giovedì 15 maggio 2014

QUARTA GIORNATA - NOVELLA N.2

QUARTA GIORNATA –NOVELLA N.2

Frate Alberto fa credere ad una donna che è innamorato di lei l’Arcangelo Gabriele, sotto le cui spoglie più volte giace con lei; poi, per paura dei parenti di lei, fuggito dalla casa, si rifugia nella casa di un pover’uomo, il quale il giorno dopo lo conduce in piazza, travestito da uomo selvatico, dove ,riconosciuto e preso dai suoi frati, è incarcerato.

Le lacrime per la novella raccontata dalla Fiammetta avevano riempito gli occhi delle compagne; Filostrato commentò che egli sarebbe morto volentieri pur di provare solo una piccola parte del piacere provato da Ghismunda con Guiscardo.
 Fece ,poi, segno di proseguire a Pampinea, che, per rallegrare l’animo commosso delle compagne, decise di raccontare una novella un po’ più allegra, senza allontanarsi dal tema proposto.
Iniziò, dunque, il racconto citando un proverbio popolare “ chi è reo ,e buono è creduto, può fare il male e non è creduto”, a testimonianza dell’ipocrisia dei religiosi. Essi, con cappe larghe e lunghe, con visi pallidi, usano voci umili e mansuete nel chiedere agli altri, invece voci aspre e fiere nel rimproverare agli altri i loro stessi vizi. Assegnando ,come se fossero i padroni del paradiso, a chi muore posti più o meno eccellenti, secondo la quantità di danaro lasciata loro, ingannano i fedeli.
Pampinea si augurava che, col piacere di Dio, potessero essere svelate le loro menzogne, come capitò ad un frate minore, non giovane, che era ritenuto a Venezia uno fra i più autorevoli sacerdoti.
Di quello voleva raccontare per rallegrare gli spiriti, rattristati per la morte di Ghismunda.
Visse, dunque, ad Imola, in uomo scellerato e corrotto, chiamato Berto della Massa, le cui opere malvagie erano conosciute da tutti e gli imolesi non gli credevano sia che dicesse la bugia che la verità.
Non potendo più vivere ad Imola, si trasferì a Venezia, che accoglieva tutti gli scarti umani. Qui, pentito di tutte le cattive azioni commesse, pervaso da grande umiltà, divenuto religioso, si fece frate minore col nome di Alberto da Imola, facendo penitenza e astinenza e né mangiava carne ,né beveva vino, quando non ne aveva di buono. Da falsario, ladrone, ruffiano, omicida, divenne gran predicatore, e, fattosi prete, quando celebrava la messa sull’altare piangeva per la passione di Cristo.
In breve, seppe conquistare così bene la fiducia dei veneziani che tutti , quando dovevano fare testamento, gli chiedevano consiglio, gli affidavano i loro denari, si confessavano e si fidavano di lui.
Così facendo da lupo era diventato pastore e la sua fama era maggiore di quella di San Francesco d’Assisi.
Un giorno una donna sciocca e scema, di nome madonna Lisetta, della famiglia dei Quirini, si andò a confessare da lui e gli raccontò tutti i fatti suoi, da veneziana chiacchierona qual’era.
Frate Alberto le chiese se aveva un amante. Ella rispose ,in malo modo, che ,se avesse voluto, ne avrebbe trovati troppi di amanti, perché era bella come una del Paradiso. Continuò poi, a dire tante altre cose sulla sua bellezza. Il frate capì che era scema e adatta a lui e se ne innamorò. Dopo averla rimproverata per la sua vanità ed averla confessata, la lasciò andar via con le altre donne.
Dopo alcuni giorni, con un fedele compagno, si recò a casa di madonna Lisetta e le disse che si era molto rammaricato per averla rimproverata per la sua vanità. Continuò dicendo che la notte era venuto presso di lui un giovane bellissimo che, con un grosso bastone, presolo per la cappa e gettatolo ai suoi piedi, gli aveva dato un sacco di bastonate.
