SETTIMA GIORNATA – NOVELLA N.3
Frate Rinaldo giace con la
comare; il marito lo trova in camera con lei e gli fanno credere che egli
incantava i vermi del figlioccio.
Le donne, sentendo Filostrato
parlare delle cavalle della Partia, risero, fingendo di ridere d’altro.
Appena la novella finì, il re
ordinò ad Elissa di continuare ed ella fu ben contenta di obbedire.
Cominciò dicendo che l’incantesimo
della Fantasima, narrato da Emilia, le aveva fatto ricordare una novella di un
altro incantesimo che, se non era bella come quella, pure le avrebbe divertite.
Proseguì narrando che in Siena,
qualche tempo prima, visse un giovane leggiadro e di onorevole famiglia, di
nome Rinaldo, che amava sommamente una sua vicina, assai bella, sposata con un
ricco uomo.
Sperando di poterle parlare senza
sospetto, poiché la donna era gravida, decise di diventare suo compare, divenne
, perciò ,amico del marito e si accordò con lui in tal senso. Dunque, divenuto
Rinaldo compare di madonna Agnese, cercò in tutti i modi di parlarle per farle
capire le sue intenzioni. La donna, udendolo, sorrise lusingata, senza nulla
concedere.
In seguito, qualunque ne fosse il
motivo, Rinaldo si fece frate, pur conservando l’amore che portava alla sua
comare e certe sue vanità. Infatti si dilettava di essere ben messo, di vestire
con buoni abiti, di essere in tutte le sue cose elegante e raffinato, di
comporre canzoni, sonetti e ballate e di cantare, soddisfatto di tutte quelle
cose e di altre simili.
Si parlava di frate Rinaldo ma, in
effetti, tutti i religiosi facevano così, disonorando il mondo con la loro
corruzione. Essi non si vergognavano di essere grassi, coloriti in viso,
raffinati negli abiti e nelle abitudini e danzavano tronfi e pettoruti, con la
cresta alzata, non come colombi ma come galli. E la cosa peggiore era che
(tralasciando il fatto che le loro celle erano piene di vasetti colmi di
unguenti, di scatole piene di dolciumi, di ampolle ed anforette con acque
colorate e oli, di botti di malvasia e di greco e di altri vini preziosissimi,
tanto che sembravano non celle di frati ma botteghe di speziali e di
profumieri) non si vergognavano che tutti sapessero che erano gottosi.
Pensavano che gli altri non
sapessero che, di solito, i digiuni, le vivande modeste e scarse e il vivere
sobriamente rendevano gli uomini magri e sani; se pure erano malati non si
ammalavano di gotta, che aveva come cura la castità e ogni altra cosa propria
di un frate modesto.
E ancora non credevano che gli
altri sapessero che, oltre alla vita povera, le veglie, la preghiera, la
disciplina rendevano gli uomini pallidi e smunti.
E i Domenicani e i Francescani
nemmeno sapevano che per cacciare il freddo non avevano bisogno di quattro
cappe ciascuno, né di abiti colorati e di panni morbidi, ma di vestiti fatti di
lana grossa e di colori naturali.
Avesse potuto Dio provvedere alle
loro necessità ,come faceva con le anime dei sempliciotti che le nutrivano
con le loro offerte.
Dunque, ritornato frate Rinaldo nei
pensieri di prima, cominciò a visitare spesso la sua comare e a farle proposte
sempre più insistenti.
La buona donna, vedendosi
sollecitare con insistenza, sembrandole il frate un bell’uomo, pensò di
concedergli ciò che egli chiedeva e, per provocarlo, gli chiese se i frati
facevano quelle cose.
Il frate prontamente rispose che se
si fosse levato la tonaca di dosso, le sarebbe sembrato un uomo come tutti gli
altri e non un frate.
La donna, ridendo, precisò che
purtroppo egli era suo compare e che fare l’amore con il compare, considerato
come un parente, era un peccato molto grave, non poteva , perciò,
accontentarlo.
Frate Rinaldo , allora, le disse “
Siete una sciocca ,se vi tirate indietro per questo. Non nego che sia peccato,
ma Iddio perdona anche i peccati più gravi a chi si pente. Del resto , chi è
più parente di vostro figlio? Io che lo tenni a battesimo o vostro marito che
lo generò?”
La donna, ovviamente, rispose che
era più parente il marito. E l’astuto frate continuò chiedendole se ella
giaceva con il marito. Alla risposta affermativa di lei, precisò che se ella
giaceva con il marito ,poteva giacere anche con lui, che era meno parente del
figlio.
La donna, che non era una filosofa,
o perché gli credette o perché fece finta di credergli, convinta da quei
discorsi, nonostante il comparatico, acconsentì ai piaceri del frate.
Iniziarono con cautela, poi,
protetti dal comparatico, si ritrovarono sempre più spesso insieme.
