OTTAVA
GIORNATA – NOVELLA N.9
Maestro
Simone ,medico, per diventare componente di una brigata che va in corso,
mandato una notte in un luogo, viene gettato da Buffalmacco in una fogna e
lasciato lì.
Dopo che le
donne ebbero commentato il mettere in comune le mogli, fatto dai due senesi, la
regina, che sola doveva narrare prima di Dioneo, incominciò dicendo che
Spinelloccio aveva tratto un buon guadagno dalla beffa fattagli dal Zeppa. Ella
intendeva parlare di uno che se l’andò a cercare e riteneva che quelli che lo
beffarono fossero più da elogiare che da biasimare.
La beffa fu
fatta ad un medico che tornò a Firenze da Bologna; essendo una bestia, tornò
tutto coperto da pelli di scoiattolo (un pellicione).
Come accadeva
ancora ai loro tempi, i cittadini di Firenze andavano all’Università di Bologna
e ritornavano chi giudice, chi medico e chi notaio, con abiti lunghi, larghi,
scarlatti, con pellicce, di grande apparenza.
Tra questi, non
molto tempo prima, un maestro ,Simone da Villa, più ricco di beni paterni che
di intelligenza, ritornò vestito di scarlatto, con un gran cappuccio, dottore
in medicina, come egli stesso diceva, e prese casa in quella che era chiamata
via del Cocomero.
Il maestro
Simone aveva l’abitudine di chiedere a chi l’accompagnava notizie su tutti gli
uomini che passavano davanti a lui. Tra questi volse l’attenzione su due
pittori di cui si era già parlato nelle giornate precedenti: Bruno e
Buffalmacco, che stavano sempre insieme ed erano suoi vicini. Gli sembrava che
essi non si curassero degli altri e vivessero più lieti.
Chiese ,allora,
informazioni su di loro. Gli venne riferito che erano poveri uomini e pittori.
Si convinse che,
essendo uomini astuti, dovevano trarre grandissimi profitti da qualche cosa non
conosciuta da nessuno, perché non era possibile vivere così lietamente nella
povertà.
Gli venne,
dunque, il desiderio di diventare amico di entrambi o almeno di uno dei due.
Ebbe
l’opportunità di diventare amico di Bruno che, dopo poche volte che era stato
con lui, comprese che era un animale e cominciò a divertirsi alle sue
stupidate.
Il medico ebbe
gran piacere di quella amicizia , lo invitò alcune volte a pranzo e, credendo
di essergli diventato amico, gli disse che si meravigliava che egli e
Buffalmacco ,pur essendo poveri, vivessero lietamente e lo pregò di insegnargli
come facessero.
A Bruno la
domanda del medico sembrò sciocca, come tutte le cose che quello diceva;
cominciò a ridere , pensò di rispondergli come conveniva alla sua stupidità e
disse “ Maestro,posso dirlo solo a voi perché mi siete amico e a nessun altro.
E’ vero che io e il mio amico viviamo il più lietamente possibile, né ricaviamo
alcun profitto dalla nostra arte, e da ciò che traiamo da alcuni nostri
possedimenti non potremmo ricavare neanche l’acqua che consumiamo. Neppure
voglio dire che andiamo a rubare, ma noi andiamo in corso, da ciò ricaviamo
tutto ciò che ci dà diletto e ciò di cui abbiamo bisogno, senza danneggiare
nessuno. Da questo viene il nostro vivere lieto, che voi vedete”.
Il medico,
incuriosito, credendo alle parole di Bruno, fu preso da un grandissimo
desiderio di sapere che cosa fosse l’andare in corso e promise che non
l’avrebbe detto a nessuno.
Bruno disse “
Oimè, maestro, che cosa mi chiedete ? E’ un segreto troppo grande, se altri lo
sapessero, io potrei morire, essere cacciato dal mondo e finire nella bocca del
lucifero del San Gallo. Ma, per l’amore che porto alla vostra credulità, come
un melone da Legnaia, e alla fiducia che ho in voi, non posso negarvi nulla. Ve
lo dirò, a patto che mi giuriate sulla croce del monastero di Montesone che non
lo direte mai a nessuno”.
Il maestro promise.
