OTTAVA GIORNATA – NOVELLA N.7
Uno studente ama una donna vedova, la
quale, innamorata di un altro, una notte d’inverno lo fa stare sopra la neve ad
aspettarla; egli, poi, con un suo consiglio, fa stare la donna, a metà luglio,
nuda, tutto un giorno, su una torre al sole alla mercè di mosche e tafani.
Le donne avevano molto riso di quello
stupidone di Calandrino e avrebbero riso ancora se non si fossero rammaricate,
perché coloro che gli avevano rubato il porco gli avevano tolto anche i
capponi.
Finita la novella, la regina ordinò a
Pampinea di raccontare la sua.
E Pampinea cominciò
dicendo che spesse volte avveniva che ci si beffava l’uno con l’altro.
Nelle novelle narrate
fino a quel momento si era parlato delle beffe fatte, ma non si era mai parlato
della vendetta di chi era stato beffato.
Ella voleva raccontare
di una loro concittadina, la quale per una beffa da lei fatta, ricevette sul
capo,di ritorno,un’altra beffa che quasi
le causò la morte.
L’udire quella novella
sarebbe stato loro molto utile perché si sarebbero guardate dal fare brutti
scherzi agli altri e sarebbero state più
prudenti.
Non molti anni prima era vissuta a Firenze una giovane bella di corpo, superba d’animo, di stirpe assai nobile, ricca di tutti i doni della fortuna, di nome Elena. Ella, rimasta vedova, non si volle più maritare, essendosi innamorata di un giovinetto bello e garbato, che la ricambiava. Libera da ogni vincolo, grazie ad una sua fantesca di fiducia, spesse volte s’incontrava con lui, molto piacevolmente. Un bel giorno un giovane, chiamato Rinieri, nobile di Firenze, che aveva studiato a Parigi, non per procurarsi un lavoro, come facevano molti, ma per conoscere la ragione e la causa delle cose, come si addice ad ogni gentiluomo, ritornò da Parigi a Firenze. Qui viveva molto onorato per la sua nobiltà e per la sua cultura.
Non molti anni prima era vissuta a Firenze una giovane bella di corpo, superba d’animo, di stirpe assai nobile, ricca di tutti i doni della fortuna, di nome Elena. Ella, rimasta vedova, non si volle più maritare, essendosi innamorata di un giovinetto bello e garbato, che la ricambiava. Libera da ogni vincolo, grazie ad una sua fantesca di fiducia, spesse volte s’incontrava con lui, molto piacevolmente. Un bel giorno un giovane, chiamato Rinieri, nobile di Firenze, che aveva studiato a Parigi, non per procurarsi un lavoro, come facevano molti, ma per conoscere la ragione e la causa delle cose, come si addice ad ogni gentiluomo, ritornò da Parigi a Firenze. Qui viveva molto onorato per la sua nobiltà e per la sua cultura.
Ma, come spesso
avveniva, Rinieri fu incastrato da Amore, nonostante fosse così intelligente e
colto.
Un giorno, essendo
andato, per divertimento, ad una festa , incontrò quella Elena, tutta vestita
di nero, come si conveniva ad una vedova, ma tanto bella e piacevole quanto
nessun altra, a parer suo.
Egli ritenne beato colui
che l’avesse potuta tenere nuda tra le braccia. Dopo averla guardata a lungo,
sapendo che le belle cose non si possono ottenere senza fatica, decise di
compiere uno sforzo per conquistarla e poter godere in abbondanza di lei.
La giovane donna che non teneva gli occhi fissi a terra, ma si guardava intorno e si accorgeva di chi la guardava con ammirazione, si accorse degli sguardi di Rinieri . Pensò di non essere andata invano a quella festa ,perché avrebbe trovato presto un pollastro. Lo cominciò, quindi, ad adescare, lanciandogli sguardi seducenti per dimostrargli il suo interesse, pensando che quanti più uomini avesse adescato, tanto più sarebbe stata apprezzata la sua bellezza, soprattutto dal giovane di cui era innamorata.
Lo studente, lasciati da parte i pensieri filosofici, rivolse tutta la sua attenzIone a lei ,pensando di piacerle. Cominciò a passeggiare sotto la casa di lei, trovando mille ragioni.
La giovane donna che non teneva gli occhi fissi a terra, ma si guardava intorno e si accorgeva di chi la guardava con ammirazione, si accorse degli sguardi di Rinieri . Pensò di non essere andata invano a quella festa ,perché avrebbe trovato presto un pollastro. Lo cominciò, quindi, ad adescare, lanciandogli sguardi seducenti per dimostrargli il suo interesse, pensando che quanti più uomini avesse adescato, tanto più sarebbe stata apprezzata la sua bellezza, soprattutto dal giovane di cui era innamorata.
