giovedì 26 novembre 2015

DECIMA GIORNATA - NOVELLA N.6

DECIMA GIORNATA – NOVELLA N.6

Re Carlo (Carlo I d’Angiò) ormai vecchio, dopo aver vinto molte guerre, innamoratosi di una giovinetta, vergognandosi del suo folle pensiero, fa sposare lei e la sorella onorevolmente.

Sarebbe troppo lungo raccontare tutte le discussioni fatte dalle donne su chi fosse stato più liberale o Giliberto o messer Ansaldo o il negromante.
Dopo aver discusso per un po’ di tempo, il re, guardando verso la Fiammetta, per interrompere la discussione, le ordinò di raccontare.
Fiammetta, senza alcun indugio, cominciò dicendo che era stata sempre dell’opinione che le brigate come le loro non si dovessero impegnare in dispute troppo sottili e complicate. Tali dispute convenivano alle scuole degli studiosi e non a loro, che si dedicavano al ricamare a al filare.
Perciò ella, che aveva già in mente una storia che poteva far discutere, vedendole pronte a litigare per le cose dette, l'avrebbe lasciata andare e ne avrebbe raccontata un’altra, di un valoroso re, che operò con cavalleria, senza venir meno al suo onore.
Tutte loro avevano sentito parlare di Carlo il Vecchio, ossia di Carlo I D’Angiò, per la sua venuta in Italia in difesa della Chiesa e per la sua vittoria su Manfredi (figlio di Federico II di Svevia).
Dopo  quella vittoria i ghibellini furono scacciati da Firenze e vi ritornarono i guelfi.
Un cavaliere, chiamato messer Neri degli Uberti, ghibellino, uscendo dalla città con tutta la sua famiglia, chiese di mettersi sotto la protezione del re Carlo.
Per stare in un luogo tranquillo, dove finire la sua vita, se ne andò a Castellammare di Stabia. Lì, un poco lontano dalle altre abitazioni di quel posto, comprò un possedimento tra ulivi, noccioli e castagni, di cui quella contrada era ricca.
Su quel possedimento fece costruire una bella e ricca casa e al suo fianco un ameno giardino, nel mezzo del quale, secondo il costume del luogo, poiché c'era abbondanza di acqua, fece un bel vivaio che riempì con molto pesce. E si dedicava escusivamente a rendere ogni giorno più bello il suo giardino.
Frattanto re Carlo, d’estate, per riposarsi un po’, se ne andò a Castellammare, dove, avendo sentito parlare  della bellezza del giardino di messer Neri, desiderò di vederlo.
Sapendo che messer Neri, il proprietario del giardino, era di parte ghibellina, a lui avversa, pensò di dover trattare con lui molto garbatamente e prudentemente. Gli mandò ,dunque, a dire che la sera seguente voleva cenare nel famoso giardino con quattro compagni, serenamente.
Messer Neri fu assai contento e, avendo ordinato ai suoi servitori di fare tutto ciò che era necessario, ricevette il re il più lietamente che potè.
Il re, dopo che ebbe visitato tutto il giardino e la casa, dopo essersi lavato, si sedette ad una delle tavole che erano state apparecchiate al lato del vivaio. Ad un lato comandò che sedesse Guido da Monforte, che era un suo compagno, dall’altro messer Neri.
Furono servite delicate vivande e vini ottimi e preziosi, con garbo e gentilezza, senza rumore e senza noia, cosa che il sovrano apprezzò molto. Mentre il re stava mangiando con gusto, entrarono due giovinette di circa quindici anni ognuna, bionde come l’oro, con i capelli ricci, sciolti, su cui era poggiata una leggera ghirlanda di pervinca. Sembravano due angeli nei visi, tanto essi erano belli e delicati.
Erano vestite con un abito di lino sottilissimo, bianco come la neve. L’abito aveva una cintura strettissima in vita e scendeva, poi, a campana, fino ai piedi.
Quella che andava avanti recava sulle spalle un paio di reti che tratteneva con la mano sinistra, mentre nella destra aveva un lungo bastone. L'altra ,che veniva dietro, aveva sulla spalla sinistra una padella, sotto lo stesso braccio un fascetto di legne e sotto un trepiede. Nell’altra mano aveva un vasetto d’olio e una fiaccoletta accesa.
