venerdì 28 febbraio 2014

TERZA GIORNATA - NOVELLA N.2

TERZA GIORNATA – NOVELLA N.2


Un palafreniere (scudiero) giace con la moglie di Agilulfo re, della cosa Agilulfo si accorge; lo trova e lo tosa; il tosato tosa tutti gli altri e così evita la sventura.


Finita la novella di Filostrato, alcune donne erano arrossite, altre avevano riso.
 Pampinea, al cenno della regina, cominciò col considerare che vi erano alcuni imprudenti  che volevano dimostrare a tutti i costi di conoscere quello che era opportuno che non sapessero.
Spesso rimproverando i difetti nascosti negli altri, credevano di diminuire la loro vergogna , invece l’accrescevano all’infinito. Ed era vero anche il contrario, come si evidenziava dal comportamento tenuto da un uomo, ritenuto inferiore anche a Masetto, per vincere un saggio e valente re.
Agilulfo, re dei longobardi, pose il trono reale, come i suoi predecessori, a Pavia, città della Lombardia, dopo aver sposato Teodolinda, vedova di Autari, donna bellissima, saggia, onesta ,ma sfortunata in amore.
Mentre il regno longobardo prosperava, un palafreniere (scudiero), di umilissima condizione, ma bello e possente come un re, si innamorò perdutamente della regina.
Egli sapeva bene che la sua condizione non gli consentiva di svelare il suo amore, ma, sebbene senza speranza, si gloriava di amare una donna importante e faceva di tutto per recarle piacere.
Quando la regina andava a caccia, si riteneva beato se poteva stare vicino alla sua staffa e toccare i suoi panni.
Il desiderio era tanto forte che più volte pensò di morire, non avendo alcuna possibilità di soddisfarlo.
Voleva, comunque, che apparisse manifesto che moriva per l’amore che aveva portato e portava alla regina. Prima di morire escogitò un piano per poter giacere con lei fingendo di essere il re, dal momento che non c’era altro modo. Sapeva che il re non dormiva con la dama, ma di tanto in tanto si recava nella camera della moglie. Per vedere in che abito e quante volte il re si recava dalla regina, si nascose, per diverse notti , in una sala del palazzo reale , che era tra la camera del re e quella della regina.
Una notte vide il re uscire dalla sua camera, avvolto in un lungo mantello, avendo in una mano una torcia e nell’altra una bacchetta, ed andare alla camera della regina.
Notò che il re percuoteva la porta con uno o due colpi della bacchetta, che l’uscio si apriva e gli veniva tolta di mano la torcia.
Il giovane pensò di dover fare nello stesso modo per entrare. Si fornì di un mantello, di una torcia e di una mazza, si fece un bel bagno, perché l’odore di letame non svelasse l’inganno alla regina ,e si nascose nella sala. La notte, sentendo che tutti dormivano, desiderando possedere la regina o morire, accese la torcia, indossò il mantello e si avviò. Giunto davanti alla camera della sovrana, colpì due volte la porta con la bacchetta.
La camera fu aperta da una cameriera assonnata, che prese la torcia e la spense.
Egli, posato il mantello, entrò nel letto della regina, che dormiva. Presala in braccio, perché sapeva che il re faceva l’amore in silenzio, senza dire alcuna cosa e senza che alcuna cosa gli fosse detta, più volte conobbe carnalmente la regina. Poi, temendo di essere scoperto, si alzò, riprese il mantello e la torcia e tornò nel suo letto.
Se ne era appena andato che il re, alzatosi, andò nella camera della regina.
