OTTAVA
GIORNATA – NOVELLA N.10
Una
siciliana abilmente toglie a un mercante ciò che egli ha portato in Palermo;
costui ,fingendo di essere tornato con molta più mercanzia di prima, ripresi i
suoi soldi, la lascia ad acqua e capecchio.
La novella della
regina fece tanto ridere che tutti ben presto ebbero le lacrime agli occhi.
Come ebbe
finito, Dioneo, ultimo a raccontare, disse che le beffe piacciono di più quando
ad essere beffato è un maestro delle burle.
Egli intendeva,
appunto, raccontare una novella in cui rimase beffata la più grande maestra del
beffare altrui.
Soleva esservi
nel passato e vi era al tempo loro un’usanza nei paesi di mare che avevano un
porto, secondo la quale tutti i mercanti che approdavano lì dovevano scaricare
le loro mercanzie in un fondaco (magazzino), che era chiamato dogana. Esso
apparteneva al Comune o al signore di quelle terre, agli addetti i mercanti
davano un elenco delle mercanzie lì depositate, con il loro valore; chiudevano
,poi, la porta a chiave.
I doganieri
scrivevano sul libro della dogana tutta la mercanzia, riservandosi il diritto
di pagare al mercante tutto o parte di essa. Dal libro della dogana i sensali
traevano informazioni circa la qualità e la quantità delle mercanzie che vi
erano depositate ed anche su chi erano i mercanti. Con tali mercanti, poi, se
volevano, trattavano di baratti, di vendite e di altri affari.
Tale usanza
c’era anche a Palermo, in Sicilia, dove c’erano anticamente ed anche in quei
tempi, femmine bellissime di corpo, ma nemiche dell’onestà, le quali da chi non
le conosceva erano ritenute donne onestissime.
Esse, dedite non
a rodere ma a scorticare gli uomini, come vedevano un mercante forestiero, si
informavano alla dogana di ciò che aveva e di quanto poteva fare. Poi, con atti
piacevoli e amorosi, li adescavano e li facevano innamorare. Già ne avevano
attirati molti, ai quali avevano tolto buona parte della mercanzia, talvolta
anche tutta. Altri, ancora, c’avevano rimesso non solo la mercanzia, ma anche
la nave e vi avevano lasciato la carne e le ossa, tanto la barbiera aveva
saputo usare il rasoio.
Non molto tempo
prima arrivò, mandato dai suoi capi, un giovane fiorentino, chiamato Niccolò da
Cignano, soprannominato Salabaetto, con tanti panni di lana che erano avanzati
alla fiera di Salerno, che potevano valere cinquecento fiorini d’oro.
Pagata la tassa
per quelli ai doganieri, li mise in un magazzino e ,senza fretta di venderli,
cominciò ad andare in giro nella città, per divertirsi.
Egli era un bel
giovane biondo e in forma, lo vide una di quelle barbiere, che si faceva
chiamare madama Biancofiore, e, avendone sentito parlare, gli mise gli occhi
addosso.
Il giovane se ne
accorse e, ritenendola una gran bella donna, pensò di potersi menare,
prudentemente, in quell’amore. Senza farne parola con nessuno, cominciò a
passare davanti alla casa di lei.
Biancofiore,
fingendo di essersi innamorata, gli mandò una sua femmina esperta nell’arte del
ruffianesimo, la quale, con le lacrime agli occhi, gli disse che la sua
bellezza aveva conquistato la sua padrona, che non trovava pace né notte, né
giorno e voleva incontrarsi con lui ad un bagno, in segreto. Detto ciò, prese
un anello della padrona dalla borsa e glielo donò.
Salabaetto,
udendo quelle parole, fu l’uomo più lieto del mondo. Preso l’anello, se lo fregò
sugli occhi, lo baciò, se lo mise al dito e rispose che se madonna Biancofiore
l’amava ne era ben ricompensata, perché egli l’amava più della sua vita ed era
disposto ad andare dovunque volesse, a qualsiasi ora.