Il re, vedendo ciò, si meravigliò e attese per vedere che volevano fare.
Le giovinette modestamente e timidamente gli fecero un inchino , poi se ne andarono vicino al vivaio.
Quella che aveva la padella in mano, la pose per terra insieme alle altre cose e prese il bastone che l’altra portava. Entrambe, infine, entrarono nel vivaio, l’acqua del quale giungeva fino al loro petto.
Uno dei servitori di messer Neri rapidamente accese il fuoco, vi pose sopra il trepiede con la padella piena d’olio e cominciò ad aspettare che le giovani vi gettassero sopra il pesce.
Una delle fanciulle cercava nei posti dove sapeva che il pesce si nascondeva, l’altra preparava le reti, con grandissimo piacere del re che guardava attentamente.
Il poco tempo presero molti pesci e li gettarono al servitore che, quasi vivi, li metteva nella padella.
Le fanciulle, come ammaestrate, prendevano i più belli e li gettavano sulla tavola davanti al re, al conte Guido e al padre. Quei pesci guizzavano per un po’ sulla mensa, con gran divertimento del re, che li prendeva e li gettava indietro alle giovani.
Così giocarono per un po’ ,finché il servitore non ebbe cotto il pesce che gli era stato dato.
Quel pesce, avendo messer Neri così ordinato, fu portato davanti al re per servirlo tra una vivanda e l’altra.
Le fanciulle, vedendo il pesce cotto e avendo molto pescato, mentre il bianco vestito era aderito alle carni, senza nascondere quasi niente del lor bel corpo, uscirono dal vivaio. Ripresero le cose che avevano portato e, passando pudicamente davanti al re, se ne tornarono a casa.
Il re, il conte e gli altri ospiti avevano molto osservato le giovinette e ognuno, in cuor suo, aveva ammirato la loro bellezza ,le loro fattezze ed anche i loro gradevoli modi.
Erano piaciute soprattutto al re, il quale aveva osservato attentamente ogni parte del loro corpo, mentre uscivano dall’acqua, tanto che se qualcuno l’avesse punto, egli non avrebbe avvertito la puntura..
E, ripensando sempre più a loro, senza sapere chi fossero, sentì nascere nel cuore un fortissimo desiderio di piacer loro. Ben comprese che stava per innamorarsi, se non avesse preso provvedimenti.
Egli stesso non sapeva quale delle due gli piacesse di più, tanto le due fanciulle si somigliavano.
Rimase per un po’ sovrapensiero, poi si rivolse a messer Neri e gli domandò chi fossero le due damigelle.
Messer Neri rispose “ Monsignore, son le mie due figliuole ,nate da un solo parto, l’una ha nome Ginevra la bella, l’altra Isotta la bionda”.
Il re le lodò molto e gli consigliò di maritarle. Messer Neri rispose di non poterlo fare perché non aveva i mezzi.
Restando da servire per cena soltanto la frutta, le due giovinette si presentarono, indossando due splendide giubbe di seta, con due bellissimi vassoi d’argento pieni di vari frutti di stagione e li posarono sulla tavola davanti al re. Fatto ciò, cominciarono a cantare così dolcemente e piacevolmente che al re ,che le ascoltava, sembrava che fossero scese a cantare tutte le gerarchie degli angeli.                                                                                                                                      
 Dopo aver cantato, si inginocchiarono e chiesero rispettosamente commiato al re, il quale, anche se rammaricato, sorridendo lo concesse.
Finita, dunque, la cena, il sovrano e i suoi compagni montarono a cavallo, lasciando messer Neri, e ritornarono al palazzo reale.
Qui il re, nascondendo la sua passione, non poteva dimenticare ,per nessun motivo, la bellezza di Ginevra la bella e ugualmente amava la sorella gemella, a lei tanto somigliante.
Tanto si invischiò nei pensieri d’amore che quasi non riusciva a pensare ad altro.
Trovando mille scuse, manteneva una stretta amicizia con messer Neri e assai spesso visitava il suo giardino per vedere la Ginevra. Non potendone più, decise di togliere al padre non solo una, ma entrambe le giovinette e palesò al conte Guido la sua intenzione.