Ella si meravigliò molto e, salutandolo lietamente, gli chiese come mai era ritornato da lei così presto, dopo aver goduto generosamente in numerosi amplessi.
Il re, udendo quelle parole, comprese che la moglie era stata ingannata, ma, da saggio qual’era, visto che la regina non si era accorta dell’inganno e neppure altri, pensò di non svelare nulla.
Molti altri sciocchi si sarebbero chiesti chi era stato, come era entrato; da ciò sarebbero derivate molte gravi cose che avrebbero rattristato la donna, la quale avrebbe potuto desiderare di nuovo quello che aveva provato. Invece il re ritenne che tacendo non avrebbe avuto nessuna vergogna, parlando avrebbe procurato a sé e alla moglie disonore.
Rispose ,allora, alla moglie che era uomo da potersi permettere di giacere più volte, in una stessa notte con lei. Visto, però, che la sovrana si preoccupava per la sua salute, seguendo il consiglio della donna, prese il mantello e se ne andò.
Adirato, decise di scoprire ,di nascosto, chi era stato, sicuro che doveva trattarsi di uno che era nella casa.
Presa una piccola lanterna ,se ne andò in un lunghissimo quartiere del suo palazzo, che era sopra le stalle dei cavalli, dove dormiva la servitù.
Ritenendo che colui che aveva giaciuto con la regina doveva avere ancora il cuore che gli batteva forte per lo sforzo compiuto, in silenzio, cominciò a toccare a tutti il petto, per sapere a chi batteva più forte.
Mentre tutti dormivano, il palafreniere non dormiva ancora. Vedendo che il re si avvicinava, temette di aggiungere alla palpitazione del cuore dovuta alla fatica, una palpitazione maggiore dovuta alla paura, pensando che se il re se ne fosse accorto l’avrebbe fatto uccidere. Decise allora di fingere di dormire.
Il sovrano, avvicinatosi e sentendo che il cuore dello scudiero batteva più forte, riconobbe in lui il colpevole. Ma ,poiché non voleva che la cosa si sapesse, non fece altro che tagliargli ,con un paio di forbicette che aveva portato con sé, da un lato della testa, i capelli che aveva lunghissimi , per poterlo riconoscere il mattino dopo. Fatto ciò se ne ritornò nella sua camera.
Il giovane, che non era stupido, capì perché era stato così segnato. Senza perder tempo, si alzò e ,con un paio di forbicette che per caso si trovavano nella stalla per servizi ai cavalli, piano piano tagliò i capelli a tutti, sopra le orecchie, come erano stati tagliati a lui. Fatto ciò, furtivamente, se ne tornò a dormire.
Il  re , al mattino, dopo essersi alzato, convocò al suo cospetto tutta la servitù, per individuare il colpevole. Vide, con grande sorpresa, che la maggior parte dei servi aveva i capelli tagliati nello stesso modo. Meravigliato disse tra sè " Costui che vado cercando, pur se di bassa condizione, mostra assai bene di essere di grande intelligenza”.
Poi, considerando che per una piccola vendetta avrebbe acquistato una gran vergogna, con poche parole volle ammonire il colpevole e dimostrargli che aveva capito, disse, allora, rivolto a tutti “ Chi fece ciò non lo faccia mai più e andate con Dio”.
Un altro, meno saggio, avrebbe fatto interrogare e torturare i servi, scoprendo il misfatto, che avrebbe ,poi, dovuto vendicare. Con ciò avrebbe accresciuta la vergogna sua e avrebbe contaminata l’onestà della sua donna.
I servitori si sorpresero per le parole del re e si chiesero che cosa voleva dire. Solo il colpevole ne intese appieno il senso, non disse niente, ma, da uomo saggio qual’era ,finchè il re fu vivo, non mise più a rischio la sua vita con un’azione del genere.





