giovedì 26 febbraio 2015

SETTIMA GIORNATA - NOVELLA N.9

SETTIMA GIORNATA – NOVELLA N.9

Lidia ,moglie di Nicostrato, ama Pirro , il quale affinchè possa credere che ella lo ami, le chiede tre cose che ella gli fa tutte; oltre a ciò in presenza di Nicostrato, scherza con lui e al marito fa credere che non sia vero quello che ha visto.

La novella di Neifile era tanto piaciuta alle donne che esse non si potevano trattenere dal riderne e dal discuterne, sebbene il re avesse loro imposto silenzio più volte.
Alla fine tacquero e Panfilo, come aveva comandato il re, cominciò col considerare che non c’era nessuna cosa, sebbene difficile, che chi era innamorato non avesse l’ardire di fare, come , appunto, egli con la sua novella voleva dimostrare.
Avrebbe narrato di una donna che nelle sue azioni fu aiutata più dalla fortuna che dalla prudenza.
Non consigliava ad alcuna di seguire le orme di lei, perché non sempre la fortuna era ben disposta e gli uomini tanto ciechi.
In Argo, antichissima città dell’Acaia, famosa per i suoi antichi re, visse un nobile uomo, chiamato Nicostrato.
A lui, ormai vicino alla vecchiaia, la fortuna concesse in moglie una donna bella e ardita, di nome Lidia.
Il signore, come tutti gli uomini nobili e ricchi, aveva molti servi e molti uccelli e provava grandissimo piacere nella caccia.
Tra i suoi servitori , Nicostrato aveva un giovinetto ,chiamato Pirro, di bell’aspetto e abile in ogni cosa, che egli amava più di ogni altro e si fidava di lui.
Lidia s’innamorò follemente del ragazzo, tanto che  pensava sempre a lui, notte e giorno.
Pirro , dal canto suo, non dava segno di accorgersene e non se ne curava, il che provocava alla donna grande sofferenza.
Disposta a tutto pur di farglielo sapere, chiamò una sua cameriera ,il cui nome era Lusca, della quale si fidava molto. Si fece promettere che doveva rivelare soltanto al giovane da lei indicato quello che le avrebbe detto e a nessun altro. Aggiunse che ella era una donna giovane, bella, fresca e ricca di tutto ciò che si poteva desiderare. Si poteva rammaricare di una sola cosa e cioè che gli anni del marito erano troppi se si rapportavano ai suoi; viveva poco contenta perché non prendeva piacere come le giovani donne, pur desiderandolo come le altre. Aveva, perciò, deciso, se la fortuna le era stata poco amica, di non essere nemica di sé stessa e di trovare il modo di soddisfare i suoi desideri.
Aveva ,quindi, deciso di conquistare Pirro, che le sembrava il più degno di tutti, perché sostituisse il marito negli abbracci. Era tanto innamorata di lui che si sentiva male se non lo vedeva e credeva di morire, se non si fosse incontrata subito con lui. Le chiedeva ,quindi, se le era cara, di riferire a Pirro dell’amore che la padrona aveva per lui e di pregarlo di andare da lei.
La fantesca disse che l’avrebbe fatto volentieri e ,appena le sembrò opportuno, tratto Pirro da parte, gli riferì l’ambasciata della donna.
Pirro, come udì la cosa, si meravigliò molto perché non si era mai accorto di nulla. Anzi rispose bruscamente che non credeva che quelle parole provenissero dalla sua padrona e, seppure provenissero da lei, non voleva recare oltraggio al suo padrone ,che lo rispettava oltre i suoi meriti. Le chiedeva, dunque, di non parlargli più di quelle cose.
La Lusca, per nulla intimorita, gli rispose che gli avrebbe parlato di quello e di altro ancora, se la sua padrona glielo avesse chiesto, e che egli era una bestia. Infuriata per le parole di Pirro, ne andò dalla donna, la quale, udendole, desiderò di morire.
Dopo alcuni giorni Lidia richiamò la cameriera e le disse che, come ben sapeva, al primo colpo non cadeva mai una quercia, perciò doveva ritornare dal giovane e rinnovare le proposte d’amore, impegnandosi  perché la cosa andasse a buon fine. In caso contrario ne sarebbe morta e l’amore si sarebbe mutato in odio.
La fantesca confortò la donna e si recò da Pirro.
Lo trovò lieto e ben disposto e gli riferì nuovamente che la sua padrona ardeva d’amore per lui e se egli avesse continuato ad essere così duro verso di lei, sicuramente sarebbe vissuta poco.
Lo pregava di accontentarla e, se avesse continuato nella sua ostinazione, l’avrebbe ritenuto uno scioccone.
Per lui doveva essere motivo di grande orgoglio che una donna così bella e gentile lo amasse sopra ogni altra cosa. Doveva essere grato alla fortuna che gli aveva offerto una tale occasione, adatta ai desideri e ai bisogni della sua giovinezza. Continuò dicendo che non vi era nessun giovane suo pari che, in quanto al piacere, sarebbe stato come lui, se fosse stato saggio e avesse concesso alla donna il suo amore.
Gli chiedeva, dunque, di ascoltare le sue parole e di ritornare in sé.
