giovedì 28 agosto 2014

QUINTA GIORNATA - NOVELLA N.5

QUINTA GIORNATA – NOVELLA N.5

Guidotto da Cremona affida a Giacomino da Pavia una fanciulla e muore; Giannole di Severino e Minghino di Mignole in Faenza l’amano antrambi; litigano tra loro; si viene a sapere che la fanciulla è sorella di Giannole e viene data in sposa a Minghino.

Ogni donna rise molto ascoltando la novella dell’usignuolo, senza potersi trattenere, anche dopo che Filostrato aveva finito il racconto.
La regina elogiò il narratore che, se il giorno prima le aveva rattristate, le aveva poi rallegrate.
Neifile ,al comando della regina, cominciò col dire che avrebbe continuato a parlare di cose avvenute in Romagna , e precisamente nella città di Fano.
Colà abitavano due lombardi, uno chiamato Guidotto da Cremona e l’altro Giacomino da Pavia, entrambi anziani, che in gioventù erano stati soldati.
Guidotto prima di morire affidò all’amico Giacomino, il solo di cui si fidasse, la sua unica figlia, che aveva allora dieci anni, facendogli molte raccomandazioni.
In seguito Giacomino si trasferì nella città di Faenza, portando con sé la fanciulla lasciatagli da Guidotto, che egli amava come una figlia.
Ella ,crescendo, divenne bellissima, quanto nessun’altra in città, ed anche onesta, per cui era corteggiata da molti, e, soprattutto da due giovani belli e garbati, che, per gelosia ,cominciarono ad odiarsi. L’uno si chiamava Giannole di Severino e l’altro Minghino di Mingale. Ognuno l’avrebbe presa in moglie, avendo ormai la fanciulla quindici anni, se i suoi parenti avessero acconsentito. Ma, essendo stato rifiutato il consenso, ciascuno pensava a come poterla avere..
Giacomino aveva in casa una vecchia domestica ed un servitore , di nome Crivello, del quale Giannole divenne molto amico.
Un bel giorno Giannole rivelò al servitore il suo amore per la fanciulla e lo pregò di aiutarlo.
Crivello gli disse che, quando Giacomino sarebbe andato a cenare fuori, egli l’avrebbe condotto dove stava la ragazza, combinando un incontro.
Frattanto Minghino si era fatto amica la domestica, che aveva portato diverse ambasciate alla fanciulla, accendendola d’amore per il giovane. Gli aveva anche promesso di farlo incontrare con lei, appena Giacomino si fosse allontanato da casa.
Non molto tempo dopo, Giacomino andò da un suo amico a cenare, come aveva organizzato Crivello.
Il servo, avvisato Giannole, gli lasciò l’uscio di casa aperto.
Frattanto la serva, non sapendo nulla, fece sapere a Minghino che Giacomino non c’era e che, a un suo cenno, poteva entrare nella casa.
Venuta la sera, sia l’uno che l’altro innamorato, non sapendo le intenzioni dell’altro, ma sospettando, con alcuni compagni armati, si recarono nei pressi della casa, pronti ad entrare.
 Minghino si mise a casa di un amico, Giannole si pose ad una certa distanza da essa.
I due servitori cercavano di mandarsi via l’un l’altro, senza riuscirvi.
Crivello, non preoccupandosi della vecchia, diede a Giannole il segnale; costui entrò nella sala e tentò, con due compagni, di rapire la giovane, che si mise a gridare.
Udendo le urla, Minghino accorse con i suoi compagni e cominciò a combattere per impedire il rapimento.
Anche i vicini accorsero in aiuto , ne seguì una mischia in cui Giannole e Crivello furono catturati e menati in prigione.
Giacomino, tornato a casa, apprese la vicenda e decise che era tempo di maritare la giovane, che non aveva nessuna colpa.
Il mattino dopo i parenti dell’una e dell’altra parte, conosciuta la verità, sapendo bene il danno che poteva derivarne per i giovani, chiesero a Giacomino di perdonarli, offrendo sé stessi e i due giovani innamorati per pagare qualsiasi multa volesse.