Lo studente, lasciati da parte i pensieri filosofici, rivolse tutta la sua attenzIone a lei ,pensando di piacerle. Cominciò a passeggiare sotto la casa di lei, trovando mille ragioni.
La donna mostrava di
vederlo assai volentieri, per cui lo studente avvicinò la fantesca della donna
e la pregò di convincere la padrona ad accettare il suo amore. La fantesca
promise e raccontò tutto alla donna che, ridendo, disse che il giovane era
andato a perdere a Firenze il senno che aveva portato da Parigi. Disse alla
domestica di riferirgli che ella l’amava più di lui, ma doveva proteggere la
propria onestà, per poter andare a testa alta insieme alle altre donne. Voleva,
quindi, una prova del suo grande amore. La cattivella era piuttosto imprudente,
perché non sapeva che non bisognava stuzzicare gli studenti. La fantesca,
incontrandolo, gli riferì le parole della padrona. Il giovane ,lieto,
insistette con più calde preghiere, scrivendo lettere e mandando doni. Per ogni
cosa ricevuta gli venivano restituite solo vaghe risposte.
Così la donna lo tenne per molto tempo in sospeso.
Così la donna lo tenne per molto tempo in sospeso.
Infine ella
disse ogni cosa al suo amante, che era molto geloso. Per mostrargli che
sospettava a torto di lei, mandò la serva dallo studente a dirgli che per le
feste di Natale, ormai vicine, sperava di poter essere con lui. Perciò la sera
dopo Natale, di notte, se gli faceva piacere, poteva andare nel cortile di lei,
dove ella l’avrebbe raggiunto, appena possibile.
Lo studente,
felice più di ogni altro uomo, andò. La fantesca lo fece entrare e lo chiuse dentro
il cortile ,in attesa della donna. La donna ,quella sera, aveva fatto andare da
lei il suo amante, aveva cenato con lui lietamente e gli aveva raccontato
quello che intendeva fare, dicendogli che avrebbe potuto vedere quanto amore
aveva per lo studente e dissipare così la sua gelosia.
L’amante ascoltò
volentieri le parole di lei, desideroso di vedere che cosa aveva escogitato.
Il giorno
precedente aveva nevicato molto ed ogni cosa era ricoperta di neve. Perciò lo
studente, dopo essere stato un po’ in cortile, cominciò a sentire molto freddo,
pure sopportava pazientemente, aspettando di ristorarsi.
La donna, dopo
un po’, invitò l’amante ad andare nella sua camera ,a guardare da una
finestrella che cosa faceva colui di cui era geloso e ad ascoltare quello che
avrebbe risposto alla fantesca.
Andati, dunque,
alla finestrella, vedendo senza essere veduti, sentirono la domestica dire allo
studente che la padrona era dolente perché quella sera era andato da lei suo
fratello, che aveva voluto cenare con lei ed ancora non se ne era andato, ma
sperava che se ne andasse presto. Per quel motivo non aveva potuto
raggiungerlo,ma contava di farlo e lo pregava di attenderla.
Lo studente,
credendole, rispose che l’avrebbe attesa, ma che facesse il più presto
possibile.
La servetta
ritornò a casa e se ne andò a dormire, mentre la donna disse al suo amante “
Credi tu che se io gli volessi veramente bene, come temi, lo lascerei lì a
ghiacciare? ”.
Così detto, se
ne andò a letto con il suo amante, facendo l’amore a lungo, ridendo del misero
giovane.
Lo sventurato
andava avanti e dietro nel cortile per riscaldarsi, senza potersi sedere, né
ripararsi dal freddo e malediceva la lunga permanenza del fratello della donna.
Ad ogni rumore
che sentiva credeva che fosse l’uscio che si apriva per far entrare la donna
,ma sperava invano.
Ella, ormai
quasi a mezzanotte, scherzando , chiese all’amante se si era liberato dalla
gelosia, visto il freddo che aveva fatto patire allo studente.
Trascorsero
ancora un bel po’ di tempo nei trastulli d’amore, poi si alzarono ed andarono a
vedere se si era spento il fuoco del quale il giovane innamorato bruciava, come
le aveva scritto.
Dalla
finestrella poterono vedere lo studente ballare la carola a piccoli passi sulla
neve,al suono del batter di denti che egli faceva per il troppo freddo, così
rapidamente come non l’avevano mai vista danzare.
Aperta la porta
,la donna condusse poi l’amante fino all’uscio e, senza aprire, con voce
sommessa, attraverso un buchetto, che c’era, chiamò. Lo studente, sentendosi
chiamare, ringraziò Dio e pregò la donna di aprirgli perché moriva dal freddo.
