QUINTA GIORNATA – NOVELLA N.2
Gostanza ama Martuccio Comito,.
Ella, udendo che era morto, disperata e sola, si mette su una barca ed è
trasportata dal vento in Susa; ritrovatolo vivo a Tunisi, si fa riconoscere; ed
egli, divenuto importante per aver dato consigli al re, la sposa e, ricco, con
lei se ne torna a Lipari.
La regina, dopo aver commentato la
novella di Panfilo, fece cenno ad Emilia di proseguire con la narrazione di
un’altra novella.
Ed ella incominciò dichiarando che
era ben lieta di obbedire alla regina che chiedeva di parlare di amori che
portavano piacere e non dolore, diversamente da quelli della giornata
precedente.
Vicino alla Sicilia c’era
un’isoletta chiamata Lipari, dove, non molto tempo addietro, viveva una
bellissima giovane, di nome Gostanza, nata da una famiglia nobile dell’isola.
Di lei si innamorò un bel giovane
valoroso, nativo dell’isola, chiamato Martuccio Gomito.
Anch’ella amava con uguale passione
Martuccio e si sentiva bene solo quando lo vedeva.
Il giovane, desiderando sposarla,
la fece chiedere in moglie al padre di lei, che gliela rifiutò perché era
povero.
Martuccio, sdegnato per il rifiuto,
giurò che non sarebbe mai più ritornato a Lipari ,se non ricco.
Partì, dunque, da Lipari, divenne
corsaro e ,costeggiando la Tunisia, derubò i naviganti più deboli.
La Fortuna gli fu favorevole, se
avesse saputo accontentarsi.
Egli e i suoi compagni, non
contenti delle ricchezze accumulate, mentre cercavano di diventare straricchi,
furono catturati e derubati da alcune navi saracene. Molti di loro furono
uccisi e la nave fu affondata.
Martuccio fu condotto a Tunisi e fu
imprigionato, vivendo in grande miseria.
A Lipari giunse la notizia che
tutti quelli che erano sulla nave con Martuccio erano stati annegati.
La giovane, avuta la triste
notizia, pensando che il suo amore era annegato, decise di darsi una morte
insolita. Uscita di notte dalla casa del padre, trovò, per caso, una navicella
di pescatori fornita di remi e di vela, un po’ separata dalle altre. Salita su
di essa, si spinse in mare con i remi, abbastanza esperta della navigazione,
come lo erano tutte le donne dell’isola. Poi gettò via i remi e il timone,
abbandonandosi al vento.
Sicura di sfracellarsi contro uno
scoglio e morire si mise a giacere nel fondo della barca, coprendosi il capo
con un mantello.
Ma le cose andarono diversamente;
il giorno seguente ,al Vespro, reggendo bene, la barca la portò a cento miglia
oltre Tunisi, in una spiaggia vicina alla città di Susa.
La giovane non si accorse di nulla
e rimase sul fondo della barca, col capo coperto, pensando di essere morta.
Per caso, quando la barca urtò
contro la spiaggia, levava dal sole le reti dei pescatori una donna umile, che
si meravigliò che la barca fosse giunta a terra con le vele spiegate. Pensò che
i marinai si fossero addormentati, si avvicinò alla barca e vide soltanto la
giovane che dormiva profondamente.
La chiamò più volte, per farla
svegliare, capì che era cristiana perché parlava italiano e le chiese come era
arrivata fin lì, sola soletta.
Gostanza, sentendo parlare
italiano, credette di essere ritornata a Lipari, ma, non riconoscendo le
strade, domandò alla donna dove fosse. Ella rispose che era a Susa, in Tunisia.
La fanciulla, dolente perché non
era morta, si sedette, piangendo, vicino alla barca.
Solo dopo molte insistenze la buona
donna riuscì a farsi raccontare tutta la storia e a farle mangiare un po’ di
cibo, dato che era digiuna. Gostanza, rifocillatasi, le chiese il suo nome e
come mai aveva imparato l’italiano.
La donna rispose che veniva da
Trapani e il suo nome era Carapresa. Il
nome udito sembrò a Gostanza di buon auspicio e, scomparso il suo desiderio di
morte, senza dare informazioni su di sé, pregò la donna di darle consigli per
evitare le offese.
