giovedì 25 giugno 2015

NONA GIORNATA - NOVELLA N.3



NONA GIORNATA – NOVELLA N.3

Maestro Simone, su richiesta di Bruno, di Buffalmacco e di Nello, fa credere a Calandrino che egli è gravido: Calandrino dà ai suddetti capponi e denari  in cambio di medicine e guarisce senza partorire.

Dopo che Elissa ebbe finito la sua novella, tutti resero grazie a Dio che ,con una allegra battuta, aveva salvato la monaca dai morsi delle compagne invidiose.
La regina si rivolse ,poi, a Filostrato e lo invitò a continuare.
Il giovane incominciò dicendo che il cafone giudice marchigiano, di cui aveva parlato il giorno prima, gli aveva fatto trascurare una novella su Calandrino, che voleva raccontare, perché ,quando più si parlava di quel tale, tanto più  aumentava l’allegria. Sebbene si fosse già parlato molto di lui e dei suoi compagni, pure avrebbe raccontato la novella che aveva tralasciato il giorno prima.
Si era già dimostrato, in precedenza, che tipi fossero Calandrino e i suoi compagni,di cui intendeva narrare, non c’era ,perciò, bisogno di aggiungere altro. 
Iniziò, dunque, dicendo che, un brutto giorno, una zia di Calandrino morì e gli lasciò duecento lire, in moneta spicciola. Per questo motivo Calandrino cominciò a dire che voleva comprare un podere e contrattava, come se avesse avuto da spendere duemila fiorini d’oro, con tutti i sensali di Firenze. La contrattazione si guastava quando si giungeva a pattuire il prezzo.
Bruno e Buffalmacco, che sapevano tutto, gli avevano detto più volte che era meglio godersi quei soldi tutti insieme, invece di andar comprando un pezzettino di terra, che non serviva a niente. Ma non avevano potuto ottenere che offrisse loro da mangiare nemmeno una volta.
Un giorno se ne lagnavano, discutendone insieme ad un altro amico, di nome Nello. Tutti e tre decisero di trovare un modo per farsi una bella mangiata a spese di Calandrino.
 Senza perder troppo tempo,misero a punto un piano.
La mattina seguente, appena Calandrino uscì di casa, Nello gli si fece incontro e lo salutò, augurandogli il
 buongiorno. Poi  cominciò a guardarlo con insistenza. Calandrino gli domandò perché lo guardava e Nello gli chiese se durante la notte si era sentito qualcosa, perché non sembrava più lo stesso.
Calandrino si cominciò a preoccupare e diventò tutto sospettoso. Ma, non sentendosi alcun malanno, andò avanti.
Poco dopo gli si fece incontro Buffalmacco che lo salutò e gli domandò se si sentisse niente.
Calandrino rispose che anche Nello, poco prima, gli aveva detto che sembrava cambiato, ma non aveva nulla.
Buffalmacco disse “ Si, potresti avere qualcosa, non nulla, infatti sembri mezzo morto”.
A Calandrino già sembrava di avere la febbre, quando sopraggiunse Bruno che, prima di aggiungere altro, disse “ Calandrino, che viso è quello? Pare che tu sei morto; che ti senti ?”.
Calandrino, udendo ciò che i compagni dicevano, si convinse di essere sicuramente ammalato e, tutto spaventato, domandò loro che cosa doveva fare.
Bruno gli consigliò di ritornare a casa, di mettersi a letto e di mandare a chiamare maestro Simone, che era loro amico. Il maestro gli avrebbe sicuramente detto che fare e tutti loro l’avrebbero aiutato.
Si unì a loro anche Nello e tutti insieme andarono a casa sua.
Entrò nella camera, tutto affaticato, e disse alla moglie di coprirlo, perché sentiva un gran male.
Si mise a letto e mandò una servetta dal maestro Simone, che stava a bottega in Mercato Vecchio, sotto l’insegna del mellone.
Bruno, lasciati i compagni con il malato, andò a parlare con il medico.
