini ottimi e preziosi, con garbo e gentilezza, senza rumore e senza noia, cosa che il sovrano apprezzò molto. Mentre il re stava mangiando con gusto, entrarono due giovinette di circa quindici anni ognuna, bionde come l’oro, con i capelli ricci, sciolti, su cui era poggiata una leggera ghirlanda di pervinca. Sembravano due angeli nei visi, tanto essi erano belli e delicati.
Erano vestite con un abito di lino sottilissimo, bianco come la neve. L’abito aveva una cintura strettissima in vita e scendeva, poi, a campana, fino ai piedi.
Quella che andava avanti recava sulle spalle un paio di reti che tratteneva con la mano sinistra, mentre nella destra aveva un lungo bastone. L'altra ,che veniva dietro, aveva sulla spalla sinistra una padella, sotto lo stesso braccio un fascetto di legne e sotto un trepiede. Nell’altra mano aveva un vasetto d’olio e una fiaccoletta accesa.
Il re, vedendo ciò, si meravigliò e attese per vedere che volevano fare.
Le giovinette modestamente e timidamente gli fecero un inchino , poi se ne andarono vicino al vivaio.
Quella che aveva la padella in mano, la pose per terra insieme alle altre cose e prese il bastone che l’altra portava. Entrambe, infine, entrarono nel vivaio, l’acqua del quale giungeva fino al loro petto.
Uno dei servitori di messer Neri rapidamente accese il fuoco, vi pose sopra il trepiede con la padella piena d’olio e cominciò ad aspettare che le giovani vi gettassero sopra il pesce.
Una delle fanciulle cercava nei posti dove sapeva che il pesce si nascondeva, l’altra preparava le reti, con grandissimo piacere del re che guardava attentamente.
Il poco tempo presero molti pesci e li gettarono al servitore che, quasi vivi, li metteva nella padella.
Le fanciulle, come ammaestrate, prendevano i più belli e li gettavano sulla tavola davanti al re, al conte Guido e al padre. Quei pesci guizzavano per un po’ sulla mensa, con gran divertimento del re, che li prendeva e li gettava indietro alle giovani.
Così giocarono per un po’ ,finché il servitore non ebbe cotto il pesce che gli era stato dato.
Quel pesce, avendo messer Neri così ordinato, fu portato davanti al re per servirlo tra una vivanda e l’altra.
Le fanciulle, vedendo il pesce cotto e avendo molto pescato, mentre il bianco vestito era aderito alle carni, senza nascondere quasi niente del lor bel corpo, uscirono dal vivaio. Ripresero le cose che avevano portato e, passando pudicamente davanti al re, se ne tornarono a casa.
Il re, il conte e gli altri ospiti avevano molto osservato le giovinette e ognuno, in cuor suo, aveva ammirato la loro bellezza ,le loro fattezze ed anche i loro gradevoli modi.
Erano piaciute soprattutto al re, il quale aveva osservato attentamente ogni parte del loro corpo, mentre uscivano dall’acqua, tanto che se qualcuno l’avesse punto, egli non avrebbe avvertito la puntura..
E, ripensando sempre più a loro, senza sapere chi fossero, sentì nascere nel cuore un fortissimo desiderio di piacer loro. Ben comprese che stava per innamorarsi, se non avesse preso provvedimenti.
Egli stesso non sapeva quale delle due gli piacesse di più, tanto le due fanciulle si somigliavano.
Rimase per un po’ sovrapensiero, poi si rivolse a messer Neri e gli domandò chi fossero le due damigelle.
Messer Neri rispose “ Monsignore, son le mie due figliuole ,nate da un solo parto, l’una ha nome Ginevra la bella, l’altra Isotta la bionda”.
Il re le lodò molto e gli consigliò di maritarle. Messer Neri rispose di non poterlo fare perché non aveva i mezzi.