Giacomino, che era un buon uomo e ne aveva vedute tante, precisò che la fanciulla  non era né di Cremona, né di Pavia, ma era di Faenza e né lui, né lei stessa, né colui che gliela aveva affidata sapevano chi fosse il padre. Per questo non poteva maritarla.
I parenti si meravigliarono udendo che la giovane era di Faenza e spinsero il vecchio a raccontare tutta la vicenda.
E Giacomino disse che Guidotto da Cremona, suo compagno e amico, in punto di morte ,gli aveva raccontato
che, quando Faenza era stata conquistata dall’imperatore Federico II, egli era entrato in una casa abbandonata.
Colà aveva trovato soltanto una bambina, di circa due anni, che, come lo aveva visto, l’aveva chiamato padre.
Per questo, commosso, insieme con le cose della casa, se l’era portata a Fano.
Quivi, morendo, l’aveva affidata a lui, imponendogli di maritarla , al momento giusto, dandole anche la dote.
Venuta, ormai, l’età da marito, non poteva darla a nessuno perché non era il padre, pur desiderandolo tanto, per evitare altri episodi come quello della sera precedente.
Tra i presenti c’era un certo Guglielmino da Medicina che era stato con Guidotto al momento della conquista.
Egli sapeva bene a chi apparteneva la casa derubata e vedendo lì ,tra gli altri, il proprietario gli si avvicinò e gli disse “ Bernarduccio ,odi ciò che Giacomino dice?” e Bernarduccio rispose “ Ricordo bene che durante tali avvenimenti io perdetti una figlioletta di quella età di cui Giacomino parla”.
E Guglielmino confermò che la ragazza affidata a Giacomino era la figlia di Bernarduccio perché egli era ben informato sulla vicenda. Gli chiese, comunque, se ricordasse un particolare segno che la fanciulla potesse avere, per favorire il riconoscimento.
Bernarduccio ricordò che la fanciulla doveva avere una cicatrice a forma di una crocetta sull’orecchio sinistro, a causa di un ascesso che poco prima le era stato asportato.
Subito, senza più aspettare, si avvicinò a Giacomino e gli chiese di condurlo a casa sua per vedere la giovane.
Giacomino lo fece volentieri e, giunto a casa, la fece chiamare.
Come Bernarduccio vide la giovane, notò la grandissima somiglianza con sua moglie, che era ancora una bella  donna. Pure chiese al gentiluomo di poterle sollevare un po’ i capelli sopra l’orecchio sinistro. Avuto il consenso, timidamente si avvicinò alla ragazza e, sollevati i capelli, vide la croce.
Riconoscendo che era la figlia, cominciò a piangere e ad abbracciarla, sebbene ella si schernisse.
Rivolgendosi a Giacomino disse “ Fratello mio, questa è mia figlia. La mia casa fu quella derubata da Guidotto e la bambina fu dimenticata lì da mia moglie e da sua madre nella fuga. Credemmo che ella fosse bruciata, quello stesso giorno, con la casa”.
La giovane, udendo ciò, abbracciò commossa il vecchio.
Bernaduccio, immediatamente, mandò a chiamare la madre di lei, i parenti, i fratelli e le sorelle.
La mostrò a tutti ,raccontando la storia, e fece una gran festa. Infine ,con il consenso di Giacomino, se la portò a casa sua.
La notizia del ritrovamento si diffuse rapidamente e giunse al capitano della città che sapeva che Giannole, che teneva presso di sé, era figlio di Bertoluccio e, dunque, fratello carnale della fanciulla. Si pose, allora, come mediatore per risolvere la cosa amichevolmente; grazie a lui Giannole e Minghino fecero pace.
Minghino ebbe in moglie, con la gioia di tutti i parenti, la giovane che si chiamava Agnese.
Crivello e tutti quelli che erano stati imprigionati per il tentato rapimento furono liberati.
Minghino, dopo le nozze, si portò la sposa a casa e visse in pace con lei per molti anni .




giovedì 21 agosto 2014

QUINTA GIORNATA - NOVELLA N.4

QUINTA GIORNATA – NOVELLA N.4

Ricciardo Manardi è trovato da messer Lizio da Valbona con la figlia, la quale egli sposa e col padre di lei rimane in buona pace.