In risposta ella disse che c’era solo un po’ di neve, mentre a Parigi ce n’era molta di più. Purtroppo non poteva
ancora aprire perché quel suo maledetto fratello, che era andato a cenare da
lei, non se ne era ancora andato, ma l’avrebbe fatto presto. Ella, a gran
fatica, si era liberata per un attimo per andare a confortarlo e a pregarlo di
attendere.
Lo studente le
chiese, allora, di aprire la porta per permettergli di entrare e di stare al
coperto, perché aveva ripreso a nevicare abbondantemente; al coperto avrebbe
atteso tutto il tempo necessario.
Ma la donna,
senza pietà, rispose che non era possibile aprire quell’uscio perché faceva un
rumore tanto grande che facilmente poteva essere udito dal fratello, se
l’avesse aperto. Voleva andare subito dal fratello per invitarlo ad andarsene e
poi sarebbe ritornata.
Il malcapitato
le raccomandò di fare presto ritorno e di accendere un bel fuoco in modo da
potersi riscaldare, una volta entrato, perché
era diventato un pezzo di ghiaccio.
La donna finse
di non credergli, rispondendogli che egli ardeva d’amore per lei, perciò non
doveva beffarla.
L’amante, che
udiva tutto, ne provava grande piacere.
Tornata a letto,
la donna trascorse tutta la notte amoreggiando e deridendo il misero studente.
Lo sventurato,
che sembrava una cicogna tanto batteva i denti, accortosi finalmente di essere
stato beffato, più volte tentò di aprire l’uscio e cercò di uscire. Non vedendo
come fare, andava avanti e dietro come un leone, maledicendo il tempo, la
malvagità delle donne, la lunghezza della notte e la sua ingenuità.
Sdegnato contro
la donna trasformò il lungo e fervente amore in crudo e violento odio,
meditando propositi di vendetta.
Finalmente passò
la nottata e apparve l’alba. La fantesca, su comando della donna, scese ed aprì
il cortile. Mostrando compassione per lui, gli disse che era stato sfortunato
,perché si era ghiacciato, ma quello che non era successo quella notte poteva
accadere un’altra volta e che la sua padrona era molto dispiaciuta.
Lo studente,
saggiamente, nascose nel suo petto ciò che una volontà non frenata avrebbe
mandato fuori. Con voce calma, senza mostrarsi per niente rattristato, rispose
che quella era sicuramente stata la peggiore notte che avesse mai avuto, ma
sapeva bene che la donna non aveva alcuna colpa. Infatti aveva provato tanta
pietà di lui, che era scesa a scusarsi e a confortarlo. Ciò che non era stato
quella notte sarebbe stato un’altra volta.
La salutò e se
ne andò, tutto rattrappito, a casa sua, dove, stanco e morto di sonno, si gettò
sul letto a dormire.
Si svegliò che
non poteva quasi muovere le braccia e le gambe. Chiamò alcuni medici ai quali
disse del gran freddo che aveva avuto e si fece curare.
I medici, con
opportuni interventi, dopo un po’ di tempo lo guarirono.
Egli era giovane
e arrivava il caldo, ritornò ,dunque, sano, conservando dentro di sé il suo
orgoglio, continuando, comunque, a dimostrarsi più che mai innamorato della sua
vedova.
Dopo un certo tempo
la fortuna dette allo studente la possibilità di soddisfare il suo desiderio di
vendetta.
Infatti il
giovane amato dalla vedova, senza riguardo per l’amore di lei, si innamorò di
un’altra donna e la poverina si consumava in lacrime e amarezze.
La fantesca,
provando compassione per la padrona, per consolare la donna per il perduto
amore, vedendo lo studente passare come al solito, ebbe un’idea sciocca. Pensò
di poter indurre l’amante ad amare la donna come faceva prima con un
incantesimo; pensando che lo studente fosse in ciò maestro ,lo disse alla
padrona.
La donna, poco
savia, senza pensare che se il giovane avesse conosciuto la negromazia
l’avrebbe adoperata per sé stesso, mandò la serva a chiedergli se volesse fare
un incantesimo per lei. Per ricompensa promise che avrebbe fatto tutto ciò che
a lui piacesse.
La domestica
riferì la richiesta al giovane che, ben lieto, pensò che era giunta l’occasione
per far pagare alla malvagia femmina l’ingiuria fattagli.. Disse ,dunque, alla
fantesca di riferire alla donna di star tranquilla che, anche se il suo amante
fosse andato in India, rapidamente l’avrebbe riportato a chiederle perdono. Ma
voleva spiegare a lei, di persona, che cosa doveva fare, quando e dove volesse.
La donna e lo
studente decisero di incontrarsi nella chiesa di Santa Lucia di Prato.