Restando da servire per cena soltanto la frutta, le due giovinette si presentarono, indossando due splendide giubbe di seta, con due bellissimi vassoi d’argento pieni di vari frutti di stagione e li posarono sulla tavola davanti al re. Fatto ciò, cominciarono a cantare così dolcemente e piacevolmente che al re ,che le ascoltava, sembrava che fossero scese a cantare tutte le gerarchie degli angeli.                                                                                                                                      
 Dopo aver cantato, si inginocchiarono e chiesero rispettosamente commiato al re, il quale, anche se rammaricato, sorridendo lo concesse.
Finita, dunque, la cena, il sovrano e i suoi compagni montarono a cavallo, lasciando messer Neri, e ritornarono al palazzo reale.
Qui il re, nascondendo la sua passione, non poteva dimenticare ,per nessun motivo, la bellezza di Ginevra la bella e ugualmente amava la sorella gemella, a lei tanto somigliante.
Tanto si invischiò nei pensieri d’amore che quasi non riusciva a pensare ad altro.
Trovando mille scuse, manteneva una stretta amicizia con messer Neri e assai spesso visitava il suo giardino per vedere la Ginevra. Non potendone più, decise di togliere al padre non solo una, ma entrambe le giovinette e palesò al conte Guido la sua intenzione.
Il conte, che era un uomo saggio, gli disse “ Monsignore, non mi meraviglia ciò che mi dite e lo tengo in gran conto, peché conosco fin dalla vostra giovinezza, meglio di chiunque altro, i vostri costumi. Mi è sembrato che mai, neppure nella giovinezza, quando Amore può colpire più fortemente, abbiate conosciuto una passione così ardente. Il sentire che voi, ormai vicino alla vecchiaia, siete innamorato, mi pare così strano, quasi un miracolo.
Se toccasse a  me il rimproverarvi, so bene che cosa vi direi, considerando il fatto che avete lasciato spazio all’amore, pur indossando ancora le armi nel regno appena conquistato, in una regione non conosciuta e piena di inganni e di tradimenti, pur avendo tante preoccupazioni importanti, che non vi hanno consentito, tuttora,  di riposare. Vi direi che questo non è atto di un re magnanimo ma di un giovinetto meschino.
Oltre a ciò, dite che avete deciso di togliere le due figlie al povero cavaliere che, non solo vi ha ospitato con riguardo a casa sua, malgrado non ne avesse le possibilità,ma per onorarvi di più vi ha mostrato le figliuole quasi nude. Ha testimoniato così la fiducia che aveva in voi, credendo fermamente che foste un re, non un lupo rapace. Avete forse dimenticato che la violenza fatta alle donne da Manfredi vi ha aperto le porte di questo regno? Quale tradimento degno di eterno supplizio si potrebbe compiere più grande che togliere a colui che vi onora il suo onore, la sua speranza e la sua consolazione? Che si direbbe di voi , se lo faceste a lui? Pensate che sia una scusa sufficiente dire che lo avete fatto perché egli è ghibellino? La giustizia del re prevede ,forse,che coloro che ricorrono a lui siano trattati diversamente a seconda del partito cui appartengono?.
Vi ricordo, maestà, che grandissima gloria è aver vinto Manfredi, ma gloria ancora maggiore è vincere sé stesso.
Poiché dovete governare gli altri, vincete voi stesso e frenate questo desiderio, né vogliate guastare con questa macchia ciò che avete conquistato gloriosamente”.
Quelle parole colpirono l’animo del sovrano e tanto più lo turbarono perché sapeva che erano vere.
Perciò, dopo un lungo sospiro, disse “ Conte, sicuramente non potrei trovare nessun altro nemico che non ritenga debole e facile da vincere rispetto alla mia passione. Ma, sebbene l’affanno sia grande e la forza di cui ho bisogno inestimabile, le vostre parole mi hanno fatto comprendere che è opportuno che, prima che passino troppi giorni, io vi faccia vedere che, come so vincere gli altri, così so vincere me stesso”.