giovedì 20 febbraio 2014

TERZA GIORNATA - NOVELLA N.1

TERZA GIORNATA – NOVELLA N.1

Masetto da Lamporecchio si finge muto e diventa ortolano di un monastero di suore ,le quali tutte sono coinvolte e giacciono con lui.

Filostrato iniziò il racconto considerando che c’erano molti stolti che credevano che una donna ,solo perché aveva sul capo una benda bianca e in dosso un abito nero, non era più femmina e non sentiva più gli appetiti femminili, come se il divenire monaca l’avesse fatta divenire di pietra.
Come pure vi erano altri stolti che credevano che lavorare la terra con zappe e con vanghe, mangiare cibi poco raffinati, sopportare i disagi togliessero ai contadini i desideri della carne e li rendessero ottusi.
Proseguì, poi, dicendo, a conferma della premessa, che nelle contrade toscane c’era nel passato e c’era ancora un monastero assai famoso ,che non avrebbe nominato per non diminuire la sua fama.
In esso, non era passato ancora molto tempo, c’erano otto donne ,con una badessa, tutte giovani, e un ometto che coltivava il giardino. Costui, non contento della paga, se ne tornò a Lamporecchio, suo paese d’origine.
Fra coloro che l’accolsero lietamente, c’era un giovane contadino chiamato Masetto, forte, robusto, di bell’aspetto che chiese al buon’uomo, che si chiamava Nuto, quale lavoro facesse al monastero.
Nuto rispose che coltivava il giardino, raccoglieva legna nel bosco e faceva altri servizi, ma lo pagavano tanto poco che non si ci poteva comprare nemmeno le scarpe. E poi quelle monache, che erano tutte giovani, pareva che avessero il diavolo in corpo, non erano mai contente di niente, erano talmente seccanti che lui era andato dall’amministratore e si era licenziato.
L ‘amministratore gli aveva chiesto di procurargli un altro contadino , ma lui se ne sarebbe guardato bene. Sentito ciò, Masetto provò un grande desiderio di andare da quelle monache, e, senza comunicare a Nuto la sua intenzione, aggiunse che sarebbe stato meglio stare con i diavoli che con le femmine, che non sapevano mai quello che volevano.
Dopo che si furono separati, Masetto, considerato che il lavoro richiesto lo sapeva fare bene, temette di non essere accettato perché era troppo giovane e appariscente. Pensando e ripensando , decise di fingersi muto, tanto lì nessuno lo conosceva.
Come un pover’uomo, con la scure sul collo, si presentò al monastero, dove trovò, per caso, l’amministratore. Facendo dei gesti come fanno i muti per farsi capire, chiese da mangiare e si offrì di spaccare la legna.
Dopo avergli dato da mangiare, l’uomo gli dette da spaccare dei grossi ceppi di legno, cosa che Masetto, che era forte e vigoroso, fece con grande energia. Poi gli dette un asino e si fece portare la legna a casa , nei giorni successivi si fece fare diversi altri servizi, dandogli ordini con i gesti.
Un giorno la badessa lo vide e domandò chi fosse. L’amministratore rispose che era un pover’uomo sordomuto, molto capace, che sarebbe stato adatto a curare il giardino del monastero, anche perché, essendo sordomuto, non poteva motteggiare le giovani monache.
La badessa fu subito d’accordo. Masetto, poco lontano, sentì tutto e, lieto, già pensava a come avrebbe lavorato ben bene l’orto. L’amministratore, visto che sapeva lavorare benissimo, affidò al giovane l’incarico e se ne andò.
Man mano che passavano i giorni, le monache cominciarono a stuzzicarlo e a prenderlo in giro, come si fa con i muti, e, non sapendo che egli comprendeva tutto, dicevano che la badessa pensava che quello fosse senza coda, come era senza parola.
Un giorno due monacelle, gli si avvicinarono e lo cominciarono a guardare. Una confessò all’altra di aver fatto pensieri peccaminosi, che forse anche lei aveva avuto, ma bisognava mantenere il segreto e non confessarli. Disse, ancora, che aveva saputo che non c’è dolcezza più grande al mondo di quella che la femmina provava quando giaceva con un uomo. Aggiunse che, poiché nel monastero non vi erano altri uomini oltre l’amministratore e il muto, aveva deciso di provare se ciò era vero con l’ortolano. Sicuramente era l’uomo più adatto perché, se pure avesse voluto, non avrebbe potuto parlare perché muto ed anche un po’ tonto.
