giovedì 31 luglio 2014

QUINTA GIORNATA - NOVELLA N.2

QUINTA GIORNATA – NOVELLA N.2

Gostanza ama Martuccio Comito,. Ella, udendo che era morto, disperata e sola, si mette su una barca ed è trasportata dal vento in Susa; ritrovatolo vivo a Tunisi, si fa riconoscere; ed egli, divenuto importante per aver dato consigli al re, la sposa e, ricco, con lei se ne torna a Lipari.

La regina, dopo aver commentato la novella di Panfilo, fece cenno ad Emilia di proseguire con la narrazione di un’altra novella.
Ed ella incominciò dichiarando che era ben lieta di obbedire alla regina che chiedeva di parlare di amori che portavano piacere e non dolore, diversamente da quelli della giornata precedente.
Vicino alla Sicilia c’era un’isoletta chiamata Lipari, dove, non molto tempo addietro, viveva una bellissima giovane, di nome Gostanza, nata da una famiglia nobile dell’isola.
Di lei si innamorò un bel giovane valoroso, nativo dell’isola, chiamato Martuccio Gomito.
Anch’ella amava con uguale passione Martuccio e si sentiva bene solo quando lo vedeva.
Il giovane, desiderando sposarla, la fece chiedere in moglie al padre di lei, che gliela rifiutò perché era povero.
Martuccio, sdegnato per il rifiuto, giurò che non sarebbe mai più ritornato a Lipari ,se non ricco.
Partì, dunque, da Lipari, divenne corsaro e ,costeggiando la Tunisia, derubò i naviganti più deboli.
La Fortuna gli fu favorevole, se avesse saputo accontentarsi.
Egli e i suoi compagni, non contenti delle ricchezze accumulate, mentre cercavano di diventare straricchi, furono catturati e derubati da alcune navi saracene. Molti di loro furono uccisi e la nave fu affondata.
Martuccio fu condotto a Tunisi e fu imprigionato, vivendo in grande miseria.
A Lipari giunse la notizia che tutti quelli che erano sulla nave con Martuccio erano stati annegati.
La giovane, avuta la triste notizia, pensando che il suo amore era annegato, decise di darsi una morte insolita. Uscita di notte dalla casa del padre, trovò, per caso, una navicella di pescatori fornita di remi e di vela, un po’ separata dalle altre. Salita su di essa, si spinse in mare con i remi, abbastanza esperta della navigazione, come lo erano tutte le donne dell’isola. Poi gettò via i remi e il timone, abbandonandosi al vento.
Sicura di sfracellarsi contro uno scoglio e morire si mise a giacere nel fondo della barca, coprendosi il capo con un mantello.
Ma le cose andarono diversamente; il giorno seguente ,al Vespro, reggendo bene, la barca la portò a cento miglia oltre Tunisi, in una spiaggia vicina alla città di Susa.
La giovane non si accorse di nulla e rimase sul fondo della barca, col capo coperto, pensando di essere morta.
Per caso, quando la barca urtò contro la spiaggia, levava dal sole le reti dei pescatori una donna umile, che si meravigliò che la barca fosse giunta a terra con le vele spiegate. Pensò che i marinai si fossero addormentati, si avvicinò alla barca e vide soltanto la giovane che dormiva profondamente.
La chiamò più volte, per farla svegliare, capì che era cristiana perché parlava italiano e le chiese come era arrivata fin lì, sola soletta.
Gostanza, sentendo parlare italiano, credette di essere ritornata a Lipari, ma, non riconoscendo le strade, domandò alla donna dove fosse. Ella rispose che era a Susa, in Tunisia.
La fanciulla, dolente perché non era morta, si sedette, piangendo, vicino alla barca.
Solo dopo molte insistenze la buona donna riuscì a farsi raccontare tutta la storia e a farle mangiare un po’ di cibo, dato che era digiuna. Gostanza, rifocillatasi, le chiese il suo nome e come mai aveva imparato l’italiano.
La donna rispose che veniva da Trapani e il suo nome era  Carapresa. Il nome udito sembrò a Gostanza di buon auspicio e, scomparso il suo desiderio di morte, senza dare informazioni su di sé, pregò la donna di darle consigli per evitare le offese.