Pochi giorni dopo aver detto quelle parole ,il re ritornò a Napoli, sia per togliere a sé l’occasione di fare qualcosa di vile, sia per premiare il cavaliere dell’onore ricevuto da lui.
Sebbene gli fosse difficile donare ad altri ciò che sommamente desiderava per sé, decise di voler maritare le due giovani non come figlie di messer Neri, ma come sue. Diede loro una magnifica dote, con grande gioia del padre, e diede in sposa a messer Maffeo da Palizzi Ginevra la bella e Isotta la bionda a messer Guiglielmo della Magna, entrambi nobili cavalieri e baroni.
Infine, con grandissimo dolore ,se ne andò in Puglia e si impegnò in grandi fatiche ,tanto che spezzò le catene dell’amore e, per quanto gli rimase da vivere, si liberò di tale passione.
Forse vi erano coloro che dicevano che era cosa da poco per un re aver maritato due giovinette, ed era vero.
Ma era, invece, una grandissima cosa che un re innamorato avesse maritato ad un altro colei che egli stesso amava ,senza prendere del suo amore né foglia, né fiore, né frutto.
Così, dunque, magnificamente operò il re, premiando il cavaliere, onorando le giovinette e vincendo valorosamente sé stesso.
 



giovedì 19 novembre 2015

DECIMA GIORNATA - NOVELLA N.5

DECIMA GIORNATA – NOVELLA N.5

Madonna Dianora chiede a messer Ansaldo un giardino bello come i giardini di maggio; messer Ansaldo, chiamato un negromante, glielo dà ;il marito permette che ella faccia il piacere di messer Ansaldo, il quale vista la liberalità del marito, la scioglie dalla promessa; il negromante scioglie messer Ansaldo dal pagamento della ricompensa.

Ogni componente dell’allegra brigata aveva elevato con le proprie lodi messer Gentile fino al cielo, quando il re ordinò ad Emilia di continuare.
Ella , lietamente, quasi desiderosa di narrare, cominciò dicendo che sicuramente messer Gentile aveva operato con grandezza d’animo, fare di più era senz’altro difficile, ma non impossibile.
A tale proposito voleva raccontare una novelletta.
In Friuli, paese freddo ma rallegrato da belle montagne, molti fiumi e fontane con acque trasparenti, vi era una città, chiamata Udine, nella quale, un tempo, visse una bella e nobile donna, chiamata madonna Dianora, moglie di un uomo molto ricco, di nome Gilberto, assai simpatico e garbato.
La donna ,per la sua bellezza, fu amata straordinariamente da un nobile barone, il cui nome era Ansaldo Gradense, uomo molto conosciuto per il valore nelle armi e per cortesia.
Egli, amandola ardentemente, faceva ogni cosa per poter essere amato da lei e le mandava spesso delle ambasciate per sollecitarla.
Madonna Dianora, infastidita dalle continue sollecitazioni del corteggiatore, vedendo che i suoi rifiuti aumentavano le insistenze dell’uomo, pensò di liberarsi di lui, facendogli una richiesta che Ansaldo non potesse soddisfare.
Ad una servetta, che andava spesso da lei, mandata da lui, disse di riferirgli che si sarebbe recata a casa sua per amarlo e dargli piacere, se egli avesse esaudito un suo grandissimo desiderio.
La buona donna le chiese che cosa volesse e le promise che l’avrebbe riferita al padrone.
La nobildonna rispose che desiderava che nel mese di gennaio, che stava per giungere, vicino alla città nascesse un giardino pieno di verdi erbe, di fiori e di alberi con molte foglie, come se ne vedevano nel mese di maggio.
Aggiunse che se l’innamorato non avesse fatto ciò, non avrebbe più dovuto infastidirla.Pur di levarselo di torno, avrebbe rivelato tutto al marito e ai suoi parenti, cosa che non aveva fatto fino ad allora.
Il cavaliere, udite la richiesta e la promessa della donna, seppure gli sembrava una cosa quasi impossibile da realizzare e sapeva che ella l’aveva domandata solo per allontanarlo dalla speranza, pure volle tentare se si poteva fare qualcosa.
Cercò in tutto il mondo di trovare qualcuno che gli desse aiuto e consiglio.
Si imbattè in un negromante che affermava di poter fare quella magia, se fosse stato ben pagato.
Messer Ansaldo, pattuita col mago una grandissima quantità di denaro come ricompensa, aspettò il momento stabilito. Giunto il tempo, mentre faceva molto freddo e ogni cosa era piena di neve e di ghiaccio, il negromante, durante la notte seguente alle calende di gennaio (al primo gennaio), operò la magia.
Fece nascere al mattino uno dei più bei giardini che si fosse mai veduto, con erbe, con alberi e frutti di ogni tipo.
Come messer Ansaldo lo vide fece raccogliere i più bei frutti e i più bei fiori che c’erano e ,di nascosto, li mandò alla sua donna. La fece invitare a vedere il giardino che aveva chiesto, ricordandole la promessa che aveva fatta con un giuramento, attendendo che ella, donna leale, la mantenesse.
Dianora, vedendo i fiori e i frutti e avendo già sentito parlare da molti del meraviglioso giardino, si cominciò a pentire della sua promessa.Al tempo stesso, desiderosa di vedere cose nuove, andò nel giardino insieme a molte altre donne della città.
Lo ammirò molto ma se ne tornò a casa addolorata, pensando alla promessa che aveva fatto.
Il dolore fu tale che non lo riuscì più a nascondere e, ben presto, il marito se ne accorse e volle saperne il motivo. La donna, inizialmente, tacque per la vergogna; infine, costretta, gli raccontò ogni cosa.
Gilberto dapprima si turbò molto ascoltando, poi, considerando le buone intenzioni della moglie, trattenuta l’ira, disse “ Dianora, non è stato né saggio né onesto, da parte tua, ascoltare le ambasciate e pattuire la tua castità sotto condizione con un uomo. Le parole ricevute dal cuore di un innamorato acquistano una forza maggiore di quanto si creda e quasi ogni cosa diventa possibile per gli amanti.
Facesti male prima ad ascoltare e poi a pattuire. Siccome conosco la purezza del tuo animo, per scioglierti dalla promessa, ti concederò quello che nessun altro farebbe.
Mi spinge a ciò anche la paura del negromante che, qualora tu lo beffassi, potrebbe farci del male, su richiesta di messer Ansaldo. Voglio che tu vada da lui e cerchi di farti sciogliere dalla promessa, conservando la tua onestà. Se non ci riesci, gli puoi concedere solo per questa volta il tuo corpo, non il tuo animo”.
La donna, udendo quelle parole , piangeva e diceva di non voler accettare la decisione del marito.
Gilberto insistette perché si facesse così. Perciò, al far dell’alba, la mattina seguente, vestita con semplicità, con due servitori avanti ed una cameriera appresso, Dianora si recò a casa di messer Ansaldo.
Il gentiluomo si meravigliò molto che la donna fosse andata da lui, si alzò e fece chiamare il negromante per mostrargli quanto bene gli avesse procurato la sua arte magica.
Poi le andò incontro, senza alcun desiderio sessuale, la ricevette con rispetto e fece entrare tutti in una bella camera, con un gran focolare.
Invitò la donna a sedere e le chiese il motivo della sua venuta, in nome dell’amore che le portava.
La donna, vergognosa e quasi con le lacrime agli occhi, disse “ Messere, né l’amore ,né la promessa che vi feci mi portarono qui, ma il comando di mio marito, il quale, avendo più riguardo per quello che avete fatto per amor mio, che per l’amore suo e mio, mi ha fatto venire. Per ordine suo sono disposta ad assecondare il vostro piacere solo per questa volta”.