Calandrino fu contento per la premura del compagno, il quale raggiunse maestro Simone prima che la fantesca gli recasse l’imbasciata e lo informò del piano.
Il medico mandò indietro la servetta, raccomandandole di riferire a Calandrino di starsene ben caldo, mentre arrivava per dirgli che malanno aveva e che cosa doveva fare.
 Ella riferì e rimase lì, frattanto giunsero il medico e Bruno. Il medico, postosi accanto, gli toccò il polso e dopo un po’ di tempo, essendo presente anche la moglie, disse “Vedi, Calandrino, ti voglio parlare come amico, tu non hai nessun male, sei soltanto gravido “.
Come lo stupidone udì ciò, si mise a gridare e a dire “Oimè, Tessa, questo me l’hai fatto tu, che, quando facciamo l’amore, vuoi sempre stare sopra: volevo ben dirlo”.
La donna, che era una persona molto onesta, udendo che il marito diceva così, arrossì tutta e, abbassata la fronte, senza rispondere, uscì dalla camera.
Calandrino, continuando a lamentarsi, diceva “Povero me, come farò? Come partorirò io questo figliuolo ? da dove uscirà? Vedo che sono morto per la libidine di una moglie, che Dio la punisca; se io fossi sano e, purtroppo ,non lo sono, le darei tante di quelle mazzate, che l’ammaccherei tutta. Infatti non la dovevo mai lasciar salire sopra di me. Ma , certo, se la scampo, prima di fare l’amore, la farò morire di voglia”.
Bruno, Buffalmacco e Nello, pur avendo gran voglia di ridere, si trattenevano. Invece il maestro Scimmione rideva così sguaiatamente che gli si sarebbero potuti tirare tutti i denti.
Pregato da Calandrino, alla fine, il maestro gli disse “Calandrino, non ti sgomentare, perché, grazie a Dio, noi ci siamo accorti tanto presto del fatto, che io, in pochi giorni e con poca fatica, ti libererò del problema, ma devi spendere un poco”.
Calandrino disse “ Oimè, maestro mio, liberami ,per l’amor di Dio, Ho duecento lire, con cui volevo comprare un podere. Se servono tutte ,prendetele, purché non debba partorire, ché non saprei proprio come fare.
Sento che le donne fanno un gran rumore quando stanno per partorire, sebbene hanno un organo grande per farlo, mentre io credo che ,se provassi un tal dolore, morirei prima di partorire”.
Il medico rispose “ Non aver paura. Ti farò preparare una bevanda distillata molto buona e gradevole da bere, che in tre mattine risolverà ogni cosa e ritornerai sano come un pesce. Ma , per il futuro, dovrai essere prudente e non incappare più in queste sciocchezze. Per quella bevanda sono necessari tre paia di capponi belli grossi. Per comprare le altre cose, darai ad uno di costoro cinque lire di spiccioli. Poi farai portare ogni cosa alla bottega; ed io, per Dio, ti manderò ,domani mattina, la bevanda distillata, che comincerai a bere, un bicchiere grande per volta”.
Calandrino, obbediente, si affidò completamente al medico.
L’impostore, allontanandosi, gli fece preparare un po’di bevanda e gliela mandò.
Bruno, comprati i capponi e le altre cose necessarie, preparò un bel pranzo e mangiò tutto con il medico e i compagni.
Calandrino bevve per tre giorni la bevanda. Il medico venne da lui con i suoi compagni, gli tocco il polso e disse “Calandrino, senza dubbio, sei guarito; puoi fare tutto ciò che vuoi , né devi stare più in casa”.
Calandrino, tutto felice, si alzò e se ne andò per i fatti suoi, lodando molto, con chiunque incontrava, la bella cura che gli aveva dato il maestro Simone,  che in tre giorni ,senza alcun dolore, l’aveva fatto sgravare.
Rimasero contenti anche Bruno, Buffalmacco e Nello che avevano saputo ,con l’astuzia, punire l’avarizia di Calandrino, sebbene monna Tessa, che aveva capito tutto, molto brontolasse con il marito.  