La messaggera
portò alla padrona la risposta e ben presto riferì a Salabaetto in quale bagno
si doveva trovare il giorno seguente, dopo il vespro.
Il giovane,
senza dire niente a nessuno, si recò all’ora stabilita al bagno che la donna
aveva preso.
Poco dopo
arrivarono due schiave ben cariche; una portava sul capo un morbido materasso e
l’altra un grandissimo paniere pieno di ogni ben di Dio. Steso il materasso su
una lettiera, vi mise sopra delle morbidissime lenzuola di seta e un coperta di
lino di Cipro bianchissima ,meravigliosamente ricamata.
Poi, entrambe,
svestitesi, entrarono nel bagno e lo pulirono alla perfezione.
Poco dopo la
donna ,con altre due schiave, venne al bagno. Lì fece gran festa a Salabaetto,
lo abbracciò, lo baciò e gli disse che le aveva messo il fuoco nell’anima. Poi,
entrambi nudi, entrarono nel bagno con le due schiave. Qui, senza che altri lo
toccassero, ella stessa, con sapone profumato di muschio e di garofano, lavò
delicatamente Salabaetto, poi si fece lavare dalle schiave.
Fatto ciò, le
schiave portarono due lenzuola bianchissime e sottili, profumate di rosa; una
vi avvolse il giovane, l’altra la donna. Poi condussero entrambi sul letto,
dove, dopo che smisero di sudare,
tolsero loro i teli, lasciandoli nudi. Tratti dal paniere vasetti di
argento bellissimi, alcuni pieni di acqua di rosa, altri di acqua di fiori
d’arancio, altri di acqua di fiori di gelsomino, li spruzzarono tutti. Infine
li rallegrarono con dolciumi e preziosissimi vini.
A Salabaetto
sembrava di essere in Paradiso, guardava estasiato la donna e non vedeva l’ora
che le schiave se ne andassero per poterla prendere tra le braccia.
Appena le
schiave, al comando della donna, lasciata una piccola torcia nella camera, se
ne andarono, Biancofiore abbracciò il giovane ed egli lei, con grandissimo
piacere di Salabaetto, al quale sembrava che la donna si struggesse d’amore per
lui.
Rimasero insieme
per molto tempo, poi la donna si alzò, chiamò le schiave, si vestirono e,
bevendo e mangiando, si rifocillarono. Infine ,la donna, prima di andarsene, lo
invitò a cena a casa sua per quella sera.
Salabaetto,
molto preso dalla bellezza di lei, credendo di essere da lei amato, accettò ben
volentieri l’invito, promettendole di fare tutto ciò che volesse.
Ella,
ritornatasene a casa, fece ornare splendidamente la sua camera e fece preparare
un’ottima cena, attendendo il giovane. Appena si fece buio Salabaetto arrivò e
,con grande festa e ben servito, cenò.
Dopo cena,
entrati in camera, sentì un profumo di legno di aloe e di varie essenze
cipriane e vide un bellissimo letto decorato,che gli fece pensare che la donna
doveva essere ricca e importante. E, sebbene da informazioni prese aveva
sentito mormorii sulla donna, si volle fidare e giacque con lei tutta la notte,
molto piacevolmente.
Al mattino ella
gli mise nelle mani una cintura d’argento con una bella borsa, dicendogli che
gli affidava tutto quello che aveva. Salabaetto lieto l’abbracciò, la baciò e,
uscito dalla casa di lei, se ne andò al mercato, dove si recavano i mercanti.
In seguito si
incontrò spesso con lei, invischiandosi sempre di più.
Un bel giorno
egli vendette tutti i suoi panni in contanti, ottenendo un buon guadagno.
Subito la buona
donna ne fu informata, non da lui ma da altri.