Lì giunti, la donna, dimenticatasi di averlo
quasi condotto alla morte, gli raccontò ogni sua vicenda, gli spiegò che cosa
desiderava e lo pregò di aiutarla per la sua salvezza.
Il giovane la
rassicurò, spiegandole che egli era divenuto esperto di negromazia a Parigi
,anche se aveva giurato che mai l’avrebbe adoperata né per sé, né per altri. Ma
l’amore che aveva per lei era tanto forte che sarebbe andato pure a casa del
diavolo, per farle piacere. Le ricordava, comunque, che era la cosa più
difficile di tutte che una donna volesse riconquistare l’amore di un uomo o un
uomo quello di una donna. Ella doveva essere coraggiosa perché l’incantesimo si
doveva fare di notte, in luoghi solitari e senza compagnia. Doveva vedere se se
la sentiva.
La donna ,più
innamorata che saggia, rispose che avrebbe fatto qualunque cosa per riavere
colui che a torto l’aveva abbandonata. Lo studente poteva ,dunque, mostrarle
cosa doveva fare.
Lo studente, più
furbo del diavolo, disse che doveva fare un’immagine di stagno con il nome
dell’uomo che ella voleva riconquistare. Dopo avergliela mandata, la donna
doveva andare, in una notte di luna calante, nuda in un fiume, tutta sola, e
bagnarsi, tenendo l’immagine in mano, per sette volte nelle acque. Poi, così
nuda, doveva andare sopra un albero o sopra una casa disabitata e, rivolta a
Nord, con l’immagine in mano, per sette volte doveva dire certe parole che egli
avrebbe scritte. Dette le quali, sarebbero andate da lei due damigelle bellissime,
l’avrebbero salutata e le avrebbero domandato cosa voleva che facessero. A loro
la donna doveva esporre con chiarezza i suoi desideri, evitando di confondersi.
Detto ciò ,esse sarebbero andate via ed ella sarebbe potuta scendere al luogo
dove aveva lasciato i panni, rivestirsi e tornarsene a casa. Sicuramente, non
oltre la metà della notte seguente, il suo amante sarebbe andato da lei,
piangendo e chiedendo perdono. Da quel momento in poi non l’avrebbe più
lasciata per nessun altra.
La donna, udendo
quelle parole, ebbe l’impressione di riavere già il suo amante tra le braccia e
più lieta disse
“ Non dubitare,
farò ciò che hai detto, nella maniera migliore. Ho un podere verso Valdarno
Superiore, che è vicino alla riva del fiume; ed è il mese di luglio, sarà
piacevole bagnarsi. Ricordo che non lontana dal fiume vi era uuna piccola torre
disabitata. Raramente, da alcune scale di castagno, salgono, talvolta, i
pastori su un terrazzo per cercare le pecore smarrite. E’ un luogo molto
solitario e fuori mano sul quale salirò per fare quello che mi ordinerai”.
Lo studente, che
conosceva benissimo il luogo e la piccola torre, finse di non conoscere bene la
zona e di fidarsi delle parole della donna. Promise di mandarle al momento
opportuno l’immagine e l’orazione. La pregò, infine, di ricordarsi di lui e di
mantenere le sue promesse.
La donna lo
rassicurò e, preso commiato da lui, se ne ritornò a casa.
Lo studente,
tutto soddisfatto, fece un’immagine con alcuni segni e scrisse una favola come
orazione e, quando gli sembrò il momento, la mandò alla donna, dicendole che la
notte seguente doveva fare ciò che le aveva detto, senza più indugiare. Poi, di nascosto, con un
suo servitore, andò a casa di un amico, che abitava assai vicino alla
torricella, per vedere come andassero le cose.
Anche la donna,
con la sua fantesca, si mise in cammino e se ne andò al suo podere.
Venuta la notte,
fingendo di andare a letto, mandò la domestica a dormire e, uscita
silenziosamente di casa, andò vicino alla torricella, che era sopra la riva
dell’Arno.
Dopo aver
guardato attentamente, non vedendo né sentendo nessuno, si spogliò e nascose i
panni sotto un cespuglio. Poi si bagnò sette volte con l’immagine e, nuda, con
l’immagine in mano, si diresse verso la piccola torre.
Lo studente, che
si era nascosto col suo servitore nei pressi della torre, vedendola passare
così nuda, con il petto e le altre parti del corpo belle, delicate e bianche,
tanto che vincevano l’oscurità della notte, pensando a come sarebbero diventate
di lì a poco, provò compassione per lei. Spinto dal desiderio, fu tentato di
uscire allo scoperto e di farla sua. Ma il ricordo dell’ingiuria ricevuta
riaccese lo sdegno e ,scacciati la compassione e il desiderio della
carne,confermò il suo proposito di vendetta e la lasciò andare.