Messere Ansaldo rimase ancora più sorpreso per le parole della donna e per la liberalità di Gilberto.
Commosso cambiò il suo amore in compassione e disse “ Madonna, non piaccia a Dio, se le cose stanno così, che io danneggi l’onore di chi ha pietà del mio amore. Perciò rimarrete qui, fino a quando vi piacerà, come se foste mia sorella .Quando vi piacerà, potrete andarvene liberamente, purchè riferiate a vostro marito , che ha usato nei miei confronti tanta cortesia, come siate stata accolta con riguardo.
Vi chiedo, per il futuro, di considerarmi vostro fratello e servitore”.
La donna, provando una gran meraviglia, più lieta che mai, disse “ Non avrei mai creduto, conoscendo i vostri costumi, che voi, dopo la mia venuta, aveste fatto ciò che fate; anch’io vi sarò sempre obbligata”.
Preso commiato, se ne tornò da Gilberto e gli raccontò ciò che era avvenuto.
Da ciò nacque una bella e leale amicizia che legò lui ed Ansaldo.
Il negromante,che stava per ricevere la ricompensa da Ansaldo, vista la liberalità di Gilberto verso Ansaldo e di Ansaldo verso la donna ,disse “ Dio non voglia. Perchè ho visto Gilberto sacrificare il suo onore e voi il vostro amore , anch'io, ugualmente, sarò liberale del mio premio, che intendo lasciare a voi, ritenendo che sia più giusto così".
Il cavaliere molto insistette perché il mago accettase il compenso, ma non ottenne nulla.
Dopo tre giorni il negromante tolse via il suo giardino e decise di partire.
Ansaldo lo raccomandò a Dio e, spento nel cuore ogni desiderio d’amore, conservò verso la donna un grande affetto.
Che si doveva, dunque, dire? Era forse più importante una donna quasi morta e il tiepido amore rispetto alla liberalità dimostrata da messer Ansaldo ,ancora ardentemente innamorato e sul punto di ottenere la preda tanto inseguita?.
Ed Emilia concluse che sarebbe stato sciocco paragonare gli esempi di liberalità di cui si era parlato prima con quell’ultimo. 






giovedì 12 novembre 2015

DECIMA GIORNATA - NOVELLA N.4

DECIMA GIORNATA – NOVELLA N. 4

Messer Gentile dei Carisendi, venuto a Modena, trae fuori dal sepolcro una donna da lui amata, seppellita come morta; la quale, ripresasi, partorisce un figlio maschio, e messer Gentile restituisce lei e il figliuolo a Niccoluccio Caccianimico, marito di lei.

Sembrò a tutti una cosa strordinaria che un uomo volesse offrire la propria vita. Tutti affermarono che Natan aveva superato la magnificenza del re di Spagna e dell’abate di Cluny.
Dopo che furono dette molte altre cose, il re si volse verso Lauretta, invitandola a narrare.
Lauretta immediatamente incominciò, dicendo che le cose che erano state raccontate fino a quel momento erano senz’altro magnifiche e belle, ma era giunto il momento di metter mano ai fatti d’amore, che offrivano una grande quantità di materiali.L’età dei componenti della brigata spingeva proprio a ciò.
Ella voleva ,dunque, raccontare la magnificenza fatta da un innamorato. Essa ,considerata ogni cosa, non sarebbe sembrata minore di quelle già raccontate.
Infatti i tesori si potevano donare, le inimicizie dimenticare, offrire la propria vita, ma era molto più grande mettere il proprio amore e la propria fama in mille pericoli per poter possedere la cosa amata.
Vi fu, dunque, in Bologna, nobilissima città della Lombardia, un cavaliere molto conosciuto per il suo valore e per la nobiltà di sangue, chiamato messer Gentile Carisendi.