Quando
Salabaetto si recò da lei, lo accolse abbracciandolo e baciandolo, tanto
infiammata che pareva volesse morire d’amore tra le sue braccia. Gli voleva
donare due bellissime coppe d’argento che il giovane non volle accettare, ben
sapendo che ognuna valeva almeno trenta fiorini d’oro, senza che ella avesse
accettato nemmeno un soldo. Alla fine, mentre si fingeva molto innamorata e
disinteressata, una sua schiava, come le era stato ordinato, la chiamò. Si
trattenne un po’ fuori dalla camera, ritornò piangendo e, gettatasi sul letto,
cominciò a lamentarsi dolorosamente.
Salabaetto ,meravigliato,
le chiese il motivo del suo dolore. Ella, dopo essersi fatta molto pregare, gli
disse che aveva ricevuto lettere da Messina in cui il fratello le chiedeva di
vendere ed impegnare tutto ciò che avevano a Palermo e di mandargli, entro otto
giorni, mille fiorini d’oro, altrimenti gli sarebbe stata tagliata la testa.
Continuò dicendo che non sapeva come fare per poter avere quella somma in così
poco tempo. Infatti, se avesse avuto almeno quindici giorni, avrebbe potuto
procurarsene molti di più, anche se avesse dovuto vendere dei suoi
possedimenti. Ma purtroppo non poteva e avrebbe voluto morire. Detto ciò,
fortemente rattristata, continuò a piangere.
Salabaetto, cui
l’amore aveva tolto ogni senno, credendo alle lacrime a alle parole ,disse “
Madonna, io vi potrei dare non mille ma cinquecento fiorini d’oro, se vi sta
bene, se voi credete di potermeli restituire fra quindici giorni; per fortuna
,proprio ieri, ho venduto i miei panni, altrimenti non avrei potuto prestarvi
nemmeno un soldo".
La donna,
sentendo che il giovane era stato per tanto tempo senza soldi, disse ,con
falsità, che ,se l’avesse saputo, glieli avrebbe prestati volentieri, non
mille, ma certamente cento o duecento.
Salabaetto
rispose che poteva aiutarla e l’avrebbe fatto volentieri.
Biancofiore,
tutta moine e lacrime, rispose che ella era già sua senza quel prestito di
denaro e lo sarebbe stata ancora di più per la gratitudine di aver salvato la
testa del fratello. Aggiunse che prendeva quei soldi malvolentieri, avendone
bisogno, con la speranza di renderglieli al più presto, impegnando, in caso di
necessità, tutte le sue cose.
Salabaetto
cominciò a confortarla e rimase tutta la notte con lei. Al mattino, senza
aspettare da lei alcuna richiesta, le portò bei cinquecento fiorini d’oro, che
ella, sorridendo nel cuore e piangendo con gli occhi, accettò, con una semplice
promessa verbale di restituzione.
Come la donna
ebbe i denari, cominciarono a mutare i suoi atteggiamenti. Mentre prima il
giovane andava a casa della donna ogni volta che voleva, poi incominciarono a
sopraggiungere mille scuse, per cui doveva presentarsi sette volte per poter
entrare una sola. Non gli erano più fatte le feste e le carezze di prima.
Essendo passati
più di due mesi dal termine fissato per la restituzione dei denari, gli
venivano date solo parole in pagamento.
Salabaetto,
compresi l’inganno della donna e la propria stupidità, perché non poteva
pretendere nulla, non avendo alcuna prova scritta né alcun testimone, piangeva
per la sciocchezza commessa, più triste che mai.
Avendo ricevuto
dai suoi maestri numerose lettere di richiesta dei denari ricavati dalla
vendita dei panni, decise di partire, temendo di essere scoperto. Salito su una
piccola nave, se ne andò non a Pisa ma a Napoli.
A Napoli, in
quel tempo, si trovava il loro compare Pietro del Canigiano, tesoriere
dell’imperatrice di Costantinopoli, uomo di grandissima intelligenza e di
sottile ingegno, grandissimo amico di Salabaetto e della sua famiglia. A lui il
giovane raccontò tutto ciò che gli era successo, chiedendogli aiuto e consiglio
per poter vivere decorosamente, affermando che non intendeva ritornare a
Firenze mai più.