Carapresa, messe a posto le reti,
coperta Gostanza col mantello, la condusse a Susa, da una buona donna saracena
all’antica e di buona indole, sicura che l’avrebbe accolta come una figlia. Lì
si sarebbe potuta trattenere fino a quando Dio non le avesse mandato una sorte
migliore.
La donna, ormai vecchia, commossa
per il triste racconto, prese Gostanza per mano e la condusse nella sua casa,
dove viveva con diverse donne, senza alcun uomo.
Le donne facevano, con le proprie
mani, diversi lavori di seta, di palma, di cuoio. La giovane imparò rapidamente
e cominciò a lavorare insieme a loro e, trattata con grande affetto dalla
padrona di casa, in breve, apprese anche il loro linguaggio.
Frattanto, mentre a Lipari Gostanza
era creduta morta, ed era re di Tunisi Meriabdela ,un giovane di Granata,
potente e nobile , dicendo che il reame di Tunisi apparteneva a lui, con un
grande esercito, attaccò il re di Tunisi per cacciarlo dal suo regno.
Martuccio Gomito, in prigione, udì
queste cose e disse ai suoi compagni che, se avesse potuto parlare con il re,
gli avrebbe dato un consiglio che
gli avrebbe fatto vincere la guerra.
La guardia riferì immediatamente la
cosa al re che fece chiamare Martuccio per sentire il suo consiglio.
Martuccio ben conosceva il modo di
combattere dei saraceni, che conducevano le battaglie utilizzando soprattutto
gli arcieri . Perciò spiegò al re che bisognava fare in modo che agli avversari
mancassero le saette, mentre i suoi arcieri ne dovevano avere in abbondanza. In
questo modo si poteva vincere la battaglia.
E continuò dicendo che bisognava
fare, per gli archi degli arcieri, corde più sottili di quelle che comunemente
si usavano, con le cocche adatte soltanto alle corde sottili. Consigliò di fare
tutto segretamente. Dopo il lancio degli arcieri nemici e quello dei propri, al
momento di raccogliere le frecce, i nemici non avrebbero potuto utilizzare le
frecce degli arcieri del re ,mentre essi avrebbero avuto saette abbondanti.
Al re il consiglio di Martuccio
piacque molto, lo seguì e vinse la guerra, grato rese onori e ricchezze al
giovane.
La notizia di questi avvenimenti
giunse a Gostanza che, per lungo tempo, aveva creduto morto Martuccio Gomito.
Ella comunicò alla buona donna che
la ospitava di voler andare a Tunisi per vedere, con i propri occhi,
come stavano le cose. La donna ,
imbarcatasi con la giovane, come se fosse stata sua madre, andò a Tunisi a casa
di una parente, dove fu ricevuta
onorevolmente. Subito mandò Carapresa
,che era andata con loro, da Martuccio e gli disse che con lei a Tunisi era
venuta anche la sua Gostanza.
Il giovane, lieto per la buona
notizia, si recò con lei alla casa dove era ospitata Gostanza.
La fanciulla, come lo vide, quasi
morì per la gioia; gli corse incontro, gli buttò le braccia al collo e, senza
parole, cominciò a piangere.
Martuccio, sorpreso, rimase un po’
in silenzio ,poi, sospirando , disse “Gostanza mia, sei viva? Per molto tempo
ti ho creduta morta e anche a casa tua non si sapeva niente di te”.
Poi l’abbracciò e la baciò
teneramente. Gostanza gli raccontò le sue avventure e l’onore che aveva
ricevuto dalla gentildonna, che l’aveva accolta nella sua casa.
Martuccio, allontanatosi , andò dal
suo signore, gli raccontò tutto e gli chiese il permesso di sposarla secondo la
religione cristiana.
Il re fece portare molti doni per i
due innamorati e li lasciò liberi di fare ciò che volevano.
Martuccio compensò con molti doni
la gentildonna che aveva accolto Gostanza. Poco dopo la donna partì, salutata
dalla giovane in lacrime.
Poi, con il permesso del re, saliti
sopra una navicella, portando con loro Carapresa, se ne ritornarono a Lipari,
dove furono accolti con grandi feste.
A Lipari il giovane sposò la sua
donna con grandi nozze e da quel giorno vissero insieme in pace, godendo del
loro amore.
Sas
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