Il frate, dolorante, gli aveva chiesto chi era e perché lo aveva bastonato. Il giovane aveva risposto che era l’angelo Gabriele, che amava madonna Lisetta sopra ogni altra cosa, al di fuori di Dio. Aveva aggiunto che Lisetta era di una bellezza celestiale e che non meritava il rimprovero del frate.  
L’angelo gli aveva imposto di andare dalla donna per chiederle scusa e ottenere il suo perdono.
La donna, con poco sale in zucca, godeva tutta di quelle parole e credeva di essere veramente di una bellezza celestiale. Perdonò volentieri il frate e gli chiese che altro aveva detto l’angelo.
Frate Alberto, in gran segreto, le riferì che l’Angelo Gabriele voleva che le dicesse che gli piaceva tanto e che sarebbe andato spesse volte, di notte, a stare con lei ,se non avesse temuto di spaventarla.
L’angelo le chiedeva, tramite il frate, se poteva andare una notte, per stare per lungo tempo con lei.
Precisò che ,poiché sotto l’aspetto di angelo non avrebbe potuto essere toccato da lei, avrebbe assunto le sembianze umane. La donna doveva fissargli un appuntamento e dirgli sotto quale aspetto si doveva presentare.
La stupida rispose che le piaceva molto l’angelo Gabriele e gli accendeva sempre una candela in chiesa dove c’era un suo dipinto, Aggiunse che, quando voleva venire, era il benvenuto ed ella l’avrebbe aspettato, tutta sola, nella sua camera, a patto che non avesse lasciato lei per la Vergine Maria, cui era molto legato ; poteva venire da lei in qualsiasi forma.
Allora frate Alberto le chiese, come una gran grazia, di consentire che l’angelo assumesse il suo corpo per andare da lei.. E precisò che per tutto il tempo che l’angelo Gabriele sarebbe nel corpo suo con lei, l’anima del frate sarebbe stata in Paradiso. La sciocca acconsentì.
Il furbastro, che non stava più in sé dalla gioia, se ne andò, attendendo con ansia il momento dell’incontro.
Cominciò a mangiare cose buone e dolci, in modo da mettersi bene in forze.
Come si fece notte, con un compagno fidato, entrò nella casa di un’amica, sua complice, per organizzare il tutto.
Dopo un po’ di tempo portò nella casa della complice alcuni attrezzi , con i quali si trasformò in angelo ed entrò nella camera della donna.
Come Lisetta lo vide, così bianco, gli si inginocchiò ai piedi. Egli la benedì, le fece segno di andare a letto e si coricò accanto alla sua devota.
Frate Alberto era un uomo bello e forte, la donna, fresca e morbida, trovò molto più piacevole giacere con lui che con il marito. E , quella notte, volarono senz’ali molte volte.
Avvicinandosi l’alba , l’imbroglione se ne tornò dal compagno ,al quale la femmina complice aveva fatto buona compagnia.
Madonna Lisetta, dopo pranzo, andò dal frate e gli raccontò tutte le novità dell’angelo Gabriele, aggiungendo molti particolari.
Il frate rispose che mentre l’angelo era con lei, era stato , con l’anima in un luogo bellissimo fino al mattino, mentre non sapeva dove era stato il suo corpo.
Prontamente la donna rispose che era stato con lei insieme all’angelo, e, a riprova di ciò, doveva guardare sotto il braccio destro, dove aveva dato all’angelo un bacio così forte che gli sarebbero rimasti i segni per molti giorni. Il frate rispose che avrebbe controllato.
La donna se ne ritornò a casa e ricevette per molti giorni frate Alberto , convinta che fosse l’angelo.
Un giorno madonna Lisetta, per vantare la sua bellezza con una comare, le rivelò che ella era amata , nientemeno che, dall’angelo Gabriele, il quale le diceva che era la donna più bella del mondo e della maremma.