giovedì 11 giugno 2015

NONA GIORNATA - NOVELLA N.2

NONA GIORNATA – NOVELLA N.2

Una badessa si alza in fretta e al buio, per sorprendere una sua monaca a lei accusata di essere a letto con
l’ amante; era con lei un prete, ella, credendo di aver messo sul capo il velo monacale, vi mise le brache del prete ;vedendo le quali, l’accusata, dimostrando di essersene accorta, viene liberata dall’accusa e può stare , come le piace, col suo amante.

Filomena tacque e tutti commentarono l’abilità della donna a togliersi di dosso gli innamorati, che non voleva amare. Mentre considerarono pazzia e non amore l’atteggiamento tenuto dagli amanti.
La regina, subito dopo, si rivolse ad Elissa e le chiese di continuare.
Elissa incominciò dicendo che madonna Francesca si era liberata saggiamente di coloro che la infastidivano. Così pure una giovane monaca, con l’aiuto della fortuna, con parole garbate si liberò dal pericolo incombente.
Come tutti sapevano ,vi erano alcuni che, essendo stoltissimi, si facevano maestri e castigatori degli altri.
Costoro, come potevano ben comprendere dalla sua novella, venivano, talvolta, scoperti dalla fortuna, come avvenne alla badessa cui doveva obbedienza la monaca, della quale voleva raccontare.
Dovevano ,dunque, sapere che in Lombardia vi era un famosissimo monastero, nel quale si trovavano alcune monache. Tra queste ce n’era una di sangue nobile e di meravigliosa bellezza, di nome Isabetta, che, un giorno, andando alla grata per vedere un suo parente, s’innamorò del bel giovane che era con lui.
Anch’egli, vedendola bellissima, avendo compreso il desiderio di lei, similmente si accese.
Per molto tempo si consumarono d’amore separatamente.
Infine, al giovane venne in mente una via per poter andare molto nascostamente dalla sua monaca.
Anch’ella fu d’accordo e non una sola volta ma molte volte il giovane andò a trovarla, con piacere reciproco.
Continuando gli incontri, una notte fu visto da una delle monache, senza che egli ed Isabetta se ne accorgessero.
Costei riferì tutto ad alcune compagne , le quali, inizialmente, pensarono di accusarla alla badessa, che si chiamava madonna Usimbalda, buona e santa donna, secondo l’opinione delle monache e di chiunque la conosceva.
Poi, pensarono , perché non potesse negare, di fare in modo che la badessa la cogliesse con il giovane. Perciò tacquero e si divisero le veglie e le guardie, per coglierla sul fatto.
Isabetta, non sapendo nulla, una notte fece andare da lei l’amante, il che subito scoprirono le monache che aspettavano; quando sembrò loro giunto il momento, essendo già trascorsa buona parte della notte, si divisero in due. Una si mise a guardia dell’uscio della cella di Isabetta, l’altra andò ,correndo, alla camera della badessa,
dicendo “ Su, madonna, alzatevi subito, perché abbiamo trovato che Isabetta ha un giovane nella cella”.
In quella notte, la badessa era in compagnia di un prete che ,spesse volte, faceva andare da lei in una cassa.
Ella, udendo ciò, temendo che le monache aprissero la porta, immediatamente si alzò e si vestì al buio, come meglio potè.
Credendo di prendere il velo piegato che le monache portavano sul capo, chiamato il saltero, prese le brache del prete. Tanta fu la fretta che se le gettò sul capo ed uscì fuori, chiudendo rapidamente l’uscio dietro di sé, dicendo “Dov’è questa maledetta da Dio?”.
Con le monache, tutte infervorate e attente a scoprire in fallo Isabetta e che non guardavano che cosa avesse in testa, la badessa giunse all’uscio della cella e l’aprì, aiutata dalle altre.
Entrate, trovarono i due amanti abbracciati, i quali, sorpresi, non sapendo cosa fare, stettero fermi.
La giovane fu subito presa dalle altre monache e condotta in capitolo per ordine della badessa.
Il giovane rimase lì e, vestitosi, aspettava di vedere come andasse a finire, con l’intenzione di colpirne quante più ne potesse ,di liberare e condurre con sé la sua innamorata.
La badessa, postasi a sedere in capitolo alla presenza di tutte le monache, che guardavano soltanto la colpevole, cominciò ad ingiuriarla con violente accuse; come se ella avesse potuto , con le sue opere sconce e biasimevoli, infangare la santità, l’onestà, la buona fama del monastero, se si fosse saputa la cosa. Aggiungeva alle ingiurie anche gravissime minacce.
La giovane, vergognosa e timida, sapendosi colpevole, taceva suscitando la compassione delle altre.
Aumentando la badessa le minacce, la giovane alzò il viso e vide ciò che la badessa aveva sul capo e i lacci che pendevano ai due lati.
Subito comprese di che si trattava e, risollevata ,disse “ Madonna, che Dio vi aiuti, annodatevi la cuffia e poi ditemi ciò che volete “.
La badessa, che non comprendeva, rispose “Che cuffia, svergognata ? con che coraggio osi scherzare ? ti sembra di aver fatto cosa su cui si possa scherzare ?”.
Allora la giovane disse nuovamente “ Madonna, vi prego che vi annodiate la cuffia, poi mi direte ciò che vi piace”.
Allora molte monache alzarono il viso verso il capo della badessa ed ella stessa vi pose le mani.
Tutte si accorsero del perché Isabetta dicesse così.
A quel punto la badessa, si rese conto del suo stesso errore, vedendo che era stato scoperto da tutte, cambiò discorso e in tutt’altro modo cominciò a parlare.
Disse che non era possibile difendersi dagli stimoli della carne e. perciò, con prudenza, come era stato fatto fino a quel momento, ciascuna si desse al buon tempo, quando ne avesse la possibilità.
Liberata la giovane, col suo prete se ne tornò a dormire e Isabetta se ne andò col suo amante, il quale ,poi, fece andare da lei molte volte, a dispetto di quelle che la invidiavano.
Le altre, che erano senza amante, cercarono di arrangiarsi come meglio potevano.