La donna, salita
sulla torre, rivolta a Nord, cominciò a dire le parole datele dallo studente,
il quale, entrato di nascosto nella torre, levò la scala che saliva sulla
terrazza dov’era la donna e attese.
La donna, detta
sette volte la sua orazione,cominciò ad aspettare le due damigelle.
L’attesa fu così
lunga che, senza subire troppo il freddo, ella vide giungere l’aurora.
Addolorata
perché non era accaduto ciò che le aveva detto lo studente, disse tra sé “Credo
che costui mi abbia voluto dare una notte come quella che io detti a lui; se ha
fatto ciò, non ha saputo vendicarsi bene perché questa notte non è stata lunga
come la sua e il freddo non è stato così intenso”.
Per non farsi
cogliere dalla luce del giorno, volle scendere dalla torre, ma non trovò la
scala. Allora, come se le fosse mancato il mondo sotto i piedi, svenne e cadde
sulla terrazza della torre. Quando le forze le ritornarono, miseramente
cominciò a piangere e a lamentarsi. Ben comprendendo che era stata opera dello
studente, si rammaricò di averlo offeso e di essersi fidata troppo di lui; e
così rimase per moltissimo tempo.
Cercò di trovare
un’altra via per scendere, ma, non vedendola, ricominciò a piangere. Pensò di
essere sventurata perché i suoi fratelli, i suoi parenti e tutti i fiorentini,
trovandola lì nuda, avrebbero riconosciuto che la sua onestà era falsa e lo
studente ,che conosceva tutti i fatti suoi, l’avrebbe confermato.Ella in una
sola ora aveva perduto il suo amore e il suo onore. Per il dolore fu sul punto
di gettarsi dalla torre.
Essendosi già
alzato il sole, mentre guardava se arrivava qualche pastorello,che potesse
chiamare la domestica,vide lo studente che usciva da un cespuglio ed egli vide
lei.
Il giovane le
chiese se erano venute le damigelle. La donna, vedendolo, lo pregò di
avvicinarsi alla torre affinchè potesse parlargli. Lo studente si avvicinò.
Ella, postasi
con il capo sull’apertura della terrazza, piangendo disse “ Rinieri, ti sei
vendicato della brutta notte che ti feci passare perché, sebbene sia luglio, stanotte,
nuda, ho creduto di morire assiderata ed ho pianto tanto per l’inganno che mi
meraviglio che ancora mi sono rimasti gli occhi. Ti prego, non per amor mio, ma
per amor tuo, che sei un gentiluomo, che ti basti come vendetta quello che hai
fatto finora. Ridammi i miei vestiti e fammi scendere di quassù. Non mi
togliere il mio onore. Se non volli stare con te quella notte, ora ti posso
rendere molte notti per quella sola. Non voler esercitare le tue forze contro
una donna. Non c’è nessuna gloria per un’aquila nell’aver vinto una colomba”.
Lo studente,
vedendola piangere e pregare, era combattuto tra il piacere della vendetta
,tanto desiderata, e la compassione per la misera.
Ma non potendo
la pietà vincere il desiderio di vendetta , rispose “ Madonna Elena, se le mie
preghiere, che non furono così dolci come le tue ora, mi avessero, nella notte
in cui io nella corte piena di neve morivo di freddo, consentito di stare un
po’ al coperto, mi sembrerebbe facile ora esaudire i tuoi desideri.
Ma se ti preoccupi
tanto del tuo onore e di stare qui ignuda, rivolgi codeste preghiere a colui
nelle cui braccia, ignuda, stesti quella notte, sentendo me andare avanti e
dietro nel cortile, battendo i denti. E fatti aiutare da lui a ritrovare i tuoi
panni e a cercare la scala per farti scendere. Perché non lo chiami affinchè
venga ad aiutarti? Tu appartieni a lui. Sei sua, chiamalo, stupida che sei, e
prova se l’amore che tu provi per lui e il suo per te ti possano liberare da
questa mia sciocchezza, della quale ridesti a lungo con lui. Non offrirmi ciò
che ora non desidero più e potrei prendermi se lo desiderassi. Riserva le tue
notti al tuo amante, se uscirai viva di qui. A me ne è bastata una ,di notti, e
mi basta essere stato schernito una volta. E ancora con la tua astuzia cerchi
di acquistare la mia benevolenza; ma le tue lusinghe non offuscheranno il mio
intelletto, come fecero le tue sleali promesse. Mi conosco bene, non imparai
tante cose a Parigi, quante me ne facesti conoscere tu in una sola notte.
Seppure volessi essere magnanimo e porre fine alla penitenza e alla vendetta
,per le fiere selvatiche, quale tu sei, la fine di esse deve essere la morte.