Gli ricordava, ancora, che la fortuna una volta sola si faceva incontro ad ognuno col viso lieto e con il grembo aperto. Chi non la sapeva ricevere, trovandosi poi povero e misero, non si doveva rammaricare.
Oltre a ciò egli non doveva essere leale verso il suo padrone più di quanto lo sarebbe stato verso di lui lo stesso Nicostrato, se gli fosse piaciuta la moglie, la madre o la di lui sorella.
Aggiunse, infine, che Pirro non doveva scacciare la fortuna, ma le si doveva fare incontro e accogliere lei che veniva. Se non lo avesse fatto, la sua donna sicuramente si sarebbe data la morte ed egli si sarebbe pentito tanto da desiderare di morire.
Pirro, che aveva pensato molte volte alle parole di Lusca, aveva deciso, se ella fosse ritornata da lui, di dare un’altra risposta e di compiacere la donna, perciò rispose “ Vedi Lusca, so che quello che mi dici è vero; ma temo che Lidia voglia tentarmi per provare la mia fedeltà, d’accordo con il marito. Perciò, per essere sicuro del suo amore, voglio che ella faccia tre cose per me. Dopo di ciò ,farò tutto quello che mi comanderà. Le tre cose sono queste : per prima cosa dovrà uccidere, in presenza di Nicostrato, il suo bel sparviero, poi dovrà mandarmi una ciocchetta della barba di Nicostrato e, per ultimo, un dente di Nicostrato, dei migliori”.
Queste cose sembrarono difficilissime sia a Lusca che alla padrona: pure Amore, che era gran maestro di consigli, fece decidere di farlo alla donna, la quale mandò Lusca a comunicarlo a Pirro.
Inoltre disse che si sarebbe divertita con Pirro in presenza del marito e avrebbe fatto credere a Nicostrato che non era vero.
Dopo pochi giorni Nicostrato diede un grande banchetto, come usavano fare spesso i gentiluomini.
La donna, dopo che furono tolte le tavole, vestita con un abito di velluto verde, molto ricamato, uscì dalla sua camera e venne nella sala dove erano gli invitati. Vedendola Pirro e tutti gli altri, andò verso il trespolo dove era lo sparviero, tanto caro a Nicostrato, lo sciolse, lo prese in mano e lo gettò contro il muro, uccidendolo.
Pirro si compiacque di ciò.
Lidia, dopo pochi giorni dall’uccisione dello sparviero, era nella sua camera insieme a Nicostrato, scherzando e ridendo. Il marito, per divertirsi, le tirò un po’ i capelli. Ciò le diede l’occasione di concludere la seconda cosa. Infatti afferrò un ricciolo della barba di lui e glielo strappò con forza.
Alle lagnanze di Nicostrato, ella rispose che faceva troppe smorfie perché gli aveva tirato pochi peli della barba; che cosa avrebbe dovuto dire lei quando le aveva tirato i capelli. E così, continuando a scherzare, la donna conservò la ciocca della barba che aveva strappato e ,il giorno stesso, la mandò al caro amante.
La terza cosa era più complicata, pure Lidia aveva pensato al modo di realizzarla.
Nicostrato aveva in casa due fanciulli, di origine nobile, che i padri gli avevano affidato perché imparassero i nobili costumi. Quando il signore mangiava, uno gli tagliava le pietanze e l’altro gli dava da bere.
La donna li fece chiamare e fece credere che a loro puzzava l’alito. Spiegò che, quando servivano Nicostrato, dovevano tirare indietro il capo ,quanto più potevano, senza dire niente a nessuno.
I giovinetti, credendole, cominciarono a fare come la donna aveva detto loro.
Una volta ella domandò al marito se si era accorto di come facevano i fanciulli, quando lo servivano.
Nicostrato rispose che se ne era accorto e voleva chiedere loro il motivo. Prontamente Lidia rispose che facevano in tal modo perché egli aveva l’alito che puzzava fortemente, non ne conosceva la ragione, perché prima non era così. Aggiunse che era una cosa bruttissima e, poiché il marito aveva rapporti con molti gentiluomini, doveva assolutamente curarla..
Immediatamente Nicostrato disse che forse aveva in bocca un dente guasto.
La moglie, allora, lo fece avvicinare alla finestra, gli fece aprire la bocca e guardò attentamente.
Subito disse che veramente egli aveva, da un lato della bocca, un dente, non solo malato ma tutto fradicio, che avrebbe guastato tutti gli altri, se se lo fosse tenuto ancora in bocca. Gli consigliava, dunque, di tirarselo subito, prima che arrecasse altri guai.
Nicostrato accettò il consiglio della moglie e voleva mandare a chiamare un medico perché glielo estraesse.
La donna ,prontamente, disse che non c’era bisogno di un medico, ma che il dente stava in una tale posizione che ella stessa era in grado di estrarlo .Precisò che i medici erano così crudeli nel fare quei servigi, che ella avrebbe sofferto molto nel vederlo, per questo voleva fare tutto da sola.
Si fece portare i ferri adatti, mandò via tutti e trattenne con sé solo Lusca.