Mentre le compagne lodavano la novella di Elissa, la regina fece cenno a Filostrato di raccontare la sua.
Egli, ridendo, iniziò dicendo che, dopo aver rattristato le donne con i suoi crudeli ragionamenti, adesso voleva rallegrarle con una novelletta breve e a lieto fine.
Non molto tempo addietro viveva in Romagna un cavaliere molto per bene, chiamato messer Lizio da Valbona,
al quale, ormai vecchio, nacque una figlia dalla moglie, di nome madonna Giacomina.
Ella era bella e gentile ed era molto amata dai genitori che le volevano far fare un buon matrimonio.
Frequentava la casa di messer Lizio un bel giovane, appartenente alla famiglia dei Manardi di Brettinoro, chiamato Ricciardo. Egli si innamorò ardentemente della bellissima giovane, ma teneva nascosto il suo amore.
La ragazza se ne accorse e cominciò ad amarlo anch’ella.
Finalmente un giorno Ricciardo le rivolse la parola e le chiese di incontrarsi per non farlo morire d’amore.
Ella gli rispose di indicarle che cosa poteva fare per incontrarsi. Il giovane ,dopo aver pensato a lungo, la pregò di andare di notte sul verone che affacciava sul giardino del padre, dove avrebbe potuto raggiungerla di notte, sebbene il verone fosse molto alto.
Subito Caterina rispose che avrebbe cercato di andare lì a dormire, se il giovane le prometteva che sarebbe venuto. Ricciardo le assicurò di si, poi si baciarono una sola volta ed andarono via.
Il giorno seguente, essendo quasi la fine di maggio, la giovane si lagnò con la madre che la notte non aveva potuto dormire per il gran caldo. La madre rispose che non le sembrava che facesse tanto caldo.
Al che Caterina rispose che le donne giovani sentivano più caldo di quelle attempate e che voleva mettere un lettino sul verone, al lato della camera del padre, sul suo giardino , per dormire. Aggiunse che lì avrebbe potuto sentir cantare gli usignuoli e sarebbe stata molto più al fresco che in camera della madre.
Messer Lizio, poiché era vecchio, era un po’ burbero e disse “ Quale usignuolo è questo dal cui canto si vuol far addormentare? Io la farò addormentare col canto delle cicale”.
Udendo ciò Caterina la notte seguente non dormì per niente e non fece dormire nemmeno la madre, lagnandosi per il gran caldo.
Madonna Giacomina, intervenendo presso il marito, affermò che non c’era niente di male se la figlia voleva dormire sul verone e sentir cantare gli usignuoli e così ottenne il permesso.
La giovane, immediatamente ,si fece preparare un letto e attese a lungo Ricciardo per fargli segno che la notte seguente sarebbe andata a dormire sul verone.
Messer Lizio, accertatosi che la figlia se ne era andata a letto, chiusa la porta della sua stanza, che affacciava sul verone, se ne andò a dormire.
Ricciardo, come sentì che tutto era tranquillo, con gran fatica, con una scala, appoggiandosi a delle sporgenze del muro, arrivò sul balcone, dove fu accolto con grande amore da Caterina.