Il conte, che era un uomo saggio, gli disse “ Monsignore, non mi meraviglia ciò che mi dite e lo tengo in gran conto, peché conosco fin dalla vostra giovinezza, meglio di chiunque altro, i vostri costumi. Mi è sembrato che mai, neppure nella giovinezza, quando Amore può colpire più fortemente, abbiate conosciuto una passione così ardente. Il sentire che voi, ormai vicino alla vecchiaia, siete innamorato, mi pare così strano, quasi un miracolo.
Se toccasse a  me il rimproverarvi, so bene che cosa vi direi, considerando il fatto che avete lasciato spazio all’amore, pur indossando ancora le armi nel regno appena conquistato, in una regione non conosciuta e piena di inganni e di tradimenti, pur avendo tante preoccupazioni importanti, che non vi hanno consentito, tuttora,  di riposare. Vi direi che questo non è atto di un re magnanimo ma di un giovinetto meschino.
Oltre a ciò, dite che avete deciso di togliere le due figlie al povero cavaliere che, non solo vi ha ospitato con riguardo a casa sua, malgrado non ne avesse le possibilità,ma per onorarvi di più vi ha mostrato le figliuole quasi nude. Ha testimoniato così la fiducia che aveva in voi, credendo fermamente che foste un re, non un lupo rapace. Avete forse dimenticato che la violenza fatta alle donne da Manfredi vi ha aperto le porte di questo regno? Quale tradimento degno di eterno supplizio si potrebbe compiere più grande che togliere a colui che vi onora il suo onore, la sua speranza e la sua consolazione? Che si direbbe di voi , se lo faceste a lui? Pensate che sia una scusa sufficiente dire che lo avete fatto perché egli è ghibellino? La giustizia del re prevede ,forse,che coloro che ricorrono a lui siano trattati diversamente a seconda del partito cui appartengono?.
Vi ricordo, maestà, che grandissima gloria è aver vinto Manfredi, ma gloria ancora maggiore è vincere sé stesso.
Poiché dovete governare gli altri, vincete voi stesso e frenate questo desiderio, né vogliate guastare con questa macchia ciò che avete conquistato gloriosamente”.
Quelle parole colpirono l’animo del sovrano e tanto più lo turbarono perché sapeva che erano vere.
Perciò, dopo un lungo sospiro, disse “ Conte, sicuramente non potrei trovare nessun altro nemico che non ritenga debole e facile da vincere rispetto alla mia passione. Ma, sebbene l’affanno sia grande e la forza di cui ho bisogno inestimabile, le vostre parole mi hanno fatto comprendere che è opportuno che, prima che passino troppi giorni, io vi faccia vedere che, come so vincere gli altri, così so vincere me stesso”.
Pochi giorni dopo aver detto quelle parole ,il re ritornò a Napoli, sia per togliere a sé l’occasione di fare qualcosa di vile, sia per premiare il cavaliere dell’onore ricevuto da lui.
Sebbene gli fosse difficile donare ad altri ciò che sommamente desiderava per sé, decise di voler maritare le due giovani non come figlie di messer Neri, ma come sue. Diede loro una magnifica dote, con grande gioia del padre, e diede in sposa a messer Maffeo da Palizzi Ginevra la bella e Isotta la bionda a messer Guiglielmo della Magna, entrambi nobili cavalieri e baroni.
Infine, con grandissimo dolore ,se ne andò in Puglia e si impegnò in grandi fatiche ,tanto che spezzò le catene dell’amore e, per quanto gli rimase da vivere, si liberò di tale passione.
Forse vi erano coloro che dicevano che era cosa da poco per un re aver maritato due giovinette, ed era vero.
Ma era, invece, una grandissima cosa che un re innamorato avesse maritato ad un altro colei che egli stesso amava ,senza prendere del suo amore né foglia, né fiore, né frutto.
Così, dunque, magnificamente operò il re, premiando il cavaliere, onorando le giovinette e vincendo valorosamente sé stesso.
 



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