La comare, incredula, affermò che non le risultava che gli angeli amassero come gli uomini e facessero del sesso. Ma Lisetta rispose che l’angelo, con la pace di Dio, lo faceva meglio che suo marito, che era innamorato e veniva spesso a stare con lei.
La pettegola, allontanatasi, raccontò la cosa ad una gran brigata di donne, che la raccontarono ai loro mariti e ad altre donne. Così, rapidamente, tutta Venezia ne fu piena.
Ben presto ne furono informati anche i cognati di Lisetta, che per scoprire l’angelo, si appostarono per molte
notti.
Di questo fatto arrivò notizia anche a frate Alberto, che, una notte, appena giunto nella camera della donna, sentì battere dai cognati alla porta per aprirla. Subito scavalcò la finestra e si buttò nell’acqua del Canal Grande, che scorreva di sotto. Il canale era profondo e non si fece alcun male. Nuotando giunse alla casa di un buon uomo, che lo accolse, lo mise a letto, chiuse la porta e se ne andò per i fatti suoi.
I cognati di Lisetta ,entrati nella camera, videro che l’angelo Gabriele, lasciate le ali ,se ne era volato via. Presero tutti gli arnesi e se ne andarono, lasciando la donna sola e sconsolata.
Il buonuomo che aveva accolto il frate fuggiasco, essendo a Rialto, udì come l’angelo Gabriele era andato ,di notte, a giacere con madonna Lisetta e che i cognati lo cercavano.
Ritornato a casa, chiese al frate cinquanta ducati, altrimenti l’avrebbe consegnato ai cognati di lei. Ciò fu fatto.
Per uscire dalla casa il buon uomo consigliò al frate un travestimento o da orso o da selvaggio, per recarsi alla festa del cinghiale in piazza San Marco, dove l’avrebbe condotto, mascherato.
Disse che era l’unico modo per sfuggire ai cognati che lo stavano cercando e che l’avrebbero subito riconosciuto.
Frate Alberto, malvolentieri, accettò, non vedendo altra soluzione.
L’uomo unse di miele il frate e poi ci gettò sopra piume di uccello, gli mise una corda al collo e una maschera sul capo, gli diede un bastone e gli pose al guinzaglio due cani feroci.
Poi mandò uno al Rialto a dire che bisognava che tutti andassero in piazza San Marco a vedere l’angelo Gabriele.
Subito tutti si riversarono in piazza, dove l’uomo legò il selvaggio ad una colonna, mentre mosche e tafani, attratti dal miele, gli davano gran fastidio.
Quando l’uomo vide che la piazza era ben piena, tolse la maschera a frate Alberto e disse “Signori, poiché il cinghiale non arriva e la festa non si fa, perché non siate venuti inutilmente, voglio farvi vedere l’angelo Gabriele ,il quale la notte scende dal cielo in terra per consolare le donne veneziane”.
Immediatamente frate Albero, riconosciuto da tutti, fu ingiuriato e colpito con avanzi di cibo e sporcizia di ogni genere.
La notizia giunse ai frati minori, sei dei quali vennero a Venezia, lo sciolsero, lo coprirono con un mantello e lo portarono al convento, dove fu tenuto in prigione fino alla morte.
Così costui, essendo ritenuto buono mentre era malvagio, osò farsi credere l’angelo Gabriele.
Trasformato, poi, in selvaggio, a lungo andare, accusato come meritava, invano pianse per i peccati commessi.
La narratrice si augurò che ,col volere di Dio, così potesse capitare a tutti gli altri.




4 commenti:

  1. ollare gang lean nel calice di fuoco vinco la prova del cuoco

    RispondiElimina
  2. ma maremma toscana c'è è raccontata benissimo ma un po' più corta ho il compito domani è devo copiarla su un foglio protocollo ora e digli che domani lo scritta io ma un po' più corta no va be comunque grazie lo stesso

    RispondiElimina
  3. Siiuuuuuu! Vamo raga in bocca lupo forsa giuve!! Fino ala fine.

    RispondiElimina