Egli si innamorò di una gentildonna, di nome madonna Catalina, moglie di Niccoluccio Caccianimico.
Poiché non era corrisposto dalla donna, nominato podestà, se ne andò a Modena.
Mentre Niccoluccio non era a Bologna e la moglie, che era gravida, era andata a stare in un possedimento a tre miglia dalla città, un’improvvisa malattia, molto grave, la colse e spense in lei ogni segno di vita, tanto che dal medico fu giudicata morta.
Le sue parenti più strette dissero che ella era gravida da poco tempo, per cui il bimbo che aveva in grembo non poteva ancora essere perfetto. Senza darsi più pensiero la seppellirono, dopo aver molto pianto, nel cimitero di una chiesa lì vicino. 
La cosa fu riferita immediatamente a messer Gentile, che, sebbene non avesse ricevuto da lei alcuna attenzione, ne soffrì molto. Egli disse tra sé “ Ecco, madonna Catalina, tu sei morta. Mentre vivesti non potei avere da te nemmeno uno sguardo. Ora che non ti puoi difendere perché sei morta, voglio rubarti almeno un bacio”.
Detto questo, di nascosto, con un suo servitore, montato a cavallo, senza fermarsi, giunse dov’era seppellita la donna e, aperta la sepoltura, vi entrò. Si pose a giacere al suo fianco, accostò il suo viso a quello della donna, e più volte la baciò ,piangendo.
Ma, come spesso capitava, l’appetito degli uomini non si saziava mai, ma desiderava sempre di più, soprattutto quello degli amanti. Decise di non trattenersi e, dato che si trovava lì, di toccarle un poco il petto, che non aveva mai toccato e mai più avrebbe avuto occasione di toccare.
Spinto da tale desiderio le mise la mano in seno e ve la tenne per un po’ di tempo.
Gli parve, allora, di sentire battere debolmente il cuore di lei. Cacciata la paura, prestò più attenzione e si accorse che certamente ella non era morta ,sebbene il battito fosse molto debole. Quanto più dolcemente potè, aiutato dal suo servitore, la trasse fuori dal sepolcro e, messala sul cavallo, in segreto la condusse a casa sua a Bologna.
Era lì la madre di Gentile, donna saggia e prudente, alla quale il figlio raccontò ogni cosa. Provando pietà, in silenzio, ella preparò un gran fuoco e un bel bagno caldo e riportò la donna in vita.
Come madonna Catalina rinvenne emise un gran sospiro e chiese dove si trovasse.
La madre del giovane la rassicurò. Mentre madonna Catalina si guardava intorno, non riconoscendo il luogo dove si trovava, sorpresa di vedere messer Gentile, l’uomo le raccontò ogni cosa.
Ella, addolorata, lo ringraziò e lo pregò, in nome dell’amore che le portava, di non mancare di rispetto né a lei, né a suo marito, mentre si trovava in quella casa, e, al momento opportuno, di lasciarla ritornare nella propria dimora .
Al che messer Gentile rispose “ Madonna, qualunque cosa abbia desiderato nel passato, adesso e in futuro, dopo che Dio mi ha concesso la grazia, per merito del mio amore, di riportarvi in vita dalla morte, intendo trattarvi come una cara sorella. Ma il beneficio che questa notte vi ho recato merita un premio. Perciò voglio che mi accordiate la grazia che vi domanderò”.
La donna, cortesemente, rispose che era pronta a soddisfare ogni richiesta onesta.
Messer Gentile allora disse “ Madonna, ogni vostro parente e ogni bolognese credono che voi siate morta, per cui non c’è nessuno a casa che vi aspetti. Vi chiedo di abitare, di nascosto, qui con mia madre finchè non ritorno da Modena, cosa che avverrà presto. Vi chiedo ciò perché, alla presenza dei più importanti cittadini di Bologna, voglio fare di voi dono caro e solenne a vostro marito”.
