giovedì 21 maggio 2015

OTTAVA GIORNATA - NOVELLA N.10

OTTAVA GIORNATA – NOVELLA N.10

Una siciliana abilmente toglie a un mercante ciò che egli ha portato in Palermo; costui ,fingendo di essere tornato con molta più mercanzia di prima, ripresi i suoi soldi, la lascia ad acqua e capecchio.

La novella della regina fece tanto ridere che tutti ben presto ebbero le lacrime agli occhi.
Come ebbe finito, Dioneo, ultimo a raccontare, disse che le beffe piacciono di più quando ad essere beffato è un maestro delle burle.
Egli intendeva, appunto, raccontare una novella in cui rimase beffata la più grande maestra del beffare altrui.
Soleva esservi nel passato e vi era al tempo loro un’usanza nei paesi di mare che avevano un porto, secondo la quale tutti i mercanti che approdavano lì dovevano scaricare le loro mercanzie in un fondaco (magazzino), che era chiamato dogana. Esso apparteneva al Comune o al signore di quelle terre, agli addetti i mercanti davano un elenco delle mercanzie lì depositate, con il loro valore; chiudevano ,poi, la porta a chiave.
I doganieri scrivevano sul libro della dogana tutta la mercanzia, riservandosi il diritto di pagare al mercante tutto o parte di essa. Dal libro della dogana i sensali traevano informazioni circa la qualità e la quantità delle mercanzie che vi erano depositate ed anche su chi erano i mercanti. Con tali mercanti, poi, se volevano, trattavano di baratti, di vendite e di altri affari.
Tale usanza c’era anche a Palermo, in Sicilia, dove c’erano anticamente ed anche in quei tempi, femmine bellissime di corpo, ma nemiche dell’onestà, le quali da chi non le conosceva erano ritenute donne onestissime.
Esse, dedite non a rodere ma a scorticare gli uomini, come vedevano un mercante forestiero, si informavano alla dogana di ciò che aveva e di quanto poteva fare. Poi, con atti piacevoli e amorosi, li adescavano e li facevano innamorare. Già ne avevano attirati molti, ai quali avevano tolto buona parte della mercanzia, talvolta anche tutta. Altri, ancora, c’avevano rimesso non solo la mercanzia, ma anche la nave e vi avevano lasciato la carne e le ossa, tanto la barbiera aveva saputo usare il rasoio.
Non molto tempo prima arrivò, mandato dai suoi capi, un giovane fiorentino, chiamato Niccolò da Cignano, soprannominato Salabaetto, con tanti panni di lana che erano avanzati alla fiera di Salerno, che potevano valere cinquecento fiorini d’oro.
Pagata la tassa per quelli ai doganieri, li mise in un magazzino e ,senza fretta di venderli, cominciò ad andare in giro nella città, per divertirsi.
Egli era un bel giovane biondo e in forma, lo vide una di quelle barbiere, che si faceva chiamare madama Biancofiore, e, avendone sentito parlare, gli mise gli occhi addosso.
Il giovane se ne accorse e, ritenendola una gran bella donna, pensò di potersi menare, prudentemente, in quell’amore. Senza farne parola con nessuno, cominciò a passare davanti alla casa di lei.
Biancofiore, fingendo di essersi innamorata, gli mandò una sua femmina esperta nell’arte del ruffianesimo, la quale, con le lacrime agli occhi, gli disse che la sua bellezza aveva conquistato la sua padrona, che non trovava pace né notte, né giorno e voleva incontrarsi con lui ad un bagno, in segreto. Detto ciò, prese un anello della padrona dalla borsa e glielo donò.
Salabaetto, udendo quelle parole, fu l’uomo più lieto del mondo. Preso l’anello, se lo fregò sugli occhi, lo baciò, se lo mise al dito e rispose che se madonna Biancofiore l’amava ne era ben ricompensata, perché egli l’amava più della sua vita ed era disposto ad andare dovunque volesse, a qualsiasi ora.
La messaggera portò alla padrona la risposta e ben presto riferì a Salabaetto in quale bagno si doveva trovare il giorno seguente, dopo il vespro.
Il giovane, senza dire niente a nessuno, si recò all’ora stabilita al bagno che la donna aveva preso.
Poco dopo arrivarono due schiave ben cariche; una portava sul capo un morbido materasso e l’altra un grandissimo paniere pieno di ogni ben di Dio. Steso il materasso su una lettiera, vi mise sopra delle morbidissime lenzuola di seta e un coperta di lino di Cipro bianchissima ,meravigliosamente ricamata.
Poi, entrambe, svestitesi, entrarono nel bagno e lo pulirono alla perfezione.