Il Canigiano lo
rimproverò dicendogli “ Hai fatto male, non hai obbedito ai tuoi maestri ed hai
speso troppi denari in dolcezze, ma ormai è fatto, bisogna trovare un rimedio”,
E. da uomo saggio, disse che cosa doveva fare al giovane, che subito decise di
obbedire.
Avendo ancora
qualche denaro ed avendonegliene prestati altri il Canigiano, fece molte balle
ben legate, comprò ancora 20 botti di olio ,le riempì e, caricata ogni cosa, se
ne tornò a Palermo.
Affidate le
balle e le botti ai doganieri e fatta scrivere ogni cosa, le fece mettere nei
magazzini, dicendo che non si doveva toccare niente, finchè non fosse arrivata
l’altra mercanzia, che attendeva.
Biancofiore ne
ebbe subito notizia, seppe che la merce valeva circa duemila fiorini d’oro,
mentre quella che doveva arrivare ne valeva circa tremila.
La donna pensò
di aver ricavato poco, perciò decise di restituirgli i cinquecento fiorini per
poter avere la maggior parte dei 5.000, perciò lo mandò a chiamare.
Salabaetto,
divenuto furbo, vi andò.
Ella, fingendo
di non sapere niente di ciò che aveva portato, gli fece una gran festa e gli
chiese se si era preoccupato perché non gli aveva restituito i suoi denari alla
data prevista.
Il giovane,
ridendo, disse “ Madonna, in verità mi dispiacqui un poco, come colui che si
sarebbe tolto il cuore per darvelo, se l’aveste gradito. Vi voglio dire che è
tanto l’amore che ho per voi che ho fatto vendere la maggior parte dei miei
possedimenti ed ho portata qui tanta mercanzia del valore di oltre 2.000
fiorini e ne aspetto da Ponente tanta altra che ne varrà almeno 3.000. Intendo
fare qui un’azienda e di fermarmi qui per esservi sempre vicino “.
E la donna gli
rispose “ Vedi, Salabaetto, mi piace moltissimo la tua decisione di fermarti
qui, perché ti amo più della mia vita, e spero di stare ancora molto tempo con
te. Ma mi voglio scusare perché, prima che te ne andassi, alcune volte volevi
venire da me e non potesti, alcune volte venisti e non fosti accolto
lietamente, come solevi e, oltre a ciò, non ti resi i tuoi denari al termine
promesso. Devi sapere che, in quel periodo, ero in gran dolore e afflizione e
chi si trova in quella condizione, sebbene ami molto un altro, non può dedicare
molti pensieri a chi vorrebbe. Inoltre, devi sapere che è molto difficile per
una donna trovare 1.000 fiorini d’oro.
Ogni giorno le
si dicono un sacco di bugie senza che ella ottenga ciò che le è stato promesso,
perciò è costretta a mentire ad altri. Per quel motivo, non per altro, non ti
rendei i tuoi denari Poco dopo seppi
della tua partenza. Se avessi saputo dove mandarteli te li avrei mandati, ma ,
poiché non lo sapevo ,te li ho conservati “.
E, fattasi
portare una borsa, dove erano i denari, gliela consegnò ,dicendogli di contare
se c’erano tutti i 500 fiorini d’oro.
Salabaetto fu
lietissimo, li contò, trovò che erano 500 e li ripose. Poi la ringraziò e le
disse che, incassati gli altri denari, sarebbe stato disponibile per ogni altra
di lei necessità.
Confermando di
essere ancora innamorato, il giovane riprese la relazione amorosa con
Biancofiore, accolto con grande amore e grandi onori.
Ma Salabaetto
voleva punire l’inganno subito, ingannando egli stesso la donna.
Un giorno ella
lo mandò ad invitare a cena a casa sua ed egli andò con un volto così
malinconico e triste che pareva in punto di morte.