Trascorsero tutta la notte prendendo piacere l’uno dall’altra, facendo cantare più volte l’usignuolo.
Essendo già vicino il giorno, stanchi per le fatiche d’amore, senza nulla addosso, si addormentarono.
Caterina aveva il braccio destro intorno al collo del giovane, la mano sinistra su quella cosa che le donne si vergognano di nominare davanti agli uomini.
Mentre così dormivano, giunto il giorno, messer Lizio, svegliatosi, aperta la porta ,volle vedere come l’usignuolo aveva fatto dormire bene la figlia. Scostata la tenda che circondava il letto, vide i due giovani nudi e abbracciati, come sopra descritto.
Chiamò la moglie e le disse di andare a vedere che la figlia era talmente desiderosa dell’usignuolo che se l’era preso e se lo teneva in mano.
Madonna Giacomina corse e , scostata la tenda, poté vedere come la figlia avesse preso l’usignuolo che tanto desiderava di udir cantare.
La donna stava per gridare e inveire contro Ricciardo, che l’aveva ingannata, ma il marito le disse di tacere perché la figlia l’aveva preso e se lo sarebbe tenuto. Ricciardo era un giovane gentile e ricco e poteva essere un buon marito. Se si voleva allontanare con le buone doveva prima sposarla, dopo aver messo l’usignuolo nella gabbia di lei e non di altre.
La donna, vedendo il marito sereno e la figlia tranquilla per aver passato una buona notte, avendo preso l’usignuolo, tacque.
Ricciardo, al risveglio, accortosi che era giorno, temendo di morire, chiamò Caterina, le chiese come dovevano fare.
Il padre, scostando la tenda, rimproverò il giovane, che si scusava e chiedeva perdono, tremando per la paura, accusandolo di aver tradito la fiducia che aveva in lui. Aggiunse che ,tuttavia, comprendeva che era stato trasportato dalla giovinezza  e che , per salvare la situazione, doveva prendere Caterina come legittima sposa e tenerla sempre con sé; solo in questo modo avrebbe potuto salvarsi, in caso contrario ,poteva raccomandare l’anima a Dio.
Mentre si dicevano tali cose, Caterina lasciò l’usignuolo e cominciò a piangere, pregando sia il padre di perdonare il giovane, sia Ricciardo di accontentare il padre, in modo da poter avere altre notti come quella.
Ma non ci fu bisogno di molte preghiere perché  Ricciardo, sia per la paura di morire, sia per l’ardente amore e il desiderio per la donna, subito accettò la proposta di messer Lizio.
Il padre, fattosi dare da madonna Giacomina uno dei suoi anelli, senza muoversi, sposò Caterina con Ricciardo.
Fatto ciò , i due genitori si allontanarono, lasciando soli i giovani, che si abbracciarono e ricominciarono a fare l’amore per altre due volte, fino a tardi..
Poi si alzarono e presero accordi con messer Lizio per il matrimonio che fu celebrato, con grande festa, in presenza di parenti e amici, pochi giorni dopo.
E vissero in pace a lungo, andando a caccia di usignuoli, di giorno e di notte, come vollero.