Carapresa, messe a posto le reti, coperta Gostanza col mantello, la condusse a Susa, da una buona donna saracena all’antica e di buona indole, sicura che l’avrebbe accolta come una figlia. Lì si sarebbe potuta trattenere fino a quando Dio non le avesse mandato una sorte migliore.
La donna, ormai vecchia, commossa per il triste racconto, prese Gostanza per mano e la condusse nella sua casa, dove viveva con diverse donne, senza alcun uomo.
Le donne facevano, con le proprie mani, diversi lavori di seta, di palma, di cuoio. La giovane imparò rapidamente e cominciò a lavorare insieme a loro e, trattata con grande affetto dalla padrona di casa, in breve, apprese anche il loro linguaggio.
Frattanto, mentre a Lipari Gostanza era creduta morta, ed era re di Tunisi Meriabdela ,un giovane di Granata, potente e nobile , dicendo che il reame di Tunisi apparteneva a lui, con un grande esercito, attaccò il re di Tunisi per cacciarlo dal suo regno.
Martuccio Gomito, in prigione, udì queste cose e disse ai suoi compagni che, se avesse potuto parlare con il re,
gli avrebbe dato un consiglio che gli avrebbe fatto vincere la guerra.
La guardia riferì immediatamente la cosa al re che fece chiamare Martuccio per sentire il suo consiglio.
Martuccio ben conosceva il modo di combattere dei saraceni, che conducevano le battaglie utilizzando soprattutto gli arcieri . Perciò spiegò al re che bisognava fare in modo che agli avversari mancassero le saette, mentre i suoi arcieri ne dovevano avere in abbondanza. In questo modo si poteva vincere la battaglia.
E continuò dicendo che bisognava fare, per gli archi degli arcieri, corde più sottili di quelle che comunemente si usavano, con le cocche adatte soltanto alle corde sottili. Consigliò di fare tutto segretamente. Dopo il lancio degli arcieri nemici e quello dei propri, al momento di raccogliere le frecce, i nemici non avrebbero potuto utilizzare le frecce degli arcieri del re ,mentre essi avrebbero avuto saette abbondanti.
Al re il consiglio di Martuccio piacque molto, lo seguì e vinse la guerra, grato rese onori e ricchezze al giovane.
La notizia di questi avvenimenti giunse a Gostanza che, per lungo tempo, aveva creduto morto Martuccio Gomito.
Ella comunicò alla buona donna che la ospitava di voler andare a Tunisi per vedere, con i propri occhi,
come stavano le cose. La donna , imbarcatasi con la giovane, come se fosse stata sua madre, andò a Tunisi a casa di una  parente, dove fu ricevuta onorevolmente. Subito  mandò Carapresa ,che era andata con loro, da Martuccio e gli disse che con lei a Tunisi era venuta anche la sua Gostanza.
Il giovane, lieto per la buona notizia, si recò con lei alla casa dove era ospitata Gostanza.
La fanciulla, come lo vide, quasi morì per la gioia; gli corse incontro, gli buttò le braccia al collo e, senza parole, cominciò a piangere.
Martuccio, sorpreso, rimase un po’ in silenzio ,poi, sospirando , disse “Gostanza mia, sei viva? Per molto tempo ti ho creduta morta e anche a casa tua non si sapeva niente di te”.
Poi l’abbracciò e la baciò teneramente. Gostanza gli raccontò le sue avventure e l’onore che aveva ricevuto dalla gentildonna, che l’aveva accolta nella sua casa.
Martuccio, allontanatosi , andò dal suo signore, gli raccontò tutto e gli chiese il permesso di sposarla secondo la religione cristiana.
Il re fece portare molti doni per i due innamorati e li lasciò liberi di fare ciò che volevano.
Martuccio compensò con molti doni la gentildonna che aveva accolto Gostanza. Poco dopo la donna partì, salutata dalla giovane in lacrime.
Poi, con il permesso del re, saliti sopra una navicella, portando con loro Carapresa, se ne ritornarono a Lipari, dove furono accolti con grandi feste.
A Lipari il giovane sposò la sua donna con grandi nozze e da quel giorno vissero insieme in pace, godendo del loro amore.   






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