SECONDA GIORNATA – NOVELLA N.9
Bernabò da Genova, ingannato da Ambrogiuolo, perde i suoi averi e
comanda che la moglie innocente sia uccisa; la donna si salva e vestita da uomo
serve il Sultano : ritrova l’ingannatore, conduce Bernabò ad Alessandria,
dove, punito l’ingannatore, ripresi gli abiti femminili, ritorna ricca a Genova
con il marito.
Avendo finito Elissa , dovevano raccontare solo Filomena ,la
regina e Dioneo, al quale la regina aveva promesso che avrebbe raccontato per
ultimo.
Cominciò, dunque, Filomena dicendo che tra la gente del
popolo era diffuso un proverbio che diceva che spesso l’ingannatore rimaneva ai
piedi dell’ingannato. Ella col suo
racconto voleva dimostrare la verità del proverbio che poteva essere utile a
tutti.
Si trovavano a Parigi alcuni ricchissimi mercanti italiani,
ognuno per i suoi affari, che una sera cominciarono a parlare delle loro mogli,
che avevano lasciate a casa.
Uno, scherzando, disse che non sapeva che faceva sua moglie
a casa, ma egli se si presentava una giovinetta, non se la lasciava scappare,
separando il lato dell’amore da quello del piacere.
Così discorrevano supponendo che anche le loro mogli
,lasciate a casa, si dessero da fare , senza perder tempo. Solo Bernabò
Lomellin da Genova sostenne il contrario, dicendo che sua moglie, bella,
giovane e onesta come nessun’altra in Italia, si dedicava in casa ai ricami di
seta ed altre cose meglio di chiunque altra .
Sostenne che tutta la servitù l’amava perchè era gentile,
saggia e discreta.
Continuò lodando la moglie perché sapeva cavalcare, aveva un
uccello e sapeva leggere, scrivere e far di conto come un mercante. Infine,
concluse col dire che non si poteva trovare nessuna donna casta e onesta come
lei, che, in dieci anni di matrimonio, non era mai uscita di casa, né aveva mai
parlato con uomini.
Tra i mercanti c’era un certo Ambrogiuolo da Piacenza che,
udendo le lodi che Bernabò faceva della moglie, si sganasciò dalle risate,
sostenendo che non era possibile tanta onestà. Infatti Dio creò l’uomo,
l’essere perfetto, saldo nella sua fermezza, e dopo di lui la donna, che invece
era mobile e poteva essere facilmente tentata dalle preghiere, dalle lusinghe,
dai doni di un uomo che l’amasse , e continuò così per molto tempo.
Un po’ turbato Bernabò rispose che non era un filosofo ma un
mercante e come mercante avrebbe risposto. Sapeva bene che questo poteva
accadere alle donne stolte, che non avevano vergogna, mentre quelle oneste,
come sua moglie, quando avevano a cuore il loro amore, diventavano più forti
degli uomini.
Ambrogiuolo ribattè che, se per ogni tradimento fosse
comparso sulla fronte delle donne un bel corno, certamente non lo avrebbero
fatto, in verità non tradivano i mariti solo quelle che non erano pregate da
alcuno o, pregando loro stesse, non
erano accontentate.
Concluse, infine, dicendo che se fosse stato vicino alla
santissima donna di Bernabò in poco tempo l’avrebbe conquistata. Bernabò.
Infastidito, propose una scommessa: si sarebbe fatto tagliare la testa se
l’altro avesse convinto sua moglie al tradimento, se invece non ci riusciva
l’avversario avrebbe perso solo mille fiorini d’oro. Ambrogiuolo modificò la
posta proponendo di incontrarsi ,passati tre mesi , nuovamente a Parigi.
Se la donna, nel frattempo, aveva ceduto alle lusinghe del
mercante, Bernabò doveva pagare cinquemila fiorini d’oro ,meno cari della sua
testa; se la donna aveva resistito, Ambrogiuolo avrebbe pagato i mille fiorini
già pattuiti. Concordarono in tal modo e l’obbligazione fu messa per iscritto,
con le firme di entrambi, anche se i compagni lo sconsigliavano, temendo che
potesse venirne un gran male.
Giunto a Genova, il mercante cominciò ad informarsi sulle
abitudini della donna, si rese conto che Bernabò aveva detto la verità
sull’onestà e i costumi della moglie e gli parve di essersi imbarcato in una
impresa folle.
Pure non desistette e, avvicinata una povera donna, che
serviva in casa di Bernabò, la corruppe con il denaro perché lo portasse nella
camera della gentildonna in una cassa ,dove rimase fino a notte inoltrata.