Si chiusero dentro e, fatto sdraiare lo sventurato su un tavolo, gli misero le tenaglie in bocca e, sebbene gridasse per il dolore, gli tirarono un dente. Quello lo conservarono e poi ne cavarono un altro molto malato.
Lidia lo mostrò al pover’uomo sofferente e mezzo morto, dicendogli che se l’era tenuto in bocca già per molto tempo.
Egli le credette e ,sebbene avesse sofferto molto, gli sembrò di essere guarito. Riconfortato, uscì dalla stanza.
La donna, preso il dente, subito lo mandò all’amante, che fu pronto ad accontentarla.
La donna, desiderosa di renderlo più sicuro e di essere sempre con lui, volendo mantenere le sue promesse, finse di essere ammalata.
Nicostrato ,accompagnato da Pirro, si recò a farle visita.
La donna chiese al marito di portarla i giardino. Nicostrato la prese da un lato e Pirro dall’altro.
La portarono in giardino e la posarono su un praticello, ai piedi di un bel pero.
Dopo essere rimasti seduti per un bel po’, la donna chiese a Pirro di salire sull’albero per coglierle delle pere, che desiderava molto.
Pirro, salito rapidamente, comiciò a gettare giù le pere. Mentre le gettava, rivolgendosi al padrone, cominciò a rimproverarlo perché faceva atti osceni con la moglie in sua presenza, mentre era sull’albero.
Si rivolse anche alla donna chiedendole perché, pur essendo ammalata, non se ne andava a fare l’amore con il marito nelle belle camere della loro casa ,invece di farlo in sua presenza.
La donna si rivolse al marito, chiedendogli se Pirro farneticava.
E il giovane alla domanda del padrone insistette a sostenere che non era pazzo e nemmeno sognava.. Vedeva chiaro che il signore si dimenava tanto che se fosse stato sull’albero ,l’avrebbe scosso tanto da far cadere tutte le pere. La donna intervenne dicendo che forse veramente da sopra l’albero si vedevano cose strane, come Pirro sosteneva.
Allora Nicostrato ordinò al giovane di scendere e di ripetere quello che aveva visto.
Pirro rispose che certamente l’avrebbero scambiato per pazzo o per scimunito, perché mentre era sull’albero aveva visto il padrone che si dimenava sopra la moglie, sceso a terra lo vedeva seduto tranquillamente, dove stava allora.
Nicostrato , da parte sua, insisteva nel dire che ,dopo che Pirro era salito sul pero, loro non si erano mossi da lì. Alla fine il signore decise di salire sull’albero per vedere se, per caso, quel pero era incantato e se da lassù si vedevano cose straordinarie.
Come egli fu sull’albero, Pirro e la donna cominciarono a fare l’amore.
Nicostrato, vedendo ciò, cominciò a gridare contro Pirro e la moglie e, così urlando, scese dal pero.
La donna e il giovane, vedendolo scendere, si sedettero e si rimisero nella posizione in cui Nicostrato li aveva lasciati. L’uomo, sceso dall’albero, continuò ad urlare e a lanciare ingiurie.
Allora Pirro rispose che, mentre era sul pero, aveva creduto falsamente di vedere Nicostrato e la moglie fare l’amore in sua presenza. Ma questo era impossibile perché la donna era onestissima e saggia e non avrebbe mai compiuto davanti ad un estraneo atti libidinosi. Se non avesse sentito Nicostrato, da sopra l’albero, rivolgergli tante accuse, non si sarebbe mai reso conto della cosa. Indubbiamente la colpa doveva essere del pero che faceva vedere una cosa per un’altra. Infatti era assurdo che fossero accadute le cose che entrambi avevano visto.
La donna, che si era alzata, tutta turbata cominciò a dire , rivolta al marito, che se avesse avuto voglia di fare le cose di cui l’accusava ,non le avrebbe fatte davanti ai suoi acchi. Se ne sarebbe andata in una delle camere della casa, la più appartata, in modo che egli non l’avrebbe mai saputo.
Nicostrato ,al quale sembrava vero quello che dicevano entrambi, che cioè tali cose non dovevano esser fatte davanti a lui, si convinse che la vista cambiava a chi saliva sull’albero.
La donna, ancora turbata dalle accuse rivoltele dal marito, disse che quel pero non avrebbe fatto più brutti scherzi né a lei né a nessun altra donna. .Chiese, perciò, a Pirro di andare a prendere una scure e di tagliare rapidamente l’albero, vendicandola, anche se sarebbe stato molto meglio darla in capo a Nicostrato, che aveva dubitato di lei, accecato dalla gelosia.
Pirro , molto velocemente, andò a prendere la scure e tagliò il pero.
Quando Lidia vide l’albero caduto, rivolta al marito ,disse “ Dopo che ho visto abbattuto il nemico della mia onestà, la mia ira se ne è andata”.E perdonò Nicostrato, imponendogli di non dubitare più di lei.
Così il marito beffato, con lei e con il suo amante, se ne tornò al palazzo, dove molte altre volte Lidia e Pirro presero piacere e divertimento.
E Dio ne desse anche ai presenti.