mercoledì 3 giugno 2015

NONA GIORNATA - NOVELLA N.1

NONA GIORNATA


La luce ,il cui splendore mette in fuga la notte, aveva tinto di un colore celestino il cielo stellato e i fiorellini dei prati cominciavano ad alzare il capo, quando Emilia, alzatasi, fece chiamare le sue compagne e i giovani.
Tutti giunsero e si avviarono, seguendo i lenti passi della regina, verso un boschetto non lontano dal palazzo.
Lì entrati, videro tanti animali, quali caprioli, cervi ed altri, che, sicuri dai cacciatori per la pestilenza incombente, se ne stavano tranquilli, come se fossero divenuti animali domestici.
Ora correndo incontro ora ad uno, ora all’altro, i gitanti si divertirono per un po’ .Poi, alzatosi il sole, parve a tutti opportuno ritornare.
Erano tutti inghirlandati con foglie di quercia, con le mani piene di fiori o di erbe profumate; chiunque li avesse incontrati avrebbe detto che essi non sarebbero mai stati vinti dalla morte o che ella li avrebbe uccisi contenti.
Così avanzando, cantando e scherzando, giunsero al palazzo, dove trovarono ogni cosa disposta in ordine ed i loro servitori che li attendevano lieti.
Dopo essersi alquanto riposati e aver cantato sei canzoni, una più lieta dell’altra, andarono a tavola.
Il siniscalco, come aveva ordinato la regina, dopo che si furono lavati le mani, fece portare le vivande, che tutti mangiarono allegramente. Poi si alzarono da tavola, cantarono e suonarono per un po’, infine, al comando della regina ,chi volle andò a riposare.
Giunta l’ora stabilita, si radunarono al posto solito, dove la regina fece segno a Filomena di iniziare le novelle del giorno ed ella ,sorridendo, incominciò a narrare.





NONA GIORNATA – NOVELLA N.1

Madonna Francesca, amata da Rinuccio e da Alessandro e non amando nessuno, facendo entrare in una sepoltura uno come morto, l’altro per trarne fuori il morto, non potendo essi realizzare quanto la donna chiedeva, cautamente se li tolse di torno.