giovedì 14 agosto 2014

QUINTA GIORNATA - NOVELLA N. 3

 QUINTA GIORNATA – NOVELLA N.3

Pietro Boccamazza fugge con l’Agnolella; incontra dei ladroni; la giovane fugge in una selva ed è condotta in un castello, Pietro è catturato, ma fugge dalle mani dei ladroni e dopo qualche problema giunge nel castello dove si trova Agnolella; la sposa e se ne torna a Roma con lei.

Tutti commentarono piacevolmente la novella di Emilia, poi la regina fece cenno ad Elissa di continuare.
La giovane comunicò che avrebbe parlato di una notte terribile vissuta da due giovinetti imprudenti, cui seguirono molti giorni lieti.
Viveva in Roma, in quel tempo in decadenza, dopo essere stata nei tempi antichi a capo del mondo, un giovane chiamato Pietro Boccamazza, di una nobile famiglia romana. Egli si innamorò di una bellissima e gentile fanciulla ,chiamata Agnolella, figlia di Gigliuozzo Saullo, uomo plebeo, molto caro ai romani.
Pietro riuscì a conquistare l’amore della ragazza e la chiese in moglie.
I suoi parenti, che non volevano Gigliuozzo Saullo né per amico, né per parente, impedirono a Pietro le nozze.
Pietro, vedendo che il matrimonio incontrava molti ostacoli, si sentì morire dal dolore, decise allora di fuggire da Roma insieme ad Agnolella.
Una mattina, svegliatisi prestissimo, montarono a cavallo e si diressero verso Anagni, dove li attendevano alcuni amici fidati.
Mentre cavalcavano facevano progetti per le nozze ,baciandosi.
Purtroppo Pietro non conosceva bene la strada, per cui ,essendosi allontanati per circa otto miglia, dovendo andare a destra, svoltarono a sinistra. Giunsero nei pressi di un castello, dal quale uscirono dodici soldati, che li inseguirono. Agnolella, accortasi degli inseguitori, volse il suo ronzino verso la foresta per fuggire.
Pietro, che guardava più al viso di lei che alla strada, senza accorgersi di nulla, fu raggiunto e catturato.
Gli inseguitori, riconosciutolo come amico degli Orsini, loro nemici, decisero di impiccarlo ad una delle querce.
Mentre il giovane si spogliava per essere impiccato, piombarono addosso al gruppo venticinque soldati nemici che misero in fuga gli assalitori.
 Pietro, mentre i due gruppi combattevano tra loro, salì sul suo ronzino e si diresse verso la via per la quale aveva visto fuggire la giovane. Non riuscì a ritrovarla e, piangendo, invano la chiamò.
Ma nessuno rispondeva ed egli non osava tornare indietro perché non conosceva la strada e temeva che le fiere, che abitavano le foreste, potessero sbranare sia lui stesso che la donna. Anzi gli sembrava di vederla strangolare da un orso o da un lupo.
Tutto il giorno andò in giro nella selva, gridando e chiamando. Alla fine era talmente stanco per il piangere, per la paura e per il digiuno che non poteva più andare avanti.
Sopraggiunta la notte, non sapendo che fare, trovata una grandissima quercia, vi salì sopra per non essere divorato dalle fiere, dopo aver legato il ronzino.
Dopo poco sorse una luna chiarissima. Pietro non riuscì a dormire sia per la paura di cadere, sia per il pensiero della fanciulla.
Frattanto Agnolella, non sapendo dove andare, si inoltrò nella selva, non riuscendo più a trovare il punto in cui vi era entrata. Girò a lungo nel bosco chiamando e piangendo, finché non trovò un viottolo, che il ronzino seguì. Dopo alcune miglia giunse ad una casetta, abitata da un buon uomo e da sua moglie, entrambi molto vecchi, che ,come la videro, le chiesero dove andasse a quell’ora. La giovane rispose che doveva andare ad Anagni.
Il vecchio le disse,allora, che quella non era la strada per Anagni, che era molto distante, e non vi era alcun luogo dove alloggiare.
Il vecchio le offrì volentieri ospitalità, aggiungendo che, comunque, era molto rischioso rimanere lì, perché in quelle contrade andavano in giro, di giorno e di notte, gruppi di sbandati che si azzuffavano tra loro. Queste brigate, vedendola così giovane e bella, potevano recarle danno, senza che loro due potessero aiutarla..