giovedì 19 febbraio 2015

SETTIMA GIORNATA - NOVELLA N.8

SETTIMA GIORNATA – NOVELLA N.8

Un marito diviene geloso della moglie ed ella si lega uno spago al dito di notte per sentire il suo amante, quando viene da lei. Il marito se ne accorge e, mentre insegue l’amante, la donna mette al suo posto nel letto un’altra femmina, la quale il marito batte e le taglia le trecce, poi va dai fratelli di lei, i quali trovando che ciò non era vero, gli rivolgono ingiurie.

Sembrò a tutti che madonna Beatrice fosse stata maliziosa nel beffare il marito e ognuno affermava che Anichino aveva dovuto provare una gran paura quando, trattenuto dalla donna, l’aveva sentita dire che egli le aveva fatto proposte amorose.
Il re, quando vide che Filomena taceva, si rivolse a Neifile invitandola a raccontare.
Ed ella incominciò, premettendo che avrebbe cercato di raccontare, con l’aiuto di Dio, una novella bella come le precedenti.
Nella città di Firenze viveva, diverso tempo prima, un ricchissimo mercante, chiamato Arriguccio Berlinghieri, il quale, schioccamente, per rendere nobile la sua famiglia, pensò di sposare una donna della nobiltà fiorentina e, sbagliando, prese in moglie una giovane gentildonna, di nome monna Sismonda.
Ella, essendo il marito lontano da casa, come facevano i mercanti, si innamorò di un giovane, chiamato Ruberto, che l'aveva corteggiata a lungo.
Si cominciarono a frequentare senza molta discrezione e prudenza, tanto che Arriguccio ebbe qualche sospetto.Diventò, perciò, l’uomo più geloso del mondo, smise di andare in giro e rivolse tutta la sua attenzione a sorvegliare la moglie. Non si addormentava mai prima che non l’avesse sentita entrare nel letto.
La donna era molto addolorata perché non si poteva incontrare con il suo Ruberto.
Tanto pensò che escogitò il modo di stare col giovane, dopo che il marito, che aveva un sonno molto profondo, si fosse addormentato.
Pensò di far andare un capo di uno spago fuori dalla finestra della camera, fino a terra, l’altro capo, passando sotto il pavimento, doveva andare fino al suo letto, sotto i suoi vestiti. Quando era a letto si doveva  legare lo spago al dito grosso del piede.
Avvisò Ruberto che quando veniva doveva tirare lo spago, ed ella, se il marito dormiva, l’avrebbe lasciato andare e sarebbe andata ad aprirgli. Se il marito non dormiva, l’avrebbe tirato a sé ,affinchè non l’aspettasse.
La cosa funzionò per diverso tempo, finché una notte, mentre la donna dormiva, Arriguccio, stendendo il piede nel letto, trovò quello spago. Stesa la mano, vide che era legato al piede della moglie e sospettò l’inganno.
Si accorse che lo spago usciva fuori dalla finestra, cautamente lo tagliò dal dito della donna, lo legò al suo e stette in attesa per vedere che cosa volesse dire.
Non passò molto tempo che Ruberto giunse e tirò lo spago, come faceva di solito.
Arriguccio lo sentì; lo spago si sciolse perché non lo aveva legato bene e Ruberto andò ad aspettare che monna Sismonda gli aprisse.
Arriguccio, alzatosi rapidamente, prese le armi e corse all’uscio per vedere chi fosse l’uomo e per colpirlo.
Egli era un pezzo d’uomo, fiero e forte, e, giunto all’uscio lo aprì con violenza, non con delicatezza, come soleva fare la donna.
Ruberto comprese subito che era Arriguccio ad aprire la porta e cominciò a fuggire, mentre l’altro lo inseguiva.
Dopo un lungo inseguimento, i due cominciarono a combattere, volendo l’uno ferire e l’altro difendersi.
La donna, svegliatasi, trovando lo spago tagliato dal dito, comprese immediatamente che l’inganno era stato svelato. Sentendo che il marito era corso dietro a Ruberto, temendo il peggio, chiamò la sua fantesca, che sapeva ogni cosa.
La convinse ad andare nel letto ,al suo posto, la pregò di non farsi riconoscere e di sopportare pazientemente le botte di Arriguccio, perché l’avrebbe ben ricompensata .Spense ,poi, il lume, uscì dalla stanza e si nascose,
aspettando.
Mentre Arriguccio e Ruberto si azzuffavano, i vicini si avvicinarono e cominciarono a rivolgere loro ingiurie.
Arriguccio, temendo di essere riconosciuto, senza aver potuto scoprire chi fosse il giovane, adirato se ne tornò a casa sua, e, giunto in camera da letto, infuriato, cominciò ad urlare contro la moglie, ingiuriandola.
Poi, al buio, andò vicino al letto e, credendo di colpire la moglie, colpì la fantesca e le diede, con le mani e i piedi,  pugni e calci, tanto che le ammaccò tutto il viso. Infine le tagliò i capelli ,riempendola di improperi.
La fantesca piangeva forte e chiedeva pietà ,per amor di Dio. Ma la voce era così rotta dal pianto che Arriguccio non poteva riconoscere se era la voce della moglie e di un’altra donna.
Alla fine, dopo averla battuta ed averle tagliato i capelli, disse “Malvagia femmina, io non voglio più toccarti, ma andrò dai tuoi fratelli e dirò loro le tue buone azioni, poi faranno quello che vogliono e ti porteranno via, perché, per certo, tu in questa casa non ci starai più”.
Così detto, uscì dalla camera e chiuse a chiave la porta, andando via.
Come monna Sismonda sentì che il marito se ne era andato, aprì la porta, riaccese il lume e vide la fantesca, tutta pesta che piangeva forte. La consolò come meglio potè, la mandò in camera , la fece servire ed accudire, ricompensandola con i denari dello stesso Arriguccio.
Dopo che ebbe sistemato la domestica, ritornò nella propria camera, rimise tutto in ordine, come se in quella notte non vi avesse dormito nessuno. Riaccese la lampada, si rivestì e si sistemò come se non fosse andata ancora a letto. Accesa una lucerna e presi dei panni ,si pose a sedere sulla cima di una scala e cominciò a cucire e ad aspettare lo sviluppo degli eventi.
Arriguccio, uscito , andò a casa dei fratelli della moglie e tanto picchiò che gli fu aperto.
I tre fratelli e la madre della moglie, sentendo che era Arriguccio, si alzarono, fecero accendere i lumi e vennero da lui a chiedergli che cosa volesse a quell’ora di notte.
Ad essi l’uomo raccontò tutto quello che era successo, a cominciare dallo spago che aveva trovato legato al piede di monna Sismonda fino alla fine.
Per dare prova di ciò che aveva fatto, pose nelle loro mani i capelli che credeva di aver tagliato alla moglie.
Aggiunse che dovevano andare a casa sua per prendersi la donna che egli non intendeva più tenersi in casa.
I fratelli, preoccupati per ciò che avevano udito, credendo che fosse tutto vero, adirati contro di lei, fecero accendere delle torce e, insieme con Arriguccio, si diressero verso la casa di lui per punirla.
Vedendo ciò la loro madre li seguì ,pregandoli di non credere a tutto ciò che egli aveva detto. Sosteneva che poteva aver colpito la moglie per altri motivi e ora l’accusava per essere scusato. Aggiunse che si meravigliava molto perché conosceva bene la figlia e sapeva come l’aveva allevata ,fin da piccola.
Giunti, dunque, alla casa di Arriguccio, vi entrarono e cominciarono a salire le scale.
Monna Sismonda, che li attendeva, finse di essere sorpresa per il loro arrivo, a così tarda notte, e ne chiese il motivo. I fratelli, meravigliati di vederla seduta a cucire senza avere sul viso alcun segno di percosse, mentre il marito aveva detto di averla pestata, trattennero l’ira. Le chiesero spiegazioni di ciò di cui il marito si era lagnato, minacciandola se non avesse confessato ogni cosa.
La donna disse che non aveva niente da dire e non sapeva di che cosa Arriguccio si fosse lagnato riguardo a lei.
Il marito, dal canto suo, la guardava sconcertato, ricordando che le aveva colpito il viso con mille pugni, l’aveva graffiata e le aveva fatto molto male. Invece la vedeva come se nulla di ciò fosse accaduto.
In breve i fratelli le raccontarono dello spago, dei pugni e di tutto.
La donna, rivolta ad Arriguccio, gli disse “Oimè, marito mio, che cosa odo? Perché fai sembrare me, con le tue accuse, una donna malvagia, con tua vergogna ,mentre io non lo sono, e te un uomo peggiore di quello che sei ?
E quando fosti stanotte in questa casa con me? E quando mi battesti ? io , da parte mia, non me ne ricordo”.
Arriguccio cominciò a dire che erano andati a letto insieme, che poi si era alzato per correre dietro all’amante di lei, le aveva dato molte percosse e le aveva tagliato i capelli.
La donna rispose che il marito, quella notte, non aveva dormito con lei, ma, a parte ciò, come tutti potevano vedere, ella non aveva segni di percosse su tutta la persona. Aggiunse che se egli le avesse messo le mani addosso, ella ,in nome di Dio, si sarebbe difesa e l’avrebbe graffiato. Invero nemmeno i capelli le aveva tagliato o ,se l’aveva fatto, non se ne era accorta. Del resto, tutti potevano vedere se li aveva tagliati o no.
Toltisi i veli dalla testa, mostrò che non li aveva tagliati ,ma interi.
Vedendo ciò, i fratelli e la madre, rivolgendosi ad Arriguccio, si meravigliarono delle sue accuse verso la moglie. Il poveretto stava come trasognato e voleva dire qualcosa. Ma, vedendo com’era la situazione, non si azzardava a dir niente.
Rivolta ai suoi fratelli, la donna disse “Fratelli miei, vedo che egli si è andato cercando che io vi racconti le sue cattiverie, anche se non avrei mai voluto, ed io lo farò. Credo che egli abbia veramente fatto ciò che ha detto. Ma ,quest’uomo valente cui, per mala sorte ,mi deste in moglie, che è un mercante, che vuole essere ritenuto onesto più di una fanciulla, spesso e volentieri, di notte, se ne va ad ubriacarsi nelle bettole e si accompagna a donne di malaffare. Ed io resto ad aspettare fino a mezzanotte e, talvolta, fino all’alba il suo ritorno. Sicuramente egli, ben ubriaco, si coricò con una donnaccia e a lei, svegliandosi, trovò lo spago al piede e, poi, fece tutte quelle bravate che dice, la riempì di pugni e le tagliò i capelli.
Non essendo completamente sobrio, credette e crede ancora di aver fatto a me queste cose. Se voi lo guardate bene, è ancora mezzo ubriaco. Tuttavia, qualsiasi cosa abbia detto di me, voglio che lo scusiate, come si fa con un ubriaco. Poiché io lo perdono, voglio che lo facciate anche voi”.
La madre di lei, udendo tali parole, cominciò a gridare dicendo che non si sarebbe dovuto perdonare ma piuttosto uccidere quel cane fastidioso e ingrato, che non era degno di una figlia come lei.Quel mercantuzzo, che veniva dalla campagna, con vesti di panno scadente, con le calze a bracalone e con la penna in culo, solo perché aveva tre soldi aveva voluto per moglie la discendente di una nobile casata , si era appropriato di uno stemma e si permetteva di trattarla in tal modo, come se l’avesse raccolta nel fango. Avrebbe preferito che, seguendo il suo consiglio, i fratelli l’avessero data in moglie ad uno dei conti Guidi, con una piccola dote, perché l’avrebbero sicuramente trattata con più rispetto. Agguinse che ella era la più bella e la più onesta figliuola di Firenze e quel cafone che non si era vergognato di dire , a mezzanotte, che era una puttana, come se i familiari non la conoscessero; si sarebbe meritato un bel castigo.
Poi, rivolta ai figli, disse “ Figli miei, avete sentito come il vostro buon cognato tratta vostra sorella? Mercantucolo di quattro soldi, se fossi in voi non sarei soddisfatta se non lo levassi dalla terra. Se fossi uomo, non donna come sono, me la vedrei con quest’ubriaco maledetto “.
I giovani, viste le cose, si rivolsero ad Arriguccio ,ingiuriandolo con grandissima violenza.
Infine lo perdonarono, considerando che aveva fatto tutto quel pasticcio perché era ubriaco.
Gli dissero che non volevano più sentire cose del genere, altrimenti gliel’avrebbero fatta pagare cara e amara.
Ciò detto ,se ne andarono.
Arriguccio rimase confuso, non sapendo se quello che aveva fatto era vero o aveva sognato.
Senza più farne parola ,lasciò la moglie in pace.
La donna, con la sua astuzia, fuggì il pericolo e si aprì la via per poter, in avvenire, fare ogni cosa che volesse, senza avere più paura del marito.