Filomena, rivolta alla regina, le disse che aveva molto gradito che, in quel giorno, avesse lasciato libertà di narrare su un campo libero ed aperto. Ella, cui toccava di narrare per prima, lo avrebbe fatto nel migliore dei modi.
Molte volte, nei giorni precedenti, si era mostrato nei ragionamenti quante e quali fossero le forze dell’amore. Riteneva, comunque, che l’argomento non potesse essere esaurito nemmeno se per un anno intero non avessero parlato d’altro. Perciò voleva raccontare come non solo Amore spingeva gli amanti a correre rischi e a morire, ma anche ad entrare nelle sepolture, per tirarvi fuori i morti.
Dalla novella che stava per raccontare avrebbero compreso non solo la potenza dell’amore , ma anche il senno usato da una donna saggia per togliersi di torno due innamorati ,da lei non graditi.
Narrò, dunque, che nella città di Pistoia, visse nel passato, una bellissima donna vedova, la quale, due fiorentini, banditi da Firenze, sommamente amavano. L’uno si chiamava Rinuccio Palermini e l’altro Alessandro Chiarmontesi.
Entrambi, senza saper l’uno dell’altro, facevano tutto il possibile per conquistare l’amore della nobildonna.
La gentildonna, il cui nome era Madonna Francesca dei Lazzari, continuamente stimolata dalle ambasciate e dalle preghiere dei due, voleva, saggiamente, frenare le loro avances.
Per poterseli levare di torno, le venne l’idea di chiedere ai due un servigio difficilissimo da realizzare. Non facendolo essi, ella avrebbe avuto un buon motivo per non voler più udire le loro ambasciate.
Era morto in quel giorno a Pistoia uno dei peggiori uomini che ci fosse stato nei tempi passati, non solo a Pistoia ma in tutto il mondo. Oltre a ciò, vivendo in malo modo, si era talmente trasformato in viso che chiunque non l’avesse già conosciuto, vedendolo per la prima volta, ne avrebbe avuto paura.
Era stato interrato in una tomba fuori dalla chiesa dei frati minori, in un luogo molto adatto ai proponimenti della donna. Ella espose la sua idea alla fantesca, che ben sapeva la noia e l’angoscia che le procuravano le ambasciate dei due fiorentini, non essendo la padrona disposta ad assecondare il loro amore.
 Le spiegò che voleva fare una cosa che l’avrebbe liberata per sempre da quella scocciatura.
Come la domestica ben sapeva, quella mattina era stato sotterrato, al convento dei frati minori, lo Scannadio, come era chiamato quel pessimo uomo di cui aveva parlato prima, del quale, da vivo, avevano paura, solo a vederlo, tutti gli uomini di Pistoia.
Ordinò alla fantesca di andare prima da Alessandro e di riferirgli che madonna Francesca gli mandava a dire che finalmente era venuto il tempo di avere il suo amore e di stare con lei, ma le doveva fare un favore.
Nella notte, un parente di lei doveva portarle in casa il corpo di Scannadio, che quel giorno era stato seppellito. La padrona, per la paura che aveva di lui, anche morto, non lo voleva. Perciò lo pregava di farle il piacere di entrare , nelle prime ore della sera, nella sepoltura di Scannadio e di prendere il suo posto, indossando i suoi vestiti.Doveva rimanere lì fino a quando qualcuno fosse andato a prenderlo. Si doveva lasciar portare a casa di lei senza parlare e senza opporre resistenza. Lì madonna Francesca l’avrebbe ricevuto e sarebbe stata con lui.
Doveva ,inoltre, riferire al giovane che ,se non avesse voluto fare ciò che gli chiedeva, per il futuro non doveva più comparirle innanzi, né mandarle messaggeri con ambasciate.
La nobildonna ordinò, poi, alla domestica di andare da Rinuccio Palermini e di dirgli che la padrona era pronta a soddisfare ogni suo piacere se le avesse fatto un gran servigio. Doveva, cioè, andare, quella notte, nella tomba dove quel giorno era stato sotterrato Scannadio e doveva portarglielo lentamente a casa. Lì avrebbe saputo il perché e avrebbe potuto godere di lei. Se non avesse voluto fare ciò, la padrona gli ordinava di non mandare più né messi, né ambasciate.
La fantesca ,come le era stato ordinato, andò da entrambi, i quali le risposero che sarebbero andati non in una tomba ma all’Inferno, se ciò fosse piaciuto alla gentildonna.
Madonna Francesca, ricevuta la risposta, aspettò di vedere se fossero così pazzi da fare ciò che aveva chiesto.
Dunque, appena giunta la notte, Alessandro Chiarmontesi, si spogliò, restando solo con il gilet, e uscì di casa per andare nella tomba al posto di Scannadio.
