giovedì 22 gennaio 2015

SETTIMA GIORNATA - NOVELLA N.4

SETTIMA GIORNATA NOVELLA N.4

Tofano una notte chiude la moglie fuori di casa, ella non potendo rientrare malgrado le preghiere, finge di gettarsi in un pozzo, invece vi getta una gran pietra; Tofano esce di casa e corre là, ella se ne entra in casa e chiude lui fuori e, sgridandolo, lo insulta.

Il re, come sentì che la novella di Elissa era finita, senza indugio, si rivolse alla Lauretta invitandola a proseguire.
Ed ella incominciò col dire che grandi erano le forze di Amore, grandi i suoi accorgimenti, quali nessun filosofo e nessun artista avrebbe mai potuto pensare. La dottrina di chiunque altro era inferiore alla sua, come si poteva comprendere dalle cose fino ad allora mostrate. Ed ella voleva aggiungerne ancora una ,messa in atto da una donna umile, guidata da Amore.
Vi fu, dunque, in Arezzo un ricco uomo, chiamato Tofano. A costui fu data per moglie una bellissima donna ,il cui nome era Ghita. Egli divenne, senza motivo, follemente geloso di lei; della qual cosa ella si sdegnò moltissimo. Decise, perciò, di farlo morire del male del quale egli aveva paura , senza ragione, cioè di gelosia.
Essendosi accorta che un giovane, a suo giudizio, molto per bene, la desiderava, cominciò ad intendersi con lui, con discrezione.  Si erano già scambiati molte parole e le cose erano tanto avanti che bisognava soltanto passare dalle parole ai fatti; la donna pensò a come fare.
Sapendo che al  marito piaceva bere, astutamente lo sollecitò a farlo molto più spesso. Ogni volta che le piaceva lo spingeva a bere, fino ad ubriacarsi; quando lo vedeva ben ebbro, lo metteva a dormire e si incontrava con il suo amante.
Aveva tanta fiducia nell’ebbrezza del marito che, non solo aveva l’ardire di portarsi l’amante in casa, ma , addirittura, alcune volte se ne andava a dormire nella casa di lui, che non era molto lontana.
Le cose andarono avanti così per un certo tempo. Ad un certo punto il marito malvagio si accorse che ella, nello spingere lui a bere, non beveva mai. Sospettò, perciò, che la donna lo facesse ubriacare per poter fare il suo comodo, mentre era addormentato. E, volendo provare che ciò era vero, senza aver bevuto durante il giorno, la sera finse di essere l’uomo più ubriaco che fosse mai possibile, sia nel parlare che nei modi.
La donna, vedendo ciò, ritenendo che non fosse il caso di farlo bere di più, lo mise subito a dormire.
Fatto ciò, come era solita fare, uscita di casa, se ne andò alla casa del suo amante, dove rimase fino a mezzanotte.
Tofano, come non sentì più la donna, si alzò, andò alla porta , la chiuse dall’interno e si pose alla finestra, per attendere il ritorno di lei e palesarle che si era accorto delle sue macchinazioni.
Aspettò finché non ritornò la donna, la quale, trovandosi chiusa fuori, si rammaricò molto e tentò di aprire la porta con la forza.
Dopo aver sopportato per un po’ di tempo, Tofano disse “ Donna ,ti affatichi inutilmente, perché non potrai più tornare qui dentro. Torna dove sei stata fino ad ora. Sappi per certo che non tornerai qui finché non avrò informato di questa cosa i tuoi parenti e i vicini”.
La donna cominciò a pregarlo che le aprisse ,per amor di Dio, dicendo che non veniva da dove egli pensava, ma era andata a vegliare con una sua vicina, perché le notti erano lunghe ,non riusciva a dormire  e non voleva rimanere in casa da sola a vegliare.
Ma le preghiere non servivano a nulla perché quella bestia voleva che tutti gli aretini conoscessero la loro vergogna. La donna, vedendo che il pregare non le serviva, cominciò a minacciare che ,se non apriva, avrebbe fatto di lui l’uomo più malvagio tra i viventi.