Poco dopo la donna ,con altre due schiave, venne al bagno. Lì fece gran festa a Salabaetto, lo abbracciò, lo baciò e gli disse che le aveva messo il fuoco nell’anima. Poi, entrambi nudi, entrarono nel bagno con le due schiave. Qui, senza che altri lo toccassero, ella stessa, con sapone profumato di muschio e di garofano, lavò delicatamente Salabaetto, poi si fece lavare dalle schiave.
Fatto ciò, le schiave portarono due lenzuola bianchissime e sottili, profumate di rosa; una vi avvolse il giovane, l’altra la donna. Poi condussero entrambi sul letto, dove, dopo che smisero di sudare,  tolsero loro i teli, lasciandoli nudi. Tratti dal paniere vasetti di argento bellissimi, alcuni pieni di acqua di rosa, altri di acqua di fiori d’arancio, altri di acqua di fiori di gelsomino, li spruzzarono tutti. Infine li rallegrarono con dolciumi e preziosissimi vini.
A Salabaetto sembrava di essere in Paradiso, guardava estasiato la donna e non vedeva l’ora che le schiave se ne andassero per poterla prendere tra le braccia.
Appena le schiave, al comando della donna, lasciata una piccola torcia nella camera, se ne andarono, Biancofiore abbracciò il giovane ed egli lei, con grandissimo piacere di Salabaetto, al quale sembrava che la donna si struggesse d’amore per lui.
Rimasero insieme per molto tempo, poi la donna si alzò, chiamò le schiave, si vestirono e, bevendo e mangiando, si rifocillarono. Infine ,la donna, prima di andarsene, lo invitò a cena a casa sua per quella sera.
Salabaetto, molto preso dalla bellezza di lei, credendo di essere da lei amato, accettò ben volentieri l’invito, promettendole di fare tutto ciò che volesse.
Ella, ritornatasene a casa, fece ornare splendidamente la sua camera e fece preparare un’ottima cena, attendendo il giovane. Appena si fece buio Salabaetto arrivò e ,con grande festa e ben servito, cenò.
Dopo cena, entrati in camera, sentì un profumo di legno di aloe e di varie essenze cipriane e vide un bellissimo letto decorato,che gli fece pensare che la donna doveva essere ricca e importante. E, sebbene da informazioni prese aveva sentito mormorii sulla donna, si volle fidare e giacque con lei tutta la notte, molto piacevolmente.
Al mattino ella gli mise nelle mani una cintura d’argento con una bella borsa, dicendogli che gli affidava tutto quello che aveva. Salabaetto lieto l’abbracciò, la baciò e, uscito dalla casa di lei, se ne andò al mercato, dove si recavano i mercanti.
In seguito si incontrò spesso con lei, invischiandosi sempre di più.
Un bel giorno egli vendette tutti i suoi panni in contanti, ottenendo un buon guadagno.
Subito la buona donna ne fu informata, non da lui ma da altri.
Quando Salabaetto si recò da lei, lo accolse abbracciandolo e baciandolo, tanto infiammata che pareva volesse morire d’amore tra le sue braccia. Gli voleva donare due bellissime coppe d’argento che il giovane non volle accettare, ben sapendo che ognuna valeva almeno trenta fiorini d’oro, senza che ella avesse accettato nemmeno un soldo. Alla fine, mentre si fingeva molto innamorata e disinteressata, una sua schiava, come le era stato ordinato, la chiamò. Si trattenne un po’ fuori dalla camera, ritornò piangendo e, gettatasi sul letto, cominciò a lamentarsi dolorosamente.
Salabaetto ,meravigliato, le chiese il motivo del suo dolore. Ella, dopo essersi fatta molto pregare, gli disse che aveva ricevuto lettere da Messina in cui il fratello le chiedeva di vendere ed impegnare tutto ciò che avevano a Palermo e di mandargli, entro otto giorni, mille fiorini d’oro, altrimenti gli sarebbe stata tagliata la testa. Continuò dicendo che non sapeva come fare per poter avere quella somma in così poco tempo. Infatti, se avesse avuto almeno quindici giorni, avrebbe potuto procurarsene molti di più, anche se avesse dovuto vendere dei suoi possedimenti. Ma purtroppo non poteva e avrebbe voluto morire. Detto ciò, fortemente rattristata, continuò a piangere.
Salabaetto, cui l’amore aveva tolto ogni senno, credendo alle lacrime a alle parole ,disse “ Madonna, io vi potrei dare non mille ma cinquecento fiorini d’oro, se vi sta bene, se voi credete di potermeli restituire fra quindici giorni; per fortuna ,proprio ieri, ho venduto i miei panni, altrimenti non avrei potuto prestarvi nemmeno un soldo".
La donna, sentendo che il giovane era stato per tanto tempo senza soldi, disse ,con falsità, che ,se l’avesse saputo, glieli avrebbe prestati volentieri, non mille, ma certamente cento o duecento.