Disse Bruno “
Mio dolce maestro, dovete sapere che , non molto tempo fa, visse in questa
città un gran maestro di negromazia, di nome Michele Scotto, perché proveniva
dalla Scozia, e ricevette grandi onori da molti gentiluomini, di cui pochi sono
ancora vivi. Egli decise di partire, ma, su loro richiesta, lasciò a Firenze
due discepoli molto esperti, ai quali ordinò di fare tutti ciò che i
gentiluomini fiorentini avessero chiesto.
Costoro facevano
per loro certi incantesimi per gli innamoramenti ed altre cosette.
Poi, trovandosi
bene in città, decisero di volervi rimanere per sempre..
Per questo
strinsero grandi amicizie con alcuni che avevano costumi simili a loro, senza
guardare se fossero nobili o non nobili, ricchi o poveri. Per compiacere questi
amici formarono una brigata di circa venticinque uomini, i quali si dovevano
incontrare almeno due volte al mese, in un luogo prestabilto. Stando lì, ognuno
esprimeva un desiderio ed essi lo esaudivano rapidamente nella notte.
Essendo molto
amici di due di loro, Buffalmacco ed io fummo introdotti in tale brigata e ci
siamo tuttora.
E vi posso dire
che quando ci incontriamo è una cosa meravigliosa vedere i tendaggi della sala
dove mangiamo e le tavole regalmente apparecchiate e la grande quantità di
servitori, sia maschi che femmine, pronti ad obbedire, e le brocche, i fiaschi,
le coppe e tutto l’altro vasellame d’oro e d’argento, in cui mangiamo e
beviamo. Non vi dico le bevande sopraffine che ci vengono servite e le musiche
e i canti che si odono e la cera che si arde e i dolciumi e i vini pregiati che
si consumano. E, mio caro zuccone, non dovete credere che noi siamo vestiti con
questi abiti, ma ognuno è vestito in maniera così raffinata che pare un
imperatore.
Ma sopra tutti i
piaceri vi è quello delle belle donne, le quali, come un uomo vuole, sono
condotte lì da tutto il mondo. Potreste vedere lì la donna dei barbanicchi, la
regina dei baschi, la moglie del sultano, l’imperatrice d’Osbech, la
ciancianfera di Norrueca, la semistante di Berlinzone e la scalpedera di
Narsia. E che vi sto elencando, vi sono tutte le regine del mondo, fino alla
schinchimurra del Prete Giovanni .Vedi un po’ che cosa straordinaria.
Dopo che hanno
bevuto e mangiato dolciumi, fatte una o due danze, ciascuna se ne va nella sua
camera, con colui che l’ha richiesta. E quelle camere sono così belle che
sembrano un paradiso, profumate di spezie più della vostra bottega. E i letti
dove vanno a riposare sono più belli di quelli del doge di Venezia.
Vi lascio
immaginare come tessono bene le loro trame.
Tra quelli che
stanno meglio ci siamo io e Buffalmacco, perché egli fa venire spesso per sé la
regina di Francia, ed io per me quella d’Inghilterra, che sono le donne più
belle del mondo. E abbiamo saputo fare così bene che hanno occhi soltanto per
noi. Potete pensare come dobbiamo essere lieti noi che abbiamo l’amore di due
regine. Qesta cosa noi la chiamiamo volgarmente andare in corso, perché noi
facciamo come i corsari, che prendono la roba di ogni uomo. Ma siamo differenti
da loro in quanto essi non la restituiscono, mentre noi la restituiamo dopo che
l’abbiamo adoperata.
Ora ,mio caro
maestro, avete ben capito cosa significa andare in corso ed anche perché ciò
che vi dico deve rimanere segreto”.
Il maestro che
era tanto ignorante che sapeva medicare solo i fanciulli con la crosta lattea,
credette a tutto ciò che Bruno aveva detto e gli venne il desiderio fortissimo
di entrare a far parte di quella brigata.
A Bruno, dunque,
rispose che non c’era da meravigliarsi se erano così lieti e si ripromise di
chiedergli di farlo entrare nella brigata, dopo aver aumentato l’amicizia.
Cominciò,
quindi, ad invitarlo a casa sua ,a pranzo e a cena, di sera e di mattina ,e a
mostrargli grande amore. Tanta era la loro familiarità che sembrava che il
maestro non potesse ,né sapesse vivere senza Bruno.