La seconda monaca si preoccupava della loro verginità, promessa a Dio, e del rischio di una gravidanza, ma la compagna ,più scaltra, riuscì a vincere le resistenze dell’altra.
Le due misero a punto un piano. Alle tre del pomeriggio, quando le altre monache riposavano, sarebbero scese nell’orto, avrebbero preso per mano il giovane e l’avrebbero condotto in una capanna, dove si riparava dalla pioggia. Mentre l’una giaceva con Masetto, l’altra avrebbe fatto da guardia.
Considerarono che il muto era tanto sciocco che le avrebbe accontentate.
Il giovane, che aveva sentito tutto, non aspettava altro.
Le monachelle , assicuratesi di non essere viste, si avvicinarono e quella che aveva fatto la proposta svegliò Masetto ,lo condusse nella capanna dove egli fece ciò che la monaca voleva ,senza farsi troppo pregare.
Poi toccò all’altra e, prima che si allontanassero, vollero provare più di una volta come il muto sapeva cavalcare.
Confidandosi tra loro dicevano che era proprio vero che era la cosa più dolce del mondo e, in seguito, più volte riprovarono.
Dopo un certo tempo ,una loro compagna, visto il movimento, ne parlò alle altre monache, si consultò con loro se era il caso di accusare le due alla badessa.
Poi mutarono parere e si accordarono in modo che tutte , a turno, divennero compagne dell’ortolano.
Un giorno, siccome faceva molto caldo, la badessa che non si era accorta di nulla, girando tutta sola in giardino, trovò Masetto, che lavorava poco di giorno perché molto aveva cavalcato di notte, addormentato sotto un albero; il vento gli aveva tolto gli abiti di dosso ed era tutto scoperto.
La badessa, vedendolo ,provò lo stesso desiderio che avevano provato le sue monachine. 
Svegliatolo, se lo portò nella sua camera, dove lo tenne per molti giorni, con grandi lamenti delle altre, provando quella dolcezza che prima soleva biasimare.
Il giovane, non potendo soddisfare tante femmine, pensò che l’esser muto , a quel punto, lo poteva danneggiare. Una notte, mentre era con la badessa, cominciò a parlare e disse “ Madonna, ho sentito che un gallo basta a dieci galline, ma dieci uomini possono a fatica soddisfare una femmina, invece ,io ne devo soddisfare nove;  dunque, non potrei durare a lungo, anzi non ce la posso proprio fare ; perciò o mi lasciate andare o trovate voi una soluzione”.
La donna ,che lo credeva muto, si sorprese molto udendolo parlare.
Ed egli spiegò che era diventato muto per un incidente, non lo era di natura ,e quella era la prima notte che gli era tornata la voce.
La badessa gli credette e si fece raccontare tutto quello che era successo. Da donna savia e prudente, con discrezione, senza lasciar partire Masetto, per evitare che egli, parlando , potesse discreditare il monastero, d’accordo con le altre monache e con l’approvazione dell’ortolano, trovò la soluzione.
Essendo morto l’amministratore, diffusero la voce che, per le loro preghiere e per i meriti del santo da cui il monastero prendeva nome, Masetto, che era stato muto per lungo tempo, aveva riacquistato la parola.
Tutti gli abitanti del circondario ci credettero.
Il giovane fu nominato amministratore e potè distribuire le sue fatiche in modo da poterle sopportare.
Nel convento nacquero molti monachini, ma la cosa fu gestita con tanta discrezione che non se ne seppe niente se non dopo la morte della badessa.
Ma ormai Masetto era vecchio, ricco e desideroso di tornarsene a casa sua, per cui non se ne ebbe gran danno.
Così Masetto vecchio, ricco, senza preoccupazione di dover nutrire i suoi figli, avendo speso bene la sua giovinezza, se ne tornò donde era partito, affermando che “ Così trattava Cristo chi gli poneva le corna sopra il cappello”. 