Io non sono un’aquila e tu non sei una colomba, ma una serpe velenosa, antico
nemico, che intendo persequire con tutte le mie forze, anche se quello che ti
sto facendo non si può chiamare vendetta, ma castigo. Infatti la vendetta deve
superare l’offesa. Se volessi vendicarmi la tua vita non basterebbe, ma cento
altre, ripensando a come mi trattasti. E che danno può fare il toglier di mezzo
questo tuo bel visetto, che fra poco gli anni guasteranno, riempendolo di
rughe. Mentre tu volevi far morire un uomo valoroso che può essere più utile al
mondo che centomila tue pari. Ti insegnerò con questo castigo che cosa sia schernire
gli uomini sapienti e che cosa sia schernire gli studenti. Farò in modo che,
finché campi, non commetterai più una simile follia. Ma ,se hai tanta voglia di
scendere, perché non ti butti giù? E subito, con l’aiuto di Dio, rompendoti il
collo, uscirai da questa pena e mi farai l’uomo più felice del mondo.
Non ti voglio
dire di più. Io seppi fare così bene a farti salire lassù, tu sappi ora fare
per scendere così bene, come facesti per beffarmi”.
Mentre lo
studente diceva tutte quelle cose ,la sventurata piangeva, il tempo passava e
il sole saliva sempre più in alto. Come tacque, la donna disse “ O uomo
crudele, se non ti impietosiscono la mia bellezza, le mie lacrime e le mie
preghiere, ti renda più mite la fiducia che ho riposto in te, mettendoti a conoscenza
del mio segreto.
Se tu lasci la
tua ira e mi perdoni, io ti prometto di abbandonare il giovane sleale e di
avere solo te per amante e signore, mostrandoti tutta la mia bellezza, sebbene
la ritieni breve e di scarso valore. Benchè sono trattata da te così
crudelmente, non credo che voglia vedermi morire, gettandomi disperata dalla
torre, davanti ai tuoi occhi, ai quali piacqui tanto. Per amor di Dio e per
pietà aiutami, perché il sole comincia ad essere troppo caldo e mi dà
grandissimo fastidio, come il freddo di stanotte”.
Lo studente
rispose “ Madonna ,tu avesti fiducia in me non per amor mio, ma per
riconquistare quello che avevi perduto e pensi che questa sia stata l’unica via
per la mia vendetta, ma sbagli. Avevo preparato mille altri modi per
vendicarmi, molto,peggiori di questo che ho scelto. Se tutti fossero falliti,
mi sarei servito della penna ed avrei scritto di te cose così tremende che,
quando le avresti sapute, avresti desiderato mille volte non essere mai nata.
Le forze della penna sono tanto maggiori di quanto non credono coloro che non
le hanno provate. Giuro su Dio ( se continuerà ad aiutarmi come ha fatto
finora) che avrei scritto di te cose di
cui ti saresti vergognata tanto da cavarti gli occhi. Non mi importa più del
tuo amore e che tu sia mia. Sii pure di colui di cui sei stata, se puoi, il
quale ,come prima odiai, ora amo, vedendo come si è comportato verso di te.
Voi donne vi
innamorate desiderando l’amore dei giovani con le carni più vive e le barbe più
nere, tronfi e impettiti, mentre vanno a cantare e a giostrare. Li ritenete
migliori cavalieri degli uomini attempati e più maturi. Devo ammettere che
essi, certamente, con maggior forza scuotono i pelliccioni, ma gli attempati,
più esperti, conoscono meglio i posti dove stanno le pulci, ed è preferibile
scegliere il poco e saporito che il molto e insipido. Il trottare velocemente
stanca chiunque, sebbene sia giovane, mentre l’andare dolcemente fa procedere
più riposati. Non vi accorgete, animali senza intelletto, della malvagità che è
nascosta sotto la vostra bellezza.
I giovani non
sono contenti di una donna sola, ma quante ne vedono tante ne desiderano,
perciò il loro amore non può essere duraturo, come tu puoi testimoniare.Essi
vogliono essere riveriti e corteggiati dalle loro donne, e si vantano di quelle
che hanno avuto,la qual cosa spinse molte donne a concedersi ai frati, che non
se ne possono vantare.
Non ti illudere
che i tuoi amori li conosciamo solo io e la tua fantesca, la contrada del tuo
amante non parla d’altro ed anche la tua, ma spesso il diretto interessato è
l’ultimo a saperlo. I giovani, inoltre, vi rubano mentre gli attempati vi
donano.
Lascia perdere
me, perché ha trovato una donna molto più bella di te, che mi ha conosciuto
meglio di te. Buttati giù e l’anima tua, ricevuta nelle braccia del diavolo,
vedrà che ,vedendoti precipitare, non ho battuto ciglio.
