giovedì 17 settembre 2015

NONA GIORNATA - NOVELLA N.8

NONA GIORNATA – NOVELLA N.8

Biondello fa una beffa a Ciacco a proposito di un pranzo; della quale si vendica cautamente Ciacco, facendolo picchiare.

Tutti i componenti dell’allegra compagnia furono d’accordo nell’affermare che quello che Talano aveva veduto, mentre dormiva, non era un sogno, ma una visione, che si era avverata , senza che mancasse alcuna cosa.
Quando tutti tacquero, la regina ordinò alla Lauretta di continuare.
E la donna disse che, come tutti gli altri in quel giorno avevano preso spunto da cose già dette, così ella, prendendo spunto dalla vendetta dello studente, raccontata da Pampinea, avrebbe narrato di un’altra vendetta, molto pesante per chi la subì, anche se non tanto crudele.
Iniziò dicendo che vi era in Firenze un tale, da molti chiamato Ciacco, uomo ghiottissimo quanto nessun’altro mai.
Non avendo la possibilità di sostenere le spese che la sua ghiottoneria richiedeva, essendo un uomo garbato e pieno di spirito, cominciò a fare ,non l’uomo di corte, ma il motteggiatore, e a frequentare i ricchi ,che si dilettavano a mangiare cose buone.Con questi andava assai di frequente a pranzo e a cena, anche quando non era invitato.
Viveva, in quei tempi, in Firenze, uno di nome Biondello, piccoletto di persona, molto carino, pulitissimo, come una mosca, con una cuffia in capo, con una zazzaretta bionda, senza mai un capello fuori posto, il quale faceva lo stesso mestiere di Ciacco.
Egli, mentre era andato a comprare due lamprede per messer Vieri de’ Cerchi (capo del partito dei guelfi bianchi), fu visto da Ciacco, che gli chiese perché aveva comprato quel pesce.
Biondello gli rispose che lo aveva comprato per ordine di messer Corso Donati (capo del partito dei guelfi neri), che la sera prima aveva avuto in dono tre lamprede più belle di quelle e uno storione. Siccome doveva fare un pranzo per alcuni gentiluomini, erano poche, perciò gliene aveva fatte comprare altre due.
Gli chiese, poi, se andasse anch’egli.
Ciacco rispose “ Sai bene che verrò”.
Al momento opportuno ,Ciacco si presentò a casa di Corso Donati e lo trovò con alcuni vicini.
Corso gli chiese cosa andasse facendo e Ciacco gli rispose che era andato a mangiare con quella comitiva.
Corso gli diede il benvenuto e se ne andarono tutti insieme a pranzo.
A tavola furono serviti loro dei ceci e del tonno ed infine del pesce dell’Arno fritto, senza niente altro.
Il ghiottone, accortosi dell’inganno di Biondello; si adirò e si propose di fargliela pagare.
Pochi giorni dopo incontrò Biondello ,che aveva già raccontato a molti di quella beffa.
Biondello lo salutò e gli domandò come erano state le lamprede di messer Corso.
Ciacco gli rispose “Prima che passino otto giorni, tu me lo saprai dire meglio di me”.
Senza indugio, allontanatosi dal beffeggiatore, si recò da un imbroglione e stabilì il prezzo per uno scherzo.
Gli diede un bottiglione di vetro e lo condusse vicino alla loggia dei Cavicciuli. Gli mostrò un cavaliere, chiamato Filippo Argenti, uomo grande, grosso e forzuto, iracondo e bizzarro più di ogni altro.
Gli disse di andare da lui con il fiasco in mano e di dirgli “ Messere, mi manda Biondello per pregarvi di riempirlo del vostro buon vino vermiglio, perché si vuole divertire con i suoi amici ubriaconi”.
Gli raccomandò di non farsi mettere le mani addosso, perché Filippo gli avrebbe procurato un malanno, guastando tutti i programmi.Gli promise che l’avrebbe pagato al ritorno.
Il faccendiere andò e fece a messer Filippo l’ambasciata.
Messer Filippo , pensando che Biondello, da lui ben conosciuto, lo volesse beffare, adirato disse “ Che riempire il fiasco, che ubriaconi sono questi? Che Dio maledica te e lui”.
Si alzò in piedi e cercò di afferrare l’imbroglione che fuggì via, ritornò da Ciacco, che aveva visto tutto, e gli riferì ciò che messer Filippo aveva detto.
Ciacco, contento, pagò l’imbroglione e non si diede pace finché non ritrovò Biondello, al quale chiese se, per caso, fosse andato di recente alla loggia dei Cavicciuli. Aggiunse che sapeva che messer Filippo lo stava cercando, ma non sapeva per quale motivo.
Biondello si allontanò e Ciacco lo seguì per vedere come andassero le cose.
Messer Filippo non aveva potuto raggiungere il messaggero e si tormentava perché, come sembrava dalle parole riferitegli, Biondello si beffava di lui.
Mentre si tormentava, giunse Biondello.
Come Filippo lo vide, gli andò incontro e gli diede un gran pugno sul viso.
Biondello, sorpreso, gli chiese il perché di quel pugno.
Messer Filippo, presolo per i capelli, gli stracciò la cuffia dal capo, gli gettò il cappuccio a terra e lo colpì con violenza, dicendogli “ Traditore, mi mandi a dire di riempirti un fiasco del mio vino vermiglio perché ti devi divertire con i tuoi compagni ubriaconi? Ti sembro giovane da essere beffato?”.
E così dicendo, con dei pugni, che parevano di ferro, gli ruppe tutto il viso e non gli lasciò sul capo nemmeno un capello che stesse a posto; lo buttò nel fango e gli stracciò tutti i panni di dosso. E tanto si impegnò a colpirlo che lo sventurato non potè dire una sola parola, né chiedergli perché facesse ciò.
Biondello aveva ben capito le parole “ Arrubinatemi” e  “zanzeri” per cui Filippo si era infuriato, ma non sapeva che volesse dire.
Alla fine, dopo che Filippo si era sfogato, gli tolsero dalle mani il malcapitato, arruffato e malconcio, al quale spiegarono perché messer Filippo l’aveva colpito.
Biondello, piangendo, si scusava e diceva che non aveva mai mandato a chiedere del vino a messer Filippo.
Poi, dopo che si fu un po’ ripreso, triste e sconsolato, se ne tornò a casa, sospettando che fosse stata tutta opera di Ciacco.
Dopo molti giorni, scomparsi i lividi dal viso, cominciò ad uscire di casa e incontrò Ciacco che gli chiese  “Biondello, come ti è sembrato il vino di messer Filippo?”.
Biondello rispose “ Come sono sembrate a te le lamprede di messer Corso !”.
Allora Ciacco aggiunse “ Dipende da te ormai, qualora tu vuoi dare così bene da mangiare a me ,come facesti, io darò a te così bene da bere, come avesti”.
Biondello, che sapeva che contro Ciacco poteva più pensare che fare alcunchè, gli augurò buona fortuna e, da quel momemto in poi, si guardò bene dal beffarlo.



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