Biancofiore
l’accolse abbracciandolo e baciandolo e gli domandò il perché di tale
malinconia.
Dopo essersi
fatto molto pregare, egli disse “ Sono distrutto perché la nave sulla quale è
la mercanzia che aspettavo è stata presa dai corsari di Monaco, che chiedono un
riscatto di 10.000 fiorini d’oro. A me tocca di pagarne 1.000 e non ho denari ,
perché i 500 che mi rendeste li ho mandati a Napoli per investimenti in tele,
da portare qui. Se vorrò vendere adesso la mercanzia che ho qui, dovrò
svenderla a poco prezzo e ne ricaverò poco e niente. Qui non sono ancora così
conosciuto da trovare qualcuno che mi possa aiutare, perciò non so che fare e
dire. Se non mando i denari, la mercanzia sarà portata a Monaco e non riavrò
più nulla”.
La donna, tutta
addolorata per la notizia, poiché le sembrava di perdere tutto, pensando a cosa
poteva fare perché la mercanzia non andasse a Monaco, disse “ Dio sa come sono
rammaricata, se avessi i denari che ti servono, te li presterei immediatamente,
ma non li ho. E’ vero che c’è una persona che pochi giorni fa mi ha prestato i
500 fiorini da restituirti, ma presta ad usura e vuole il trenta per cento di
interesse. Se ti volessi rivolgere a lei, dovresti dare un buon pegno ed io
sono pronta ad impegnare tutti i miei averi e me stessa per poterti servire, ma
il rimanente, come te lo procurerai ?”.
Salabaetto
comprese subito che l’usuraio era la donna stessa e suoi dovevano essere i
denari prestati, la ringraziò e disse che non avrebbe mai pagato un interesse
tanto alto, stretto dal bisogno. Voleva, invece, lasciare in garanzia la
mercanzia che aveva in dogana, facendola registrare a nome di chi gli avrebbe
prestato i denari. Ma voleva avere la chiave del magazzino, per poter mostrare
la mercanzia ,se fosse richiesto, e per essere sicuro che nessuna cosa fosse
cambiata o rubata.
La donna
convenne che era giusto.
Nel giorno
stabilito ella mandò un sensale di sua fiducia, gli diede 1.000 fiorini d’oro,
che il sensale prestò a Salabaetto. Il sensale fece scrivere a suo nome la merce che il giovane aveva nel magazzino;
furono completati i contratti, che furono controfirmati in perfetto accordo, e
ognuno se ne andò per i fatti suoi.
Salabaetto,
appena potè, su una navicella, se ne tornò a Napoli da Pietro del Canigiano con
1.500 fiorini d’oro. Di lì mandò a Firenze ai suoi maestri un rendiconto dei
panni che gli avevano affidato.
Pagato Pietro e
tutti quelli cui doveva qualcosa, per più giorni col Canigiano rise
dell’inganno fatto alla siciliana.
In seguito,
smise di fare il mercante e se ne andò a Ferrara.
Biancofiore, non
trovando Salabaetto a Palermo, divenne sospettosa. Dopo aver aspettato ben due
mesi, visto che non veniva, chiamò il sensale e fece aprire i magazzini. Fece
aprire prima le botti, che si credeva fossero piene di olio, e, invece, le
trovò piene di acqua marina, avendo ciascuna sull’apertura ,una certa quantità
di olio.
Poi, sciogliendo
le balle, ne trovò soltanto due piene di panni, mentre tutte le altre le trovò
piene di capecchio (sfilacciatura). In breve, tutto ciò che c’era non valeva
più di 200 fiorini.
Biancofiore,
ritenendosi fregata, pianse i 500 fiorini, ma ancora di più i mille prestati,
dicendo spesso “ Chi ha a che fare con un tosco non può essere losco”. Cioè “
Chi ha a che fare con un toscano non può essere cieco”.
E così rimase
con il danno e con le beffe, perché trovò uno che ne sapeva quanto lei.
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