La donna, riconoscendo che la richiesta era onesta, sebbene desiderasse dare ai parenti la lieta notizia che era viva, decise di fare ciò che il gentiluomo chiedeva e promise, dando la sua parola.
Appena smise di parlare, sentì che era giunto il momento di partorire. Aiutata teneramente dalla madre di messer Gentile, non molto dopo, partorì un bel maschietto, la qual cosa aumentò di molto la gioia sua e del giovane.
Messer Gentile ordinò che ella avesse tutte le cure opportune e fosse servita come se fosse sua moglie.
Poi ritornò segretamente a Modena. Di là ,finito il tempo del suo incarico, dovendosene tornare a Bologna, ordinò che ,per il giorno del suo rientro, fosse preparato a casa sua un grande e bel convito per molti gentiluomini di Bologna, tra cui Niccoluccio Caccianimico.
Ritornato a casa , trovò la donna perfettamente ristabilita e più bella e più sana che mai, insieme al figlioletto, che stava anch'egli in ottima salute.
Con grandissima allegria mise gli ospiti a tavola e fece servire molte vivande, con grande sfarzo.
Giunti quasi alla fine del pranzo, dopo essersi accordato con la donna su ciò che dovevano fare, così cominciò a parlare “Signori, ricordo di aver udito una volta che in Persia vi è, a parer mio, una piacevole usanza.
Tale usanza vuole che, quando qualcuno vuole onorare molto un amico, lo invita a casa sua e gli mostra la cosa che ritiene più cara, o moglie, o amica, o figliuola, o altro, dicendo che, se potesse, ugualmente gli mostrerebbe il suo cuore. Io voglio introdurre questa usanza a Bologna.
Voi, per vostra grazia, avete onorato il banchetto, ed io, secondo l’usanza persiana, vi voglio onorare mostrandovi la cosa più cara che ho al mondo ed avrò mai. Ma, prima di farlo, voglio sentire il vostro parere su un dubbio che vi esporrò.Vi è una persona che ha in casa un bravo e fedelissimo servitore, che si ammala gravemente. Il padrone, senza attendere la morte del servo infermo, lo fa portare in mezzo alla strada e non ha più cura di lui. Giunge un estraneo e, avendo compassione per l’ammalato, se lo porta a casa e, con gran preoccupazione e spesa, lo riporta in salute
Ora, vorrei sapere se il padrone a ragione si può rammaricare se l’estraneo non gli vuol restituire il servitore, se egli glielo chiede”.
I gentiluomini, dopo aver a lungo discusso, furono tutti d’accordo in un solo parere ed affidarono a Niccoluccio Caccianimico, che era un ottimo parlatore, la risposta.
Egli, commentata l’usanza della Persia, disse che tutti erano della stessa opinione, che cioè il primo signore non aveva alcun diritto sul suo servitore, perché non solo l’aveva abbandonato, ma addirittura gettato. L’estraneo avendo raccolto e curato l’infermo, l’aveva trattato come se fosse un suo servitore, tenendolo ,dunque, con sé non recava nessun danno al padrone di prima.
Il cavaliere, contento della risposta, soprattutto perché gliela aveva data Niccoluccio, disse che anch’egli era d’accordo e aggiunse che era giunto il momento di mantenere la sua promessa.
Chiamati due servi, li mandò dalla donna, che era splendidamente vestita, pregandola di andare a rallegrare gli ospiti con la sua presenza.
Ella, tenendo in braccio il suo figlioletto bellissimo, venne e, come volle il cavaliere, si sedette vicino ad un valente uomo.
Messer Gentile, allora, disse “ Signori, questa è la cosa più cara che ho, guardate se vi sembra che io abbia ragione”.
I gentiluomini la cominciaron a guardare con interesse e molti l’avrebbero riconosciuta ,se non l’avessero ritenuta morta.