Tofano le chiese che cosa gli voleva fare, ed ella, alla quale Amore aveva aguzzato l’ingegno, rispose che si sarebbe gettata in un pozzo, che era lì vicino. Chi l’avesse trovata là dentro morta, sicuramente avrebbe pensato che ce l’aveva gettata il marito, in stato di ubriachezza.. Così gli sarebbe toccato di fuggire, di perdere tutto ciò che aveva e di essere messo al bando ,oppure gli avrebbero  tagliata la testa come suo assassino, come meritava.
Non avendo smosso Tofano dalla sua sciocca idea, la moglie, chiedendo perdono a Dio per il dolore che l’uomo le provocava, si diresse verso il pozzo.
La notte era molto buia e nella via non si poteva distinguere un uomo dall’altro.
Presa una grandissima pietra ,che era vicino al pozzo, gridando “Iddio, perdonami”, la lasciò cadere nel pozzo.
La pietra, cadendo nell’acqua, fece un grandissimo rumore, udendo il quale, Tofano credette veramente che la moglie si fosse gettata nel pozzo.
Prese subito un secchio con una fune e, uscito di casa, corse al pozzo per aiutarla.
La donna che era nascosta presso l’uscio di casa, come lo vide correre al pozzo, entrò in casa e si chiuse dentro. Andata alla finestra, cominciò a dire che il vino si doveva annacquare quando uno lo beveva e non dopo.
Tofano, comprendendo che era stato giocato, tornò all’uscio e ,non potendo entrare, chiese alla moglie che gli aprisse. Ella, quasi gridando, cominciò a dire che non gli avrebbe aperto la porta quella notte, che non ne poteva più dei suoi modi da ubriacone. Voleva che ogni uomo vedesse chi era suo marito e a che ora ritornava a casa la notte.
Tofano, dal canto suo, cominciò a dire volgarità e a gridare, svegliando per il rumore tutti i vicini, che si alzarono e si affacciarono alle finestre per vedere che cosa fosse accaduto.
La donna, piangendo, spiegò che il marito la sera tornava sempre ubriaco a casa oppure si addormentava nelle taverne tornando a casa a notte fonda. Ella aveva a lungo sofferto di ciò, non aveva ottenuto alcun miglioramento e non poteva più sopportare tale situazione. Allora l’aveva chiuso fuori di casa per vedere se otteneva qualcosa.
Tofano bestia continuava, gridando, a dire come erano andati i fatti e a minacciarla.
La donna ,da parte sua, diceva con i vicini “Vedete che razza di uomo è. Che direste voi se io fossi nella strada ed egli in casa ,come me ora? Credereste che egli dica il vero? Egli dice che io ho fatto quello che credo che egli abbia fatto. Credette di spaventarmi gettando non so che cosa nel pozzo, ma volesse Iddio che ci si fosse gettato per davvero e affogato, sicché il vino ,che ha bevuto di soperchio, si fosse ben bene annacquato”.
I vicini, sia gli uomini che le donne, cominciarono a rimproverare Tofano e a dare la colpa a lui di ciò che diceva contro la donna.
La notizia, in breve, andò di bocca in bocca finché non giunse ai parenti della donna, i quali presero Tofano e gli dettero tante botte che lo ammaccarono tutto. Poi, andati nella casa di Tofano, presero le cose della donna e con lei ritornarono a casa loro, minacciando il malcapitato.
Tofano, vedendosi mal ridotto, considerando dove l’aveva portato la gelosia, siccome voleva molto bene alla sua donna, mise alcuni amici come mediatori.
Tanto fece che riebbe a casa sua la moglie, alla quale promise che non sarebbe stato geloso mai più.
Le diede, inoltre, il permesso di fare tutto ciò che volesse, ma con prudenza, in modo che egli non se ne accorgesse.
E così, come il villano matto, dopo il danno fece il patto.
E la narratrice concluse inneggiando all’amore e all’allegra brigata.







2 commenti: