TERZA GIORNATA – NOVELLA N.2
Un palafreniere (scudiero) giace con la moglie di Agilulfo re, della
cosa Agilulfo si accorge; lo trova e lo tosa; il tosato tosa tutti gli altri e
così evita la sventura.
Finita la novella di Filostrato,
alcune donne erano arrossite, altre avevano riso.
Pampinea, al cenno della regina, cominciò col
considerare che vi erano alcuni imprudenti
che volevano dimostrare a tutti i costi di conoscere quello che era
opportuno che non sapessero.
Spesso rimproverando i difetti
nascosti negli altri, credevano di diminuire la loro vergogna , invece
l’accrescevano all’infinito. Ed era vero anche il contrario, come si
evidenziava dal comportamento tenuto da un uomo, ritenuto inferiore anche a
Masetto, per vincere un saggio e valente re.
Agilulfo, re dei longobardi, pose
il trono reale, come i suoi predecessori, a Pavia, città della Lombardia, dopo
aver sposato Teodolinda, vedova di Autari, donna bellissima, saggia, onesta ,ma
sfortunata in amore.
Mentre il regno longobardo
prosperava, un palafreniere (scudiero), di umilissima condizione, ma bello e
possente come un re, si innamorò perdutamente della regina.
Egli sapeva bene che la sua
condizione non gli consentiva di svelare il suo amore, ma, sebbene senza
speranza, si gloriava di amare una donna importante e faceva di tutto per
recarle piacere.
Quando la regina andava a caccia,
si riteneva beato se poteva stare vicino alla sua staffa e toccare i suoi
panni.
Il desiderio era tanto forte che
più volte pensò di morire, non avendo alcuna possibilità di soddisfarlo.
Voleva, comunque, che apparisse
manifesto che moriva per l’amore che aveva portato e portava alla regina. Prima
di morire escogitò un piano per poter giacere con lei fingendo di essere il re,
dal momento che non c’era altro modo. Sapeva che il re non dormiva con la dama,
ma di tanto in tanto si recava nella camera della moglie. Per vedere in che
abito e quante volte il re si recava dalla regina, si nascose, per diverse
notti , in una sala del palazzo reale , che era tra la camera del re e quella
della regina.
Una notte vide il re uscire dalla
sua camera, avvolto in un lungo mantello, avendo in una mano una torcia e
nell’altra una bacchetta, ed andare alla camera della regina.
Notò che il re percuoteva la porta
con uno o due colpi della bacchetta, che l’uscio si apriva e gli veniva tolta
di mano la torcia.
Il giovane pensò di dover fare
nello stesso modo per entrare. Si fornì di un mantello, di una torcia e di una
mazza, si fece un bel bagno, perché l’odore di letame non svelasse l’inganno
alla regina ,e si nascose nella sala. La notte, sentendo che tutti dormivano,
desiderando possedere la regina o morire, accese la torcia, indossò il mantello
e si avviò. Giunto davanti alla camera della sovrana, colpì due volte la porta
con la bacchetta.
La camera fu aperta da una
cameriera assonnata, che prese la torcia e la spense.
Egli, posato il mantello, entrò nel
letto della regina, che dormiva. Presala in braccio, perché sapeva che il re
faceva l’amore in silenzio, senza dire alcuna cosa e senza che alcuna cosa gli
fosse detta, più volte conobbe carnalmente la regina. Poi, temendo di essere
scoperto, si alzò, riprese il mantello e la torcia e tornò nel suo letto.
Se ne era appena andato che il re,
alzatosi, andò nella camera della regina.
Ella si meravigliò molto e,
salutandolo lietamente, gli chiese come mai era ritornato da lei così presto,
dopo aver goduto generosamente in numerosi amplessi.
Il re, udendo quelle parole,
comprese che la moglie era stata ingannata, ma, da saggio qual’era, visto che
la regina non si era accorta dell’inganno e neppure altri, pensò di non svelare
nulla.
Molti altri sciocchi si sarebbero
chiesti chi era stato, come era entrato; da ciò sarebbero derivate molte gravi
cose che avrebbero rattristato la donna, la quale avrebbe potuto desiderare di
nuovo quello che aveva provato. Invece il re ritenne che tacendo non avrebbe
avuto nessuna vergogna, parlando avrebbe procurato a sé e alla moglie disonore.
Rispose ,allora, alla moglie che
era uomo da potersi permettere di giacere più volte, in una stessa notte con
lei. Visto, però, che la sovrana si preoccupava per la sua salute, seguendo il
consiglio della donna, prese il mantello e se ne andò.
Adirato, decise di scoprire ,di
nascosto, chi era stato, sicuro che doveva trattarsi di uno che era nella casa.
Presa una piccola lanterna ,se ne
andò in un lunghissimo quartiere del suo palazzo, che era sopra le stalle dei
cavalli, dove dormiva la servitù.
Ritenendo che colui che aveva
giaciuto con la regina doveva avere ancora il cuore che gli batteva forte per
lo sforzo compiuto, in silenzio, cominciò a toccare a tutti il petto, per
sapere a chi batteva più forte.
Mentre tutti dormivano, il
palafreniere non dormiva ancora. Vedendo che il re si avvicinava, temette di
aggiungere alla palpitazione del cuore dovuta alla fatica, una palpitazione
maggiore dovuta alla paura, pensando che se il re se ne fosse accorto l’avrebbe
fatto uccidere. Decise allora di fingere di dormire.
Il sovrano, avvicinatosi e sentendo
che il cuore dello scudiero batteva più forte, riconobbe in lui il colpevole.
Ma ,poiché non voleva che la cosa si sapesse, non fece altro che tagliargli
,con un paio di forbicette che aveva portato con sé, da un lato della testa, i
capelli che aveva lunghissimi , per poterlo riconoscere il mattino dopo. Fatto
ciò se ne ritornò nella sua camera.
Il giovane, che non era stupido,
capì perché era stato così segnato. Senza perder tempo, si alzò e ,con un paio
di forbicette che per caso si trovavano nella stalla per servizi ai cavalli,
piano piano tagliò i capelli a tutti, sopra le orecchie, come erano stati
tagliati a lui. Fatto ciò, furtivamente, se ne tornò a dormire.
Il
re , al mattino, dopo essersi alzato, convocò al suo cospetto tutta la
servitù, per individuare il colpevole. Vide, con grande sorpresa, che la
maggior parte dei servi aveva i capelli tagliati nello stesso modo.
Meravigliato disse tra sè " Costui che vado cercando, pur se di bassa
condizione, mostra assai bene di essere di grande intelligenza”.
Poi, considerando che per una
piccola vendetta avrebbe acquistato una gran vergogna, con poche parole volle
ammonire il colpevole e dimostrargli che aveva capito, disse, allora, rivolto a
tutti “ Chi fece ciò non lo faccia mai più e andate con Dio”.
Un altro, meno saggio, avrebbe
fatto interrogare e torturare i servi, scoprendo il misfatto, che avrebbe ,poi,
dovuto vendicare. Con ciò avrebbe accresciuta la vergogna sua e avrebbe
contaminata l’onestà della sua donna.
I servitori si sorpresero per le
parole del re e si chiesero che cosa voleva dire. Solo il colpevole ne intese
appieno il senso, non disse niente, ma, da uomo saggio qual’era ,finchè il re
fu vivo, non mise più a rischio la sua vita con un’azione del genere.
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