Bruno, per non
sembrare ingrato, aveva dipinto nella sala del medico un’immagine della
Quaresima e un agnusdei (agnello di Dio) all’ingresso della sua camera e, sopra
l’uscio della casa, un orinale, affinchè chiunque avesse bisogno di cure
potesse distinguere la casa del medico dalle altre.
Su un terrazzino
aveva dipinto la battaglia dei topi e delle gatte, che era piaciuta molto al
maestro.
Spesso, dopo
aver cenato con lui, gli diceva che la notte precedente era stato con la
brigata e , non desiderando troppo stare con la regina d’Inghilterra, si era
fatto chiamare la gumedra del gran can d’Altarisi.
Il maestro
chiedeva che voleva dire gumedra e precisava che non si intendeva di quei nomi.
E Bruno diceva
che non si meravigliava affatto perché aveva sentito che a lui Porcograsso
(Ippocrate) e Vannaccena (Avicenna) non dicevano nulla.
Il maestro lo
correggeva “ Tu vuoi dire Ipocrasso e Avicena”. E Bruno rispondeva che non
conosceva bene i nomi da lui usati e viceversa. Ad esempio nella lingua del
gran can gumedra voleva dire imperatrice nella loro. E, sicuramente, quella
bella donnaccia gli avrebbe fatto dimenticare medicine, rimedi e impiastri.
Una sera ,mentre reggeva il lume a Bruno che
dipingeva la battaglia dei topi e delle gatte, il maestro gli disse che,
avendogli parlato della brigata, gli aveva fatto nascere un così grande
desiderio di far parte di essa, che non aveva mai tanto desiderato nessun’altra
cosa. Voleva che andasse lì la più bella fanciulla che aveva visto l’anno prima
a Cacavincigli, alla quale voleva un gran bene, e le voleva dare dieci monete
d’argento, affinchè acconsentisse a stare con lui; ma lei non aveva accettato.
Lo pregava
d’insegnargli che cosa doveva fare per poter far parte della brigata e di
impegnarsi a inserirlo nella compagnia, perché sarebbe stato un compagno
onorevole. Infatti era un bell’uomo, con gambe salde e un viso che pareva una
rosa e, oltre a ciò, era un dottore in medicina , non ce ne era nessuno nella
brigata, e sapeva raccontare storie e cantare canzonette e, per dimostrarlo,
cominciò a cantare. Terminata la canzone, chiese a Bruno che gliene pareva.
Bruno aveva una gran voglia di ridere, udendo il goffo canto .
Il maestro
continuò con le sue vanterie dicendo che il padre era stato un gentiluomo,
sebbene stesse in campagna, e per parte di madre proveniva da Vallecchio. Aveva
libri ed altre cose più belle di ogni altro medico di Firenze. Aveva roba che
era costata circa cento monete d’argento, da più di dieci anni.
Lo pregava,
dunque, di farlo entrare nella brigata e gli prometteva che se si fosse
ammalato l’avrebbe curato, senza chiedergli denaro.
Bruno, udendo
ciò, pensò che fosse un lavaceci, stupidone, e ribattè che gli avrebbe risposto
dopo aver dipinto le code dei topi.
Dipinte le code,
fingendo che la richiesta gli pesasse molto, disse “ Maestro mio, so che
fareste per me tutte le cose che mi avete detto. La cosa che mi chiedete, se a
voi pare di poco conto, per me è grandissima ed io non la farei per nessuno al mondo.
Ma l’amore che ho per voi, che mi parete saggio, e le vostre parole piene di
senno mi inducono ad accontentarvi, anche se non posso fare tutte le cose che
immaginate. Se mi credete vi darò il modo di ottenere ciò che desiderate, e
sono sicuro che ci riuscirete, avendo bei libri ed altre cose , come mi avete
detto”.
Il maestro
garantì che avrebbe saputo mantenere il segreto e precisò che era stato l’uomo
di fiducia di messer Gasparuolo da Saliceto, giudice del podestà di
Forlimpopoli. Ed era stato il primo uomo a cui il giudice aveva detto che stava
per sposare la Bergamina.