giovedì 12 febbraio 2015

SETTIMA GIORNATA NOVELLA N. 7

Lodovico rivela a madonna Beatrice l’amore che le porta: ella manda Egano, suo marito, con i suoi abiti in giardino e giace con Lodovico, il quale, poi, alzatosi va in giardino e bastona Egano.

Il comportamento di madonna Isabella, raccontato da Pampinea, fu apprezzato molto dai componenti della brigata. Filomena ,alla quale il re aveva imposto di continuare, aggiunse che, se non si sbagliava, avrebbe subito raccontato una storia non meno bella.
In Parigi vi fu un gentiluomo fiorentino che, ridotto in povertà, si era dato alla mercatura ed era diventato ricchissimo. Aveva un solo figlio di nome Lodovico; perché fosse considerato più nobile che mercante, il padre non aveva voluto metterlo in alcun magazzino, ma l’aveva mandato al servizio del re di Francia.
Ritenne che lì sarebbe stato a contatto con altri gentiluomini e avrebbe imparato costumi eleganti e raffinati.
Mentre era a Parigi, conversando con alcuni cavalieri che erano tornati dal Santo Sepolcro, sentì parlare delle più belle donne di Francia, d’Inghilterra e di altre parti del mondo.
Uno di loro disse che di quante donne aveva visto nel mondo che aveva visitato non ne aveva visto nessuna bella come madonna Beatrice, moglie di Egano dei Galluzzi di Bologna.
Tutti i suoi compagni, che l’avevano vista a Bologna, furono d’accordo.
Udendo ciò, Lodovico, che non si era ancora innamorato, fu preso da un grandissimo desiderio di vederla e non poteva pensare ad altro.
Decise di andare a Bologna per vederla e per abitare lì ,se ella gli piacesse.
Disse al padre che voleva andare al Santo Sepolcro ed ottenne il permesso, anche se malvolentieri.
Preso il nome di Anichino, giunse a Bologna e ,il giorno dopo il suo arrivo,vide la donna ad una festa.
Ella gli parve molto più bella di quanto aveva immaginato, per cui ,innamoratosi perdutamente di lei, decise di non partire da Bologna, se non avesse conquistato il suo amore.
Tra sé e sé pensava quale via dovesse seguire per ottenere ciò. Decise di diventare servitore del marito di lei, che già ne aveva molti, sperando che gli si potesse presentare un’occasione propizia.
Venduti, dunque, i suoi cavalli e sistemati in maniera decorosa i suoi servitori, raccomandò loro di fingere di non conoscerlo.
Poi disse all’oste che volentieri sarebbe andato, come servitore, presso un nobiluomo, se fosse stato possibile trovarlo. L’oste rispose che l’uomo giusto era Egano, che aveva molti servitori e li voleva tutti di bella presenza com’era, appunto, Anichino. L’oste parlò con Egano che, subito, si accordò con il giovane e lo tenne in gran considerazione.
Abitando con Egano ,il giovane ebbe la possibilità di vedere molto spesso sua moglie.
Servì così bene il suo padrone che egli lo prese tanto a benvolere che non sapeva fare più niente senza di lui e gli aveva affidato la direzione di tutti i suoi affari.
Un giorno, essendo andato Egano a caccia, Anichino rimase con madonna Beatrice che ancora non si era accorta del suo amore ( anche se l’aveva osservato molte volte e le era piaciuto).
Cominciarono a giocare a scacchi e Anichino per compiacere la donna, senza darlo a vedere, la faceva vincere, con grande festa di lei.
Frattanto tutte le altre donne si allontanarono, lasciandoli soli.
A quel punto il giovane mandò un profondo sospiro. La donna gli chiese se sospirava perché stava perdendo.
Egli rispose che ben altro era il motivo del suo sospiro e ne emise un altro ancora più profondo.
La donna insistette per sapere la causa di quei sospiri. Il giovane si fece promettere che ella non avrebbe mai rivelato a nessuno ciò che stava per dirle.
Infine, con le lacrime agli occhi, le rivelò chi era, quello che di lei aveva udito, come si fosse innamorato perdutamente di lei e perché fosse diventato servitore del marito.La pregò, ancora, di aver pietà di lui e di essere compiacente, se voleva ; se non voleva, almeno lo lasciasse nella condizione in cui si trovava, contenta dell’amore che provava per lei.
La straordinaria dolcezza del sangue bolognese, sempre arrendevole alle preghiere e ai desideri d’amore, non avrebbe potuto mai essere lodata abbastanza.
La gentildonna, mentre Anichino parlava, lo guardava dando piena fiducia alle sue parole.
L’amore di lui e le sue preghiere le entrarono nella mente ed ella cominciò a sospirare e rispose “Anichino mio dolce, devi stare di buon animo, né i doni, né le promesse, né i desideri di alcuni gentiluomini hanno potuto spingere me ad amare qualcuno come hai fatto tu in così poco tempo. Penso che tu hai guadagnato il mio amore, te lo dono e ti prometto che ne godrò con te prima che questa notte finisca. Perché questo avvenga, vieni intorno alla mezzanotte in camera mia. Lascerò l’uscio aperto, sai da quale lato del letto io dormo. Venuto lì, se per caso io dormissi, toccami per svegliarmi ed io ti consolerò del tuo desiderio ,durato così a lungo. Come anticipo, perché tu creda a ciò, ti darò un bacio”.E, gettategli le braccia al collo, lo baciò e Anichino lei.