Ella, vedendo l’ora tarda, considerando che era meglio essere maltrattata dagli uomini che essere sbranata dalle fiere, accettò l’ospitalità.
Entrò in casa, cenò poveramente con quello che i vecchi avevano e si gettò, vestita, su loro letto.
Prima dell’alba si sentì un gran calpestio di gente, alzatasi rapidamente, la donna andò in un gran cortile che era dietro la casa e si nascose in un grosso mucchio di fieno che si trovava lì.
Si era appena nascosta che un folto gruppo di masnadieri bussò alla porta della casa. Fattisi aprire, videro il ronzino della giovane e chiesero chi c’era.
Il vecchio rispose che non c’era nessuno e che il ronzino, forse sfuggito a qualcuno, era stato da loro portato in casa per evitare che se lo mangiassero i lupi.
I ladroni ,allora, se lo presero , poi cominciarono a guardare in giro per controllare. Uno di loro, non sapendo che fare, gettò una lancia nel fieno e quasi uccise la donna nascosta. La lancia sfiorò il seno sinistro, tanto che le stracciò i vestiti. Ella stava per gridare, ma, ricordandosi dov’era, rimase in silenzio.
La brigata, cotti i capretti, dopo aver mangiato e bevuto, se ne andò per i fatti suoi, portandosi il ronzino.
Quando rimasero soli il vecchio chiese alla moglie dove era finita la ragazza. La moglie rispose che non lo sapeva ed andò a cercarla.
Agnolella, sentendo che erano partiti, uscì dal fieno e trovò il vecchio tutto contento perché i banditi non l’avevano catturata.
Essendo ormai giorno, il buon uomo insieme alla moglie, volle accompagnarla al castello dove sarebbe stata al sicuro. Bisognava , purtroppo, andare a piedi perché i briganti si erano presi il ronzino.
Si misero in cammino e giunsero al castello verso le sette e mezzo.
Il castello apparteneva a Liello di Campo di Fiore, della famiglia degli Orsini. Egli aveva una moglie buona e santa che riconobbe la giovane, la ricevette e volle sapere come era arrivata fin lì.
La sventurata raccontò tutta la sua vicenda.
 La nobildonna, che conosceva anche Pietro, in quanto amico del marito, addolorata, pensando che il giovane fosse morto, si offrì di ospitarla nel suo castello.
Pietro, dal canto suo, stando sulla quercia, vide arrivare venti lupi  che accerchiarono il suo ronzino, il quale, rotte le cavezze, si difese con i denti e con i calci. Alla fine i lupi lo atterrarono, lo strozzarono , lo sventrarono e, ben presto ,lo divorarono, lasciando solo le ossa, poi andarono via. Il giovane temette di fare la stessa fine e di non uscire più da quel bosco.
Era ormai vicino il giorno quando, quasi morto dal freddo, vide in lontananza un grande fuoco.
Non senza paura, scese dalla quercia e andò verso il fuoco ,intorno al quale trovò dei pastori che mangiavano e bevevano.Essi lo accolsero e gli diedero da mangiare.
Raccontata la sua avventura, Pietro chiese loro se vi era ,in quella zona, un castello dove potesse andare.
I pastori gli dissero che a poche miglia di distanza c’era il castello di Liello di Campo di Fiore, dove ,in quel momento si trovava la moglie. Due di loro lo accompagnarono volentieri.
Giunto al castello, mentre voleva far cercare la giovane nella foresta, Pietro fu chiamato dalla castellana, giunto in sua presenza trovò con lei Agnolella.
Grande fu la gioia di entrambi, che non si abbracciarono per timidezza.
La gentildonna lo accolse facendogli molte feste, ma lo rimproverò perché voleva sposarsi contro la volontà de parenti. Poi, vedendo che i due si amavano perdutamente, che il loro amore era onesto, che non facevano torto a nessuno, che ciò piaceva a Dio ,che li aveva fatti scampare uno alle forche, l’altra alla lancia ed entrambi alle fiere selvatiche, decise di aiutarli.
Visto che i due erano ben decisi a sposarsi, fece preparare le nozze a spese di Liello. Pietro lietissimo e Agnolella ancora di più si sposarono.
Rimasero per parecchi giorni al castello, poi, accompagnati dalla donna se ne tornarono a Roma dove, fatta la pace con i parenti, vissero fino alla loro vecchiaia.