Salabaetto rispose che poteva aiutarla e l’avrebbe fatto volentieri.
Biancofiore, tutta moine e lacrime, rispose che ella era già sua senza quel prestito di denaro e lo sarebbe stata ancora di più per la gratitudine di aver salvato la testa del fratello. Aggiunse che prendeva quei soldi malvolentieri, avendone bisogno, con la speranza di renderglieli al più presto, impegnando, in caso di necessità, tutte le sue cose.
Salabaetto cominciò a confortarla e rimase tutta la notte con lei. Al mattino, senza aspettare da lei alcuna richiesta, le portò bei cinquecento fiorini d’oro, che ella, sorridendo nel cuore e piangendo con gli occhi, accettò, con una semplice promessa verbale di restituzione.
Come la donna ebbe i denari, cominciarono a mutare i suoi atteggiamenti. Mentre prima il giovane andava a casa della donna ogni volta che voleva, poi incominciarono a sopraggiungere mille scuse, per cui doveva presentarsi sette volte per poter entrare una sola. Non gli erano più fatte le feste e le carezze di prima.
Essendo passati più di due mesi dal termine fissato per la restituzione dei denari, gli venivano date solo parole in pagamento.
Salabaetto, compresi l’inganno della donna e la propria stupidità, perché non poteva pretendere nulla, non avendo alcuna prova scritta né alcun testimone, piangeva per la sciocchezza commessa, più triste che mai.
Avendo ricevuto dai suoi maestri numerose lettere di richiesta dei denari ricavati dalla vendita dei panni, decise di partire, temendo di essere scoperto. Salito su una piccola nave, se ne andò non a Pisa ma a Napoli.
A Napoli, in quel tempo, si trovava il loro compare Pietro del Canigiano, tesoriere dell’imperatrice di Costantinopoli, uomo di grandissima intelligenza e di sottile ingegno, grandissimo amico di Salabaetto e della sua famiglia. A lui il giovane raccontò tutto ciò che gli era successo, chiedendogli aiuto e consiglio per poter vivere decorosamente, affermando che non intendeva ritornare a Firenze mai più.
Il Canigiano lo rimproverò dicendogli “ Hai fatto male, non hai obbedito ai tuoi maestri ed hai speso troppi denari in dolcezze, ma ormai è fatto, bisogna trovare un rimedio”, E. da uomo saggio, disse che cosa doveva fare al giovane, che subito decise di obbedire.
Avendo ancora qualche denaro ed avendonegliene prestati altri il Canigiano, fece molte balle ben legate, comprò ancora 20 botti di olio ,le riempì e, caricata ogni cosa, se ne tornò a Palermo.
Affidate le balle e le botti ai doganieri e fatta scrivere ogni cosa, le fece mettere nei magazzini, dicendo che non si doveva toccare niente, finchè non fosse arrivata l’altra mercanzia, che attendeva.
Biancofiore ne ebbe subito notizia, seppe che la merce valeva circa duemila fiorini d’oro, mentre quella che doveva arrivare ne valeva circa tremila.
La donna pensò di aver ricavato poco, perciò decise di restituirgli i cinquecento fiorini per poter avere la maggior parte dei 5.000, perciò lo mandò a chiamare.
Salabaetto, divenuto furbo, vi andò.
Ella, fingendo di non sapere niente di ciò che aveva portato, gli fece una gran festa e gli chiese se si era preoccupato perché non gli aveva restituito i suoi denari alla data prevista.
Il giovane, ridendo, disse “ Madonna, in verità mi dispiacqui un poco, come colui che si sarebbe tolto il cuore per darvelo, se l’aveste gradito. Vi voglio dire che è tanto l’amore che ho per voi che ho fatto vendere la maggior parte dei miei possedimenti ed ho portata qui tanta mercanzia del valore di oltre 2.000 fiorini e ne aspetto da Ponente tanta altra che ne varrà almeno 3.000. Intendo fare qui un’azienda e di fermarmi qui per esservi sempre vicino “.
E la donna gli rispose “ Vedi, Salabaetto, mi piace moltissimo la tua decisione di fermarti qui, perché ti amo più della mia vita, e spero di stare ancora molto tempo con te. Ma mi voglio scusare perché, prima che te ne andassi, alcune volte volevi venire da me e non potesti, alcune volte venisti e non fosti accolto lietamente, come solevi e, oltre a ciò, non ti resi i tuoi denari al termine promesso. Devi sapere che, in quel periodo, ero in gran dolore e afflizione e chi si trova in quella condizione, sebbene ami molto un altro, non può dedicare molti pensieri a chi vorrebbe. Inoltre, devi sapere che è molto difficile per una donna trovare 1.000 fiorini d’oro.