Bruno rispose
che, se si era fidato Guasparuolo, si poteva fidare anch’egli. Gli spiegò che
la loro brigata aveva sempre un capitano e due consiglieri che cambiavano ogni
sei mesi. Senza dubbio il primo del mese successivo sarebbe diventato capitano
Buffalmacco ed egli consigliere. Chi era capitano poteva mettere nella brigata
chi volesse, perciò era opportuno che il medico diventasse amico di Buffalmacco
e lo onorasse. Poi poteva chiedergli quello che desiderava, chè sicuramente
Buffalmacco l’avrebbe accontentato.
Il maestro
assicurò che avrebbe fatto tutto ciò che Bruno gli aveva consigliato ed avrebbe
usato tutto il suo senno, che ne aveva tanto da poterne fornire a tutta la
città.
Bruno riferì
ogni cosa a Buffalmacco che non vedeva l’ora di fare ciò che il maestro
chiedeva.
Il medico ,che
desiderava oltremodo di andare in corso, divenne amico di Buffalmacco, cominciò
a fargli delle belle cene e dei bei pranzi.
I due bricconi
si divertivano un mondo e mangiavano ottimamente e bevevano ottimi vini, stando
sempre a casa del maestro.
Dopo un po’ di
tempo lo stupidone fece a Buffalmacco le richieste che aveva già fatto a Bruno.
Al che il giovane si mostrò molto turbato e gridò molto contro Bruno che aveva
riferito al maestro cose che dovevano rimanere segrete. Dopo molte discussioni
si rappacificarono.
Buffalmacco,
rivolto al maestro, disse “ Maestro mio, stando a Bologna avete imparato a
mantenere i segreti , ed avete imparato ad insegnare l’abicì ai fanciulli,
scrivendo le lettere non su una mela, come fanno gli sciocchi, ma su un melone,
che è più lungo, e siete stato battezzato di domenica senza sale, se non
sbaglio. Come Bruno mi ha detto, studiando medicina a Bologna, imparaste a conquistare
gli uomini col vostro senno e le vostre novelle”.
Il medico,
interrompendolo, si complimentò con lui perché aveva subito compreso ciò che
voleva. Continuò dicendo che se Buffalmacco fosse stato con lui a Bologna,
avrebbe visto che non c’era nessuno,né grande, né piccolo, né dottore, né
studente, che non fosse stato soddisfatto del suo modo di ragionare e del suo
senno.
Tutti si
divertivano udendolo e, quando se ne partì, piangevano e non volevano lasciarlo
andare. Volevano che egli solo facesse lezione agli studenti della facoltà di
medicina. Ma era voluto ritornare a Firenze per le grandi ricchezze che la sua
famiglia possedeva.
Bruno,
rivolgendosi all’amico, disse “ Che te ne pare? Per il Vangelo, hai mai visto
tu ,da qui a Parigi, uno che si intenda di orina d’asino più di costui? Devi
fare oggi tutto ciò che ti chiede”.
Buffalmacco,
fingendosi meravigliato per la grande sapienza del medico, garantì che avrebbe
fatto tutto ciò che era in suo potere per farlo entrare nella loro brigata.
Dopo quella
promessa il medico moltiplicò le attenzioni e gli onori verso i due che,
divertendosi, gli facevano credere tutte le sciocchezze del mondo.
Gli promisero di
dargli come donna la contessa di Civillari, che era la più bella donna che si
trovasse in tutti i cacatoi del mondo.
Il maestro
domandò chi fosse quella contessa e Buffalmacco gli rispose “Cetriolo mio da
seme, ella è una gran donna, che ha il comando di molte case per il mondo e
persino i frati minori, a suon di nacchere, la festeggiano.
Sta quasi sempre
rinchiusa, ma l’altra notte passò davanti all’uscio per andare all’Arno a
lavarsi i piedi e a prendere un po’ d’aria, però la sua dimora abituale è il
Laterino. Lo sanno bene i suoi sergenti che vanno in giro ,portando la verga e
il piombino. I suoi baroni si vedono in giro come il Tamagnin della Porta, don
Meta, Manico di Scopa, lo Squacchera (tutte le forme di sterco che esce dal
ventre), che sono vostri conoscenti e ora non ve li ricordate. Nelle braccia di
questa grande donna vi metteremo,facendovi dimenticare quella di Cacavincigli”.