Ma credo che non
mi vorrà fare questo favore, perciò, visto che il sole si comincia a
riscaldare, mescola il caldo con il freddo che hai provato stanotte e il sole
ti sembrerà meno ardente”.
La misera donna,
vedendo che non riusciva ad impietosirlo, lo pregò, allora, in nome di quella
donna più saggia di lei che aveva detto di amare ricambiato, di perdonarla e di
riportarle i vestiti, affinchè si potesse rivestire e scendere di lì.
La studente
cominciò a ridere e rispose che non sapeva dire di no, visto che l’aveva
pregato in nome della donna amata, ma gli doveva dire dov’erano i suoi vestiti,
chè sarebbe andato a prenderli ,glieli avrebbe portati e l’avrebbe fatta
scendere.
La donna gli
credette e gli spiegò dove aveva messo i suoi vestiti.
La studente,
uscito dalla torre, comandò al suo servo di non allontanarsi e di impedire
l’ingresso alla torre a chiunque, finché non fosse tornato. Poi andò a casa dell’amico,
mangiò con calma e se ne andò a dormire.
La donna,
rimasta sulla torre, si mise a sedere vicino a un muro dove c’era un po’ di
ombra, e cominciò ad aspettare, turbata da amarissimi pensieri. Saltando da un
pensiero ad un altro, ora piangendo, ora sperando, vinta dal dolore e dalla
stanchezza, si addormentò.
Il sole
fortissimo, perché era ormai mezzogiorno, colpiva il tenero e delicato corpo di
lei e la sua testa scoperta con tanta forza che non solo cosse tutte le carni,
ma le screpolò tutte. E la scottatura fu tale che la costrinse a svegliarsi.
Come tentò di
muoversi, le sembrò che tutta la pelle scottata si aprisse e si spaccasse, come
la pelle cotta di una pecora bruciata, se qualcuno la tirasse. Oltre a ciò le
doleva così forte la testa, che sembrava che le si spaccasse. La cosa non
doveva meravigliare perché il terrazzo della torre era così ardente che ella
non poteva trovare alcun riparo. Si spostava di qua e di là piangendo.
Oltre a ciò,
poiché non c’era un alito di vento, erano arrivati, in gran quantità, mosche e
tafani che, posandosi sulle lacerazioni ,la pungevano, che sembravano le
punture di uno spillone. Ella ,continuamente, gettava le mani attorno,
maledicendo sé ,il suo amante e lo studente. Tormentata dal sole ,dal caldo,
dalle mosche e dai tafani, dalla fame e ancor più dalla sete, angosciata da
mille pensieri molesti, si alzò per vedere se trovasse qualche persona lì
vicino, cui potesse chiedere aiuto.
Ma anche in
questo la natura le fu nemica.
I contadini si
erano tutti allontanati dal campo per il caldo, perché quel giorno non si
lavorava ,e quelli che abitavano lì vicino battevano le loro biade.
Udiva solo le
cicale e vedeva l’Arno; la vista delle acque faceva accrescere la sua sete.
La povera
vedova, per il sole, il calore della terrazza, i morsi delle mosche e dei
tafani, mentre durante la notte era diventata tutta bianca per il freddo,
allora era tutta rossa per la rabbia e per gli schizzi di sangue.
A chi l’avesse
veduta, sarebbe sembrata la cosa più brutta del mondo.
Stando lì, senza
speranza di aiuto, aspettava la morte.
Verso l’una e
mezzo del pomeriggio lo studente si svegliò, si ricordò della donna, tornò alla
torre per vedere come stava e mandò il suo servitore, che era ancora digiuno, a
mangiare.
Come la donna
sentì che stava arrivando, venne sopra l’apertura e, piangendo, gli disse
“Rinieri, ti sei vendicato oltre misura, perché ti feci gelare la notte nel mio
cortile, facendomi arrostire su questa torre e, oltre a ciò, facendomi morire
di fame e di sete. Ti prego, in nome di Dio, di salire qui sopra e di darmi la
morte, visto che non ci riesco da sola. Se non mi vuoi fare questa grazia,
almeno fammi portare un bicchiere d’acqua per
bagnarmi la bocca, perché non bastano le mie lacrime, tanta è l’arsura”.
Lo studente
sentì dalla voce la sua debolezza e vide il corpo di lei arso dal sole, per cui
provò un po’ di compassione, ciononostante rispose “ Malvagia donna, non morrai
per le mie mani, ma per le tue, se vorrai, e tanta acqua avrai da me, per
alleviare il tuo caldo, quanto fuoco ebbi da te per alleviare il mio freddo.