Una volta ,essendo frate Rinaldo
andato a casa di lei , la donna, vedendo che non c’era nessuno nei paraggi tranne
la sua servetta, una ragazza molto graziosa e piacevole, la mandò nella
colombaia insieme con il compagno del frate, a insegnarle il paternostro.
Poi, tenendo in braccio il
figlioletto, con il frate se ne andò nella sua camera, la chiuse e, sedutisi su
un divanetto, cominciarono a trastullarsi. Mentre stavano così, giunse il
compare e , senza che nessuno lo sentisse, arrivò fino alla camera, bussò e
chiamò la moglie.
La donna, sentendo la voce del marito, quasi
svenne dalla paura, temendo che egli potesse capire il motivo di tanta
familiarità.
Frate Rinaldo era svestito, senza
cappa e senza scapolare, in tonaca; temette che la donna potesse aprire e il
marito potesse trovarlo così. Ma la donna, astutamente, aveva già in mente un
piano. Lo fece rapidamente vestire, poi gli pose in braccio il figlioccio,
raccomandandogli di assecondarla in ciò che avrebbe detto.
Si avviò, infine, ad aprire al
marito che continuava a picchiare.
Aperta la porta, con viso sereno,
gli disse “Marito mio, certamente oggi Iddio mandò qui frate Rinaldo.
Certamente, se non fosse venuto, oggi avremmo perduto il nostro figlioletto”.
Quando lo stupidone udì ciò quasi svenne e
chiese il motivo.
La donna gli spiegò che il bambino
aveva avuto uno sfinimento, che ella aveva creduto che fosse morto e non sapeva
che cosa fare, né che cosa dire. Per fortuna era arrivato frate Rinaldo ,loro
compare, che lo aveva preso in braccio e aveva detto “ Comare, questi sono
vermini che ha nel corpo, i quali si avvicinano al cuore e lo ucciderebbero
certamente. Ma non abbiate paura, perché io farò un incantesimo e li farò
morire tutti e, prima che me ne vada, rivedrete il fanciullo sano come non lo
vedeste mai”.
La donna aveva mandato la serva a
cercare il marito che doveva dire certe orazioni, ma non lo aveva trovato.
Allora le aveva fatte dire al compagno del frate, nella colombaia, che era il
luogo più alto della casa, mentre ella e il frate erano entrati nella camera.
Poiché quel servizio lo poteva fare solo la madre del fanciullo, e, per non essere disturbati, avevano chiuso la
porta a chiave.
I frate teneva ancora il bambino in
braccio perché aspettava che tornasse il suo compagno, dopo aver detto le
orazioni e l’incantesimo fosse compiuto, come credeva, dato che il figlioletto
si era ripreso del tutto.
Lo stupidone credette a tutto ciò
che la moglie gli aveva detto, non sospettando alcun inganno, e, gettato un
gran sospiro, voleva andare a vedere. Ma la donna lo trattenne dicendo che
avrebbe potuto spezzare l’incantesimo. Sarebbe andata di persona e l’avrebbe chiamato appena
possibile.
Frattanto frate Rinaldo, che aveva
udito ogni cosa, si era rivestito ed aveva il bambino in braccio.
Come ebbe sistemato tutto , chiamò la comare
dicendo che aveva sentito arrivare il compare. Il frate lo fece entrare e gli
affidò il figliuolo ,sano e salvo per grazia di Dio.
Lo invitò, poi, a far porre una
statua di cera della grandezza del bambino davanti alla statua di
Sant’Ambrogio, in lode di Dio, per grazia ricevuta.
Il fanciullo, vedendo il padre gli
corse incontro e gli fece festa, come fanno tutti i bambini.
Il padre, come se lo avesse tirato
fuori dalla fossa, l’abbracciò e lo baciò e ringraziò il compare che l’aveva
guarito.
Il compagno del frate, che alla
servetta aveva insegnato ben più di quattro paternostri e le aveva donato una
borsetta fatta da una monaca, sua devota, aveva capito che lo stupidone era
nella camera della moglie.
Piano, piano si era reso conto di
come erano andate le cose. Vedendo che tutto era andato a buon fine, entrato
nella camera disse “ Frate Rinaldo, quelle quattro orazioni che mi diceste di
dire , le ho dette tutte”.
Il frate rispose che aveva fatto
bene perché, per l’arrivo del padre, dal canto suo, ne aveva potuto dire
soltanto due. Ma Dominedio, tra la fatica dell’uno e quella dell’altro, aveva
fatto la grazia e aveva fatto guarire il fanciullo.
Il sempliciotto fece portare buoni
vini e dolciumi e fece onore al suo compare ed al compagno, offrendo loro tutto
ciò di cui avevano desiderio. Poi li accompagnò fuori dalla casa e li affidò al
Signore.
Senza alcun indugio fece fare la
statua di cera e la fece collocare con le altre davanti all’immagine di
Sant’Ambrogio, non quello di Milano.
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