Il medico ,che
era nato e cresciuto a Bologna, non conosceva il significato delle loro parole
per cui fu contento della donna che i due gli volevano dare.
Poco dopo i
pittori gli comunicarono che era stato accolto nella brigata.
Venuto il giorno
la cui notte seguente si dovevano riunire, il maestro tenne i due a pranzo.
Dopo pranzo chiese che atteggiamento doveva tenere nella brigata.
Buffalmacco gli
disse che doveva essere molto sicuro di sé, altrimenti avrebbe recato loro
molto danno.
Aggiunse che la
sera seguente doveva andare in una di quelle tombe rialzate che erano state
fatte poco tempo prima fuori Santa Maria Novella, con uno dei suoi abiti più
belli, per sembrare importante e perché, dato che era un gentiluomo, la
contessa lo nominasse cavaliere a sue spese.
Lì giunto
,doveva aspettare che arrivasse un uomo mandato da loro.
Lo informavano,
inoltre, che sarebbe arrivata una bestia nera e cornuta, non molto grande, che
avrebbe fatto un gran rumore e molti salti per spaventarlo, ma, vedendo che non
si spaventava, si sarebbe calmata e si sarebbe accostata a lui. Allora egli
doveva scendere dalla tomba senza paura e sistemarsi sopra la bestia, senza
invocare Dio e i santi, e mettersi con le mani sul petto, senza toccare la
bestia. Ella, allora, muovendosi dolcemente, l’avrebbe condotto da loro; ma
precisarono che doveva stare molto attento a non chiamare Iddio e i santi e non
doveva avere paura, altrimenti la bestia avrebbe potuto gettarlo da qualche
parte o percuoterlo.
Infine gli
raccomandarono di non andare se non si sentiva sicuro.
Il medico,
ostentando una gran sicurezza, rispose che essi non sapevano che cosa aveva
fatto di notte a Bologna, quando andava a femmine con i suoi compagni.
Giurò su Dio che
una notte, poichè una non voleva andare con loro (eppure era secca e brutta,
non più alta di un pollice), egli le aveva dato molti pugni, poi, presala in
braccio, l’aveva portata per un bel tratto, finchè non si era convinta a
seguirli. Si ricordava, ancora , un’altra volta in cui insieme ad un suo
servitore, poco dopo l’Ave Maria, era passato a fianco del cimitero dei frati
minori, dove , poco prima, era stata sotterrata una donna e non aveva avuto
paura alcuna. Potevano star tranquilli, perché era fin troppo coraggioso.
Poi, per
presentarsi onorevolmente, disse che avrebbe indossato lo scarlatto, che aveva
indossato quando era diventato dottore,e, sicuramente, la brigata, quando
l’avesse visto, l’avrebbe fatto al più presto capitano e anche la contessa si
sarebbe innamorata di lui e l’avrebbe nominato cavaliere.
Buffalmacco gli
raccomandò di non beffarli, di andare quella sera e di farsi trovare, perché
faceva freddo e i medici si guardavano molto dal freddo.
Il medico lo
rassicurò che non temeva il freddo e raramente indossava il suo pellicciotto
sopra il gilet, perciò sarebbe sicuramente andato.
Dopo di ciò ,i
tre si lasciarono.
Avvicinandosi la
notte, il maestro trovò mille scuse con la moglie. Portati fuori di casa i suoi
abiti migliori, al momento opportuno li indossò e se ne andò su una di quelle
tombe. Si sistemò su uno di quei marmi e cominciò ad aspettare la bestia, pur
facendo un gran freddo..
Buffalmacco, che
era grande e grosso, si procurò una di quelle maschere che si usavano nel
passato per le feste, che erano state poi vietate. Si mise indosso un
pelliccione nero al rovescio, si sistemò in modo da sembrare un orso, se non
fosse stato per la maschera del diavolo ,che aveva sul viso, e le corna.
Così combinato,
con Bruno che lo seguiva per vedere come andasse a finire, se ne andò nella
piazza nuova di Santa Maria Novella. Come si accorse che messer maestro era lì,
cominciò a saltellare e a gridare all’impazzata, urlando e dibattendosi come un
invasato.
Come il maestro
lo vide, gli si drizzarono tutti i peli addosso e cominciò a tremare, più
pauroso di una femmina.