Detto ciò, Anichino, lasciata la donna, se ne andò a fare dei servizi, attentendo con ansia l’arrivo della notte.
Egano tornò dalla caccia e ,dopo aver cenato, se ne andò a dormire.
La donna lo seguì ,lasciando l’uscio della camera aperto ,come aveva promesso.
All’ora stabilita Anichino entrò silenziosamente nella camera, serrò la porta e andò sul lato del letto dove dormiva la donna.
Ella ,come sentì che il giovane era venuto, tenendolo forte con le sue mani, cominciò a dimenarsi tanto che svegliò il marito, a cui chiese quale fosse, a suo avviso, il migliore, il più leale dei suoi servitori e quello che amava di più.
Egano rispose che era, senza ombra di dubbio, Anichino il servitore di cui si fidava di più e che più amava e le chiese il motivo della domanda.
Anichino, temendo un inganno da parte della donna, cercava di svincolarsi per andarsene, ma ella lo tratteneva con forza.
La donna, rispondendo al marito, gli disse che Anichino li aveva ingannati. Infatti mentre egli era andato a caccia, il giovane le aveva chiesto di acconsentire ai suoi desideri amorosi. La donna ,per dimostrare ad Egano la falsità del suo servitore, aveva finto di accettare le proposte amorose. Aveva, dunque, dato appuntamento ad Anichino a mezzanotte nel loro giardino, ai piedi del pino.
Ella non aveva nessuna intenzione di andarvi, ma se Egano voleva conoscere la fedeltà del suo servo, poteva farlo con faciltà. Bastava che mettesse le vesti di lei,con un velo sul capo, ed andasse laggiù ad aspettare. Era sicura che il giovane sarebbe andato.
Il marito decise di andare a vedere. Alzatosi, al buio, indossò gli abiti della moglie e se ne andò in giardino sotto il pino ad attendere Anichino.
La donna ,come sentì che il marito si era alzato ed era uscito dalla camera, si alzò e serrò la porta.
Anichino, morto di paura, non riuscendo a fuggire, aveva maledetto centomila volte lei e il suo amore.
Quando vide che Beatrice si era spogliata ed era ritornata a letto, fu l’uomo più felice del mondo.
Si spogliò anch’egli e per molto tempo, insieme, presero piacere e gioia.
Poi la donna fece rivestire il giovane e disse “Bocca mia dolce, adesso prendi un bastone e vai in giardino. Fingendo di avermi fatto delle proposte amorose per provare la mia fedeltà ad Egano, come se fossi proprio io, dirai parole offensive verso Egano e lo picchierai ben bene col bastone.. Da ciò ne deriverà gran diletto e piacere”.
Anichino si alzò e se ne andò in giardino con un bastone in mano.
Come giunse vicino al pino, Egano gli si fece incontro, come se volesse riceverlo con gran festa.
A lui il giovane disse “O malvagia donna, dunque sei venuta ed hai veramente creduto che io volessi fare al mio padrone questo tradimento? Tu sia maledetta mille volte”. E, alzato il bastone, cominciò a colpirlo.
Egano, senza parlare, si diede alla fuga, mentre Anichino gli correva dietro , minacciando che avrebbe detto tutto ad Egano la mattina dopo.
Egano, dopo aver ricevuto parecchie bastonate, se ne ritornò in camera.
La moglie gli chiese se Anichino era andato in giardino.
L’uomo rispose che era andato e, credendo che fosse la donna, l’aveva colpito violentemente con il bastone e gli aveva rivolto tante ingiurie quante mai furono dette ad una cattiva donna.
In effetti, concluse il marito, egli si era meravigliato che il giovane avesse fatto a sua moglie proposte amorose, invece il giovane ,vedendola così bella e allegra, aveva voluto provare la sua fedeltà.
La donna rispose “Sia lodato Dio che egli ha provato me con le parole e te con le bastonate; sicuramente io sopporto meglio le parole che tu le bastonate. Ma siccome egli ti è così fedele, ti deve essere caro e gli devi fare onore”.
Egano fu convinto dalle parole della moglie che quella fosse la verità e che egli aveva la più leale delle mogli e il più fedele servitore che un gentiluomo avesse mai avuto.
Anichino e la donna risero di questo fatto e si incontrarono, molto più spesso di quanto non avessero fatto prima, per fare ciò che recava loro diletto e piacere, finché il giovane rimase ad abitare con Egano a Bologna.




giovedì 5 febbraio 2015

SETTIMA GIORNATA – NOVELLA N.6


Madonna Isabella è l’amante di Leonetto, è amata da messer Lambertuccio che va a trovarla, torna il marito di lei: ella manda fuori di casa sua messer Lambertuccio con un coltello in mano, e il marito  poi accompagna Leonetto.