giovedì 13 febbraio 2014

TERZA GIORNATA - INTRODUZIONE

TERZA GIORNATA – INTRODUZIONE

L’aurora volgeva al termine e il cielo si tingeva di rosso.
La regina, svegliati tutti, avendo già mandato il maggiordomo sul luogo dove dovevano andare, con tutto quello che serviva e con tutti i bagagli, si mise in cammino con il resto della compagnia.
Li accompagnò il canto di molti usignoli e di altri uccelli, mentre avanzavano per una stradina piena di erbe e di fiori che cominciavano a schiudersi per il bacio del sole.
Dopo circa duemila passi, verso le nove, giunsero ad un bellissimo palazzo, posto su una piccola altura (poggio di Camerata), entrati, trovarono sale e camere pulite, piene di tutto ciò che poteva servire e lodarono il padrone. Discesi al piano terra trovarono una grandissima corte, con cantine piene di ottimi vini, con una fonte di acqua sorgiva.
Si sedettero sulla terrazza su cui affacciava la sala, mentre il maggiordomo serviva dolciumi e ottimi vini.
Poi si fecero aprire un giardino che costeggiava il palazzo, dove erano splendidi vigneti, con pergolati di viti ,ed altre piante che mandavano un profumo che pareva di essere in Oriente.
Al centro c’era un prato di erba finissima, con fiori di mille colori, con intorno alberi di aranci e di cedri profumatissimi.
Nel mezzo del prato era situata una fontana di marmo bianchissimo con meravigliosi intagli, ricchissima di acqua, che saliva alta verso il cielo e ricadeva con forza. L’acqua che usciva dalla fontana finiva in condotti artificiali che la convogliavano verso due mulini.
Tutti affermarono che sembrava di essere in Paradiso.
Continuando ad esplorare, videro che il giardino era pieno di cento varietà di animali, conigli, lepri, caprioli, cerbiatti che pascolavano liberamente.
A mattinata inoltrata, fecero mettere delle tavole intorno alla fontana e , dopo aver cantato e ballato, andarono a mangiare; poi, poiché faceva caldo, alcuni andarono a riposare ,altri  preferirono trattenersi in giardino a leggere o a giocare a scacchi.
Verso le tre del pomeriggio, lavatisi il viso con l’acqua fredda, riunitisi intorno alla fontana, aspettarono il comando della regina per cominciare a raccontare.

Per primo toccò a Filostrato, che cominciò in questo modo. 

giovedì 6 febbraio 2014

SECONDA GIORNATA - CONCLUSIONE - INIZIO TERZA GIORNATA

SECONDA GIORNATA – CONCLUSIONE


L’ultima novella fece tanto ridere la compagnia che non c’era nessuna cui non dolessero le mascelle, tutti erano d’accordo nel ritenere che Bernabò era stato una bestia.
Si era fatto tardi e la regina, toltasi la corona, la pose sul capo di Neifile che, ricevuto l’onore, arrossì un poco e nel viso divenne come una fresca rosa d’aprile o di maggio.
Ella stabilì che il venerdì successivo, giorno della passione di Cristo, fosse dedicato alle orazioni più che alle novelle; il sabato era usanza che le donne si lavassero la testa e digiunassero per devozione alla Madonna; la domenica, infine, bisognava riposarsi da ogni fatica. Inoltre, riteneva opportuno allontanarsi di lì ed andare altrove.
La sera della domenica si sarebbe pensato alle novelle da raccontare il giorno successivo.
Il tema da trattare era quello di coloro che acquistassero le cose desiderate con abilità e le perdute recuperassero. Tutti furono d’accordo.
Si trattennero un po’ in giardino e all’ora stabilita cenarono allegramente. Dopo cena Emilia cominciò a cantare, seguirono Pampinea e le altre, che cantarono una canzone sulle gioie dell’amore.
Al termine, con le lampade in mano, ciascuno se ne andò nella sua camera.
I due giorni seguenti furono dedicati alle cose prescritte dalla regina e tutti, con desiderio ,attesero la domenica.


















































 Finisce così la seconda giornata del Decameron :incomincia la terza, nella quale si ragiona, mentre è regina Neifile, di chi, avendo molto desiderato qualcosa l’abbia acquistata con l’abilità e di chi avendola perduta l’abbia recuperata.