 Man mano che avanzava cominciò ad aver paura e a dire tra sé e sé “ Ma che bestia che sono? Dove sto andando? Potrebbero essere i parenti della donna che, accortisi che l’amo, vogliono uccidermi in quella tomba? Se ciò avvenisse, io ne avrei il danno e nessun altro saprebbe niente che possa loro nuocere. E che ne so se non c’è qualche altro innamorato, mio nemico, che vuol togliermi di mezzo ?”.
E continuava dicendo che ,se pure tutte quelle cose non fossero vere, forse i parenti di lei volevano portare a casa sua il corpo di Scannadio per farne scempio , per vendetta. La donna gli ordinava di non parlarne con nessuno, ma se i parenti lo avessero accecato o gli avessero tirato i denti o mozzato le mani o qualche altro brutto scherzo, che avrebbe potuto fare? Seppure non gli avessero fatto alcun male, certamente non l’avrebbero lasciato con la donna. Rifletteva, però, che se non avesse obbedito ,la donna non avrebbe acconsentito ai suoi desideri. Così dicendo, stava per ritornare a casa, ma il grande amore lo spinse con forza verso la sepoltura.
Aprì la tomba, vi entrò, spogliò Scannadio, ne indossò i panni e si mise al suo posto.
Cominciò a ricordare chi era stato quel tale e le cose che aveva fatto, non solo nelle tombe, ma anche altrove.
Perciò gli si drizzarono tutti i peli addosso per la paura e gli sembrò che Scannadio si drizzasse per scannare lui. Ma, vincendo per amore la paura, rimase ad aspettare, come se fosse il morto, chi lo doveva andare a prendere.
Rinuccio, avvicinandosi la mezzanotte, uscì di casa per fare quello che voleva la donna.
Cominciò a pensare a tutte le cose che gli potevano accadere.
Innanzitutto pensava che poteva cadere nelle mani delle guardie perché portava sulle spalle un morto ed essere condannato al fuoco come stregone. Oppure ,se si sapesse, i parenti del morto si sarebbero potuti vendicare.
Poi decise di obbedire alla richiesta che gli aveva fatto la donna tanto amata, per conquistare le sue grazie.  Andò ,dunque, avanti e giunse al sepolcro.
Alessandro, sentendo aprire il sepolcro, sebbene molto impaurito, se ne stette quieto.
Rinuccio, entrato, credendo di prendere il corpo di Scannadio, prese Alessandro per i piedi, se lo caricò sulle spalle e si avviò verso la casa della gentildonna.
Mentre andava, sbatteva contro alcune panche che erano ai lati della via; la notte era così buia che non si poteva vedere dove si andava.
Rinuccio era quasi giunto alla casa della donna la quale stava, con la sua fantesca, alla finestra per vedere se Rinuccio portava Alessandro e pensava al modo di mandar via entrambi.
Ma le guardie della Signoria, che erano lì per catturare un bandito, sentirono il rumore che Rinuccio faceva con i suoi passi. Presero subito un lume per vedere e, sguainate le spade, gridarono “ Chi è là?”.
Rinuccio ,riconoscendo le guardie, non avendo il tempo di pensare troppo, lasciò cadere Alessandro e si diede velocemente alla fuga.
Alessandro, alzatosi, rapidamente, sebbene avesse indosso i panni del morto, fuggì anch’egli.
La donna, posto fuori il lume, aveva visto Rinuccio con Alessandro sulle spalle e Alessandro con indosso i vestiti di Scannadio.
Si meravigliò dell’ardire di tutti e due, ma rise assai divertita vedendo Rinuccio gettar via Alessandro e fuggire.
Poi, tutta contenta per l’incidente che l’aveva tolta dai pasticci, se ne tornò in camera, commentando con la serva che, senza dubbio, i due giovani dovevano amarla molto, perché avevano fatto tutto quello che aveva chiesto.
Rinuccio, addolorato e bestemmiando per la sua sventura, non andò a casa sua, ma, allontanatesi le guardie, tornò dove aveva gettato Alessandro. Lo cercò ,brancolando, per terminare il servizio. Non trovandolo, pensò che era stato portato via dalle guardie.
Alessandro, non sapendo che fare, non avendo riconosciuto chi se l’era caricato sulle spalle, rammaricato in egual misura, se ne andò a casa sua.
La mattina, trovata aperta la sepoltura di Scannadio, né vedendolo dentro, perché Alessandro l’aveva fatto rotolare nel fondo, tutta Pistoia ritenne ,scioccamente, che i diavoli se l’erano portato via.
Ognuno dei due amanti, per proprio conto, spiegò alla donna ciò che era accaduto, scusandosi perché non aveva fatto a pieno ciò che ella aveva chiesto, e domandò il suo favore e il suo amore.
Ma la donna ,dicendo che non credeva a nessuno dei due, rispose seccamente di non voler avere niente a che fare con loro, poiché non avevano fatto ciò che ella aveva chiesto.
Così se li tolse di dosso.