Ma soprattutto la guardava Niccoluccio, il quale, essendosi allontanato il cavaliere, le chiese se fosse bolognese o forestiera.
La donna, sentendo che il marito le faceva delle domande, si trattenne a fatica dal rispondere, ma tacque per  obbedire all’ordine ricevuto. Un altro le domandò se era suo quel figlioletto ed un altro ancora se fosse la moglie di messer Gentile o una sua parente. Ma ella non diede alcuna risposta.
Quando messer Gentile ritornò,uno dei convitati gli chiese se, per caso, la donna era muta.
Il cavaliere rispose che l’aver taciuto era una prova della di lei virtù.
Il convitato insistette chiedendogli chi ,dunque, ella fosse.
Il padrone di casa rispose che l’avrebbe accontentato, ma voleva che nessuno si allontanasse di lì, finché non avesse terminato il suo racconto.
Dopo che tutti avevano promesso e le tavole erano state tolte, messer Gentile, sedendo al lato della donna, disse
“ Signori, questa donna è quel leale e fedele servo del quale vi chiesi poco fa; costei, ritenuta dai suoi poco cara, come umile e non più utile, fu gettata in mezzo alla strada. Io la raccolsi e con sollecitudine e attenzione la strappai dalle mani della morte. Dio, avendo riguardo per il mio affetto, l’ha fatta diventare così bella, da cadaverica che era. Ma vi racconterò come ciò mi sia accaduto brevemente”.
E iniziò a raccontare del suo innamorarsi di lei e, via via, tutte le cose che erano accadute, con grande meraviglia degli ascoltatori.
Poi aggiunse “Per questi motivi, se non avete cambiato parere, e soprattutto Niccoluccio, questa donna, a ragione, è mia e nessuno me la può chiedere”.
Nessuno rispose e tutti pendevano dalle sue labbra.
Niccoluccio, tutti gli altri e la donna piangevano, commossi.
Messer Gentile, alzatosi, prese in braccio il bambino e per mano la donna e si diresse verso Niccoluccio.
Poi disse “ Orsù, compare, ti rendo tua moglie, che i suoi parenti gettarono via, ma ti voglio donare questa donna, mia comare e il suo figlioletto, il quale sono certo che fu da te generato. Io lo tenni a battesimo e lo chiamai Gentile. Ti prego che ella non ti sia men cara perché è stata tre mesi a casa mia.
Ti giuro, per quel Dio che mi fece innamorare di lei, affinchè il mio amore fosse la causa della sua salvezza, che ella ha vissuto onestamente in casa mia con mia madre, come se fosse stata con il padre e la madre”.
Detto ciò si rivolse alla donna e la lasciò libera di andare da Niccoluccio.
Niccoluccio accolse la sua donna con il figlioletto con gioia tanto più grande perché non aveva più speranza di vederla viva e, come meglio seppe, ringraziò il cavaliere.
Tutti piangevano commossi e commentavano il fatto.
La donna fu accolta a casa sua con straordinaria festa e fu guardata per molto tempo dai bolognesi con stupore, come una resuscitata.
Messer Gentile visse per sempre amico di Niccoluccio, dei suoi parenti e di quelli della donna.
La narratrice chiese, allora, alle donne che cosa ne pensassero. Se ritenevano che l’aver un re donato lo scettro e la corona, aver un abate riconciliato un malfattore con il Papa, o un vecchio aver offerto la sua vita ad un nemico, avessero lo stesso valore di ciò che aveva fatto messer Gentile.
Egli, giovane e innamorato, avendo avuto la possibilità di avere ciò che la superficialità altrui aveva gettato via e, fortunatamente, aveva raccolto, non solo controllò il suo ardore, ma spontaneamente restituì ciò che aveva desiderato con tutta la sua anima e cercato di rubare.
Riteneva ,perciò, che nessuna delle cose già dette potesse essere paragonata a quella.