Desiderò di
essere davanti a casa sua. Pure ,visto che era lì e desiderava vedere tutte
quelle meraviglie che i due birboni gli avevano raccontato, cercò di calmarsi.
Buffalmacco,
dopo che ebbe imperversato per un po’ di tempo, si avvicinò alla tomba, sulla
quale era il maestro, fingendo di calmarsi.
Il maestro, che
tremava tutto di paura, non sapeva che fare, se salire sulla bestia o rimanere
fermo. Poi, temendo che se non fosse salito, la bestia gli avrebbe fatto del
male, vinse la paura e salì, sistemandosi per bene.
Poi, sempre
tremando, mise le mani come gli era stato detto.
Allora
Buffalmacco lentamente si diresse verso Santa Maria della Scala e , procedendo
carpone, lo condusse fino al convento delle monache di Ripoli. In quella
contrada, allora, c’erano delle fosse dove i contadini di quelle terre
vuotavano la contessa di Civillari ( la merda) per concimare i loro campi.
Come Buffalmacco
fu vicino, accostandosi ad una di esse, messa la mano sotto uno dei piedi del
medico, con essa lo sollevò di dosso e lo spinse di netto, a testa in giù,
nella fossa. Poi cominciò a ringhiare, a saltare e ad impazzare, andandosene
lungo Santa Maria della Scala verso il prato di Ogni Santi, dove ritrovò Bruno,
che era fuggito perché non poteva più trattenersi dalle risate.
Entrambi ,da
lontano, si misero a vedere che cosa facesse il medico, tutto insozzato.
Il signor medico
si sforzò di uscire da un posto così abominevole in tutti i modi, ricadendo qua
e là.
Tutto sporco
dalla testa ai piedi, sventurato, ingozzate alcune dracme , alla fine uscì
fuori dalla fossa e vi lasciò il cappuccio. Con le mani, come meglio poteva, si
tolse di dosso la maggior parte della schifezza e, non sapendo che altro fare,
se ne tornò a casa sua e picchiò finchè non gli fu aperto.
La porta, poiché
era così puzzolente, non si chiuse prima che Bruno e Buffalmacco non potessero
sentire ciò che disse la moglie. La donna gli disse “ Ben ti sta, te ne volevi
andare da un’altra donna e sembrare molto importante con lo scarlatto. Non ti
bastavo io? Io che potevo soddisfare un intero paese ,non solo te. Volesse il
cielo che ti avessero affogato, dopo averti gettato dove eri degno d’essere
gettato. Ecco il medico onorato, avendo una moglie, andare in giro di notte a
cercare le donne altrui”.
E la donna non
smise di tormentare il pover’uomo, fino a mezzanotte, mentre egli si faceva
lavare.
La mattina dopo,
Bruno e Buffalmacco si presentarono a casa del medico pieni di lividure, come
se avessero preso un sacco di botte. Lo trovarono già alzato e sentirono in
tutta la casa un gran puzzo.
Il medico si
fece incontro, augurando loro buon giorno, essi risposero con viso turbato e
dissero che gli auguravano ogni male possibile perché quella notte ,per colpa
sua, avevano preso un sacco di botte, come un asino che andasse a Roma, e
avevano corso il rischio di essere cacciati dalla compagnia. Se non ci credeva
poteva vedere le loro carni. Così dicendo ,si aprirono gli abiti davanti,
mostrarono le pelle dipinta , e subito li richiusero.
Il medico non
sapeva più come scusarsi e raccontava dove era stato gettato.
Buffalmacco
allora gli disse che avrebbe voluto che fosse stato gettato dal ponte
dell’Arno, perché aveva invocato Dio e i Santi.
Il medico
rispose che non ricordava di averlo fatto , e, ancora, Buffalmacco aggiunse che
il messo gli aveva detto che egli tremava come una foglia e non sapeva dove
fosse. Dopo di ciò non lo avrebbero fatto entrare mai più nella brigata.
Il maestro
cominciò a chiedere perdono e fece di tutto per riappacificarsi con loro.
Se prima li
aveva onorati, poi li onorò ancora di più con banchetti e altre cose.
La narratrice
concluse che ,come tutti avevano udito, si insegnava il senno a chi non l’aveva
imparato a Bologna.
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