Come curai il mio freddo col calore del
letame puzzolente, così tu curerai il tuo caldo con il freddo della profumata
acqua di rose; e come io stetti per perdere le forze e la vita, così tu, scorticata
da questo caldo, resterai come la serpe ,quando cambia pelle”.
La donna disse “
O me sventurata, tu più crudele di una belva, come hai potuto straziarmi in tal
maniera? Che mi sarei potuta aspettare di più da te se avessi ucciso tutti i
tuoi parenti tra crudelissimi tormenti? Neanche un traditore, condannato da
tutta la città, avrebbe avuto la condanna di arrostire al sole, mangiato dalle
mosche. E, oltre a questo, non mi hai voluto dare nemmeno un bicchiere d’acqua,
che non si nega neppure ai condannati, quando vanno a morte. Visto che tu stai
fermo nella tua crudeltà, né ti può smuovere la mia sofferenza, mi disporrò a
morire, pregando Dio di aver misericordia dell’anima mia e di guardare a questa
tua impresa con occhi giusti”.
Detto ciò se ne
andò verso il terrazzo, credendo di morire di sete, piangendo forte.
Essendo ormai al
vespro, lo studente, soddisfatto, fatti prendere i vestiti di lei, andò verso
la casa della donna, dove trovò la fantesca, triste e sconsolata, seduta sulla
porta.
Le chiese se sapeva
dov’era la padrona, ella rispose che non la trovava né lì, né altrove, né
sapeva dov’era andata.
Lo studente,
promettendo anche a lei di vendicarsi alla prima occasione, disse al suo
servitore di darle i panni della padrona perché glieli portasse.
La serva, udendo
le parole scambiate tra i due, temette che l’avessero uccisa e, rapidamente,
piangendo, con il servitore corse verso la torre.
Un contadino
della donna quel giorno aveva smarrito due porci, andandoli a cercare, poco
dopo la partenza dello studente, giunse alla torre. Sentì il pianto sconsolato
della misera donna e gridò “Chi piange lassù?”.
La donna
riconobbe la voce del suo contadino, lo chiamò per nome e gli disse di fare
andare da lei la sua fantesca.
Il lavoratore,
prese le assi della scala ,cominciò a raddrizzarle e a sistemare i bastoni e le
traverse.
Frattanto giunse
la domestica, che, aiutata dal contadino, che aveva accomodato la scala, salì
sul terrazzo.
Vedendo la
padrona, non come un essere umano, ma come un ceppo di legno bruciato, giacere
per terra nuda, cominciò a graffiarsi il viso e a piangere, come se la padrona
fosse morta.
Ma la donna lo
pregò di tacere, ché nessuno doveva sapere quello che era successo.
Il contadino,
dopo molte chiacchiere, presa in braccio la donna che non poteva camminare, la
portò in salvo, fuori dalla torre.
La fantesca, che
era rimasta indietro, scendendo sbadatamente cadde dalla scala e si ruppe una
coscia. Per il dolore si mise a mugghiar come un leone.
Il lavoratore,
poggiata la donna sull’erba, andò a vedere che avesse la serva. Trovatala con
una coscia rotta, la portò sull’erba accanto alla padrona, che sperava di avere
aiuto da lei.
Il contadino,
visto che il sole era tramontato, prima che sopraggiungesse la notte, andò a
casa sua e chiamò i fratelli e la moglie per farsi aiutare.
Sistemata la
domestica su una tavola, la portarono a casa. Poi, rifocillata la padrona con
un poco d’acqua fresca, presala in braccio, la portò nella camera. La moglie
del contadino la lavò, le diede da mangiare e, spogliatala, la mise a letto.
Poi, durante la notte, l’uomo portò le due donne a Firenze.
Giunte a
Firenze, la donna, molto esperta in menzogne, inventò tutta una storia, diversa
da come erano andati i fatti, sia per sé che per la fantesca.
Raccontò ai
fratelli, alle sorelle e a tutti che quelle cose erano accadute per malefici di
demoni.
I medici
curarono, con grandissima sofferenza di lei, che lasciò più volte la pelle
attaccata alle lenzuola, sia la donna, che aveva avuto una fortissima febbre,
sia la domestica che si era rotta la coscia.
La donna,
dimenticato il suo amante, da quel giorno, saggiamente, si guardò dal fare
beffe e dall’amare; lo studente, sentendo che alla fantesca si era rotta una
coscia, si ritenne soddisfatto.
Così, dunque,
capitò alla stolta giovane per le sue beffe rivolte ad un giovane studente. Non
sapeva che gli studenti, non tutti ma la maggior parte, ne sapevano una più del
diavolo.
Perciò le donne
si dovevano guardare bene dal beffare gli uomini e soprattutto gli studenti.
madonna quanto lunga
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