Ogni giorno le si dicono un sacco di bugie senza che ella ottenga ciò che le è stato promesso, perciò è costretta a mentire ad altri. Per quel motivo, non per altro, non ti rendei i tuoi denari  Poco dopo seppi della tua partenza. Se avessi saputo dove mandarteli te li avrei mandati, ma , poiché non lo sapevo ,te li ho conservati “.
E, fattasi portare una borsa, dove erano i denari, gliela consegnò ,dicendogli di contare se c’erano tutti i 500 fiorini d’oro.
Salabaetto fu lietissimo, li contò, trovò che erano 500 e li ripose. Poi la ringraziò e le disse che, incassati gli altri denari, sarebbe stato disponibile per ogni altra di lei necessità.
Confermando di essere ancora innamorato, il giovane riprese la relazione amorosa con Biancofiore, accolto con grande amore e grandi onori.
Ma Salabaetto voleva punire l’inganno subito, ingannando egli stesso la donna.
Un giorno ella lo mandò ad invitare a cena a casa sua ed egli andò con un volto così malinconico e triste che pareva in punto di morte.
Biancofiore l’accolse abbracciandolo e baciandolo e gli domandò il perché di tale malinconia.
Dopo essersi fatto molto pregare, egli disse “ Sono distrutto perché la nave sulla quale è la mercanzia che aspettavo è stata presa dai corsari di Monaco, che chiedono un riscatto di 10.000 fiorini d’oro. A me tocca di pagarne 1.000 e non ho denari , perché i 500 che mi rendeste li ho mandati a Napoli per investimenti in tele, da portare qui. Se vorrò vendere adesso la mercanzia che ho qui, dovrò svenderla a poco prezzo e ne ricaverò poco e niente. Qui non sono ancora così conosciuto da trovare qualcuno che mi possa aiutare, perciò non so che fare e dire. Se non mando i denari, la mercanzia sarà portata a Monaco e non riavrò più nulla”.
La donna, tutta addolorata per la notizia, poiché le sembrava di perdere tutto, pensando a cosa poteva fare perché la mercanzia non andasse a Monaco, disse “ Dio sa come sono rammaricata, se avessi i denari che ti servono, te li presterei immediatamente, ma non li ho. E’ vero che c’è una persona che pochi giorni fa mi ha prestato i 500 fiorini da restituirti, ma presta ad usura e vuole il trenta per cento di interesse. Se ti volessi rivolgere a lei, dovresti dare un buon pegno ed io sono pronta ad impegnare tutti i miei averi e me stessa per poterti servire, ma il rimanente, come te lo procurerai ?”.
Salabaetto comprese subito che l’usuraio era la donna stessa e suoi dovevano essere i denari prestati, la ringraziò e disse che non avrebbe mai pagato un interesse tanto alto, stretto dal bisogno. Voleva, invece, lasciare in garanzia la mercanzia che aveva in dogana, facendola registrare a nome di chi gli avrebbe prestato i denari. Ma voleva avere la chiave del magazzino, per poter mostrare la mercanzia ,se fosse richiesto, e per essere sicuro che nessuna cosa fosse cambiata o rubata.
La donna convenne che era giusto.
Nel giorno stabilito ella mandò un sensale di sua fiducia, gli diede 1.000 fiorini d’oro, che il sensale prestò a Salabaetto. Il sensale fece scrivere a suo nome  la merce che il giovane aveva nel magazzino; furono completati i contratti, che furono controfirmati in perfetto accordo, e ognuno se ne andò per i fatti suoi.
Salabaetto, appena potè, su una navicella, se ne tornò a Napoli da Pietro del Canigiano con 1.500 fiorini d’oro. Di lì mandò a Firenze ai suoi maestri un rendiconto dei panni che gli avevano affidato.
Pagato Pietro e tutti quelli cui doveva qualcosa, per più giorni col Canigiano rise dell’inganno fatto alla siciliana.
In seguito, smise di fare il mercante e se ne andò a Ferrara.
Biancofiore, non trovando Salabaetto a Palermo, divenne sospettosa. Dopo aver aspettato ben due mesi, visto che non veniva, chiamò il sensale e fece aprire i magazzini. Fece aprire prima le botti, che si credeva fossero piene di olio, e, invece, le trovò piene di acqua marina, avendo ciascuna sull’apertura ,una certa quantità di olio.
Poi, sciogliendo le balle, ne trovò soltanto due piene di panni, mentre tutte le altre le trovò piene di capecchio (sfilacciatura). In breve, tutto ciò che c’era non valeva più di 200 fiorini.
Biancofiore, ritenendosi fregata, pianse i 500 fiorini, ma ancora di più i mille prestati, dicendo spesso “ Chi ha a che fare con un tosco non può essere losco”. Cioè “ Chi ha a che fare con un toscano non può essere cieco”.
E così rimase con il danno e con le beffe, perché trovò uno che ne sapeva quanto lei.





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