La novella della Fiammetta era piaciuta molto a tutti, che ritenevano che la donna aveva fatto ciò che meritava un uomo bestiale.
Al termine il re ordinò a Pampinea di continuare ed ella incominciò col considerare che molti uomini superficiali dicevano che Amore faceva perdere il senno ad alcuni e faceva diventare stupido chi amava.
Ciò, secondo lei, non era vero e intendeva dimostrarlo con la sua novella.
Nella loro città, ricca di ogni bene, viveva una giovane donna gentile e assai bella, moglie di un cavaliere assai valoroso e perbene.
Ma, come spesso accadeva che l’essere umano si stancava di mangiare sempre lo stesso cibo e voleva talvolta cambiare, quella donna ,stanca del marito, s’innamorò di un giovane, sebbene fosse di umile origine, di nome Leonetto. Anch’egli si innamorò di lei e, ben presto , diedero compimento al loro amore.
Frattanto un cavaliere chiamato messer Lambertuccio s’innamorò follemente della donna ,anche se ella non lo sopportava e non era disposta ad assecondarlo.
Messer Lambertuccio cominciò a sollecitarla con ambasciate e, alla fine, minacciò di violentarla ,se non l’avesse assecondato. La donna ,conoscendo com’era fatto ,decise di fare il suo volere.
La donna, che si chiamava Isabella, com’era costume delle donne fiorentine, se ne era andata, d’estate, in campagna, in un bellissimo possedimento.
Avendo il marito deciso di allontanarsi a cavallo per qualche giorno, Isabella fece chiamare Leonetto, perché andasse a stare con lei; il giovane, lietissimo, andò immediatamente.
Messer Lambertuccio, sentendo che il marito di lei era andato altrove, montato a cavallo, andò da lei e bussò alla porta. La fantesca subito avvertì la padrona dell’arrivo di messer Lambertuccio,
Isabella, udendo, si rattristò e temette per la sua vita e per quella di Leonetto.
Immediatamente fece nascondere il giovane dietro la tenda del letto e gli disse di rimanervi finché Messer Lambertuccio non se ne fosse andato, poi ordinò alla domestica di aprire.
L’uomo scese da cavallo, legò quello nel cortile ad un uncino e salì.
La donna l’accolse lietamente in cima alla scala. L’uomo l’abbracciò e la baciò, dicendole che era corso da lei appena aveva saputo che il marito non c’era. Dopo queste parole entrò in camera, chiuse la porta e cominciò a godere di lei. Mentre facevano l’amore, del tutto inatteso, ritornò il marito.
Come la fantesca lo vide corse ad avvisare la padrona.
Isabella, sapendo di avere due uomini in casa, non potendo nascondere il cavaliere per via del cavallo, si ritenne morta.
Scesa dal letto, disse a messer Lambertuccio che ,se voleva salvare entrambi dalla morte, doveva fare ciò che gli diceva. Doveva scendere le scale con un coltello in mano e con il viso adirato, gridando “ Per Dio, io lo raggiungerò altrove” . Se il marito gli avesse domandato, non doveva rispondergli né fermarsi per nessun motivo.
L’uomo l’assecondò volentieri e, tirato fuori il coltello, tutto rosso in viso per le fatiche d’amore e per l’ira dovuta al ritorno del marito, fece ciò che la donna gli aveva detto di fare.
Il marito, che si era fermato nel cortile vicino al cavallo, vide scendere messer Lambertuccio tutto infuriato.
Il cavaliere, messo il piede nella staffa, montò a cavallo e dicendo soltanto “ Per Dio, lo raggiungerò altrove” andò via.
Il gentiluomo ,salito, trovò la moglie in cima alla scala tutta sgomenta e piena di paura. A lei chiese a chi erano rivolte le minacce di messer Lambertuccio ,così adirato.
La donna, entrata in camera, in modo che Leonetto potesse udirla, spiegò al credulone che aveva provato una gran paura quando un giovane, che non conosceva, si era rifugiato nella sua camera.  
Il giovane, inseguito da messer Lambertuccio con un coltello in mano, le aveva chiesto aiuto per non essere ucciso. Prima che ella potesse chiedere spiegazioni era giunto messer Lambertuccio ,gridando “ Dove sei ,traditore?”
La donna si era posta davanti all’uscio della sua camera ,per impedire che l’uomo infuriato vi entrasse.
Ed egli fu così cortese da non entrare nella camera e scese gridando ,come il marito l’aveva visto.
Il marito elogiò la prudenza della moglie, dicendo che sarebbe stata una gran vergogna se un uomo fosse stato ucciso in casa loro.
Poi chiese dove si era nascosto il giovane e lo invitò ad uscire perché non c’era più pericolo.
Leonetto, che aveva udito ogni cosa e si era veramente spaventato, uscì fuori dal luogo dove si era nascosto.
Alle domande dell’uomo ,che gli chiedeva che cosa avesse a che fare con messer Lambertuccio, rispose che non lo conosceva per niente e che il cavaliere era uscito di senno o l’aveva scambiato per qualcun altro
Infatti, come l’aveva visto poco lontano da quel palazzo, aveva messo mano al coltello, gridando “Traditore, tu sei morto”. Il giovane non si era fermato a domandare il motivo, ma era fuggito a gambe levate e si era rifugiato a casa loro, scampando al pericolo grazie a quella gentildonna.
La sciocco lo rassicurò e gli disse di non aver paura perché l’avrebbe accompagnato sano e salvo a casa sua. Successivamente avrebbe cercato di sapere che cosa aveva a che fare con lui messer Lambertuccio.
Dopo che ebbero cenato insieme, lo feca montare a cavallo, lo condusse a Firenze e lo lasciò a casa sua.
Il giovane, secondo le istruzioni della donna, di nascosto parlò con messer Lambertuccio e fecero in modo che mai il cavaliere si accorgesse della beffa fattagli dalla moglie.