Quando fu sicuro che la donna dormiva, aperta la cassa ,uscì
nella camera illuminata da un lume.
Si guardò intorno molto attentamente, per imprimere nella
memoria tutti i particolari. Poi, avvicinatosi al letto dove la donna dormiva
profondamente, con accanto una bambina, la scoprì tutta e vide che sotto la
mammella sinistra aveva un neo, intorno al quale erano alcuni peluzzi biondi
come oro.
Non si arrischiò a coricarsi vicino a lei, anche se lo
desiderava ardentemente, per timore che si potesse svegliare. Rimase nella
camera buona parte della notte, prese una borsa, una sottoveste, un anello e
una cintura e ritornò nella cassa.
Così fece per due notti senza che la donna si accorgesse di
nulla.
Il terzo giorno ordinò alla serva di portare via la cassa da
cui prontamente uscì .
Ricompensata la domestica, portando con sé le cose che aveva
preso nella camera, tornò a Parigi prima che scadesse il termine. Colà, alla
presenza dei mercanti, comunicò a
Bernabò di aver vinto la scommessa e portò come prova le cose che aveva preso,
fingendo di averle avute dalla donna, infine, descrisse la forma della camera e
i dipinti che vi erano.
Il genovese ammise che la camera era così e che le cose che
il furfante aveva mostrato erano della sua donna, ma ribatteva che aveva potuto
averle da un servitore.
Alfine, per eliminare ogni dubbio, Ambrogiuolo disse che
madonna Ginevra aveva un neo ben grandicello , sotto la mammella sinistra,
intorno al quale c’erano forse sei peluzzi come oro.
Nell’udire ciò Bernabò provò un colpo al cuore, impallidì
tutto, perché quella era la prova inconfutabile che Ambrogiuolo aveva detto la
verità. Pagò, dunque, i 5000 fiorini d’oro e, adirato contro la sua donna,
venne a Genova.
Si fermò a venti miglia dai suoi possedimenti e scrisse alla moglie di andargli incontro.
Affidò ad un servo la lettera , gli ordinò di uccidere la donna senza pietà e
di tornare da lui.
Il giorno dopo, durante il viaggio, il servo, per obbedire
agli ordini del padrone, tirò fuori un coltello e disse alla nobildonna di
raccomandare l’anima a Dio. La donna ,presa da un grande spavento, gli chiese
perché voleva ucciderla, il poveretto rispose che quello era l’ordine del
marito e che non poteva disobbedire, anche se non conosceva il motivo. La donna
lo supplicò ,per amor di Dio, di non diventare un assassino, lei non aveva
commesso nessuna colpa. Pensò ,allora, di far piacere sia a Dio che a suo
marito, dette al servo i suoi abiti e prese da lui un farsetto e un cappuccio.
Gli disse , poi ,di ritornare da Bernabò e di dire che
l’aveva uccisa.
Il servitore, avendone pietà, assecondò il piano, le dette
il farsetto , il cappuccio , un po’ di soldi e, raccomandandole di fuggire, la
lasciò ai piedi del vallone. Andò dal padrone e gli disse che l’aveva uccisa e
aveva lasciato il corpo ai lupi.
Bernabò a Genova fu molto biasimato per il fatto.
La donna, rimasta sola, sconsolata, vestita da uomo, andò ad
un villaggio lì vicino.
Procuratasi da una vecchia quello che le serviva,
accorciatosi il gilè, fattasi una camicia, tagliatisi i capelli, si trasformò
in un marinaio e andò verso il mare. Qui si imbattè in un gentiluomo catalano
di nome En Carach, che, sceso dalla nave, era andato ad Alba per rinfrescarsi
ad una fontana.
Il marinaio disse che si trovavano tra la Francia e la
Liguria,di chiamarsi Sicurano da Finale (Ligure) e chiese di imbarcarsi . Il
nobiluomo lo assunse al suo servizio e lo apprezzò molto per la grande
laboriosità e devozione. Un bel giorno ,il catalano, con la sua nave, approdò
ad Alessandria per commerciare, mostrò al Sultano alcuni falchi da caccia
ammaestrati e glieli regalò.
Il Sultano, non contento del dono, avendo apprezzato i modi
di Sicurano ,chiese al mercante di lasciarglielo come servitore. Il giovane si
fece molto stimare dal Sultano, come aveva fatto con il catalano.
Frattanto, come ogni anno, si doveva organizzare in San
Giovanni d’Acri (Siria), che era sotto il governo del Sultano, una importante
fiera, con un gran raduno di mercanti sia saraceni che cristiani. Perché i
mercanti e le loro mercanzie fossero al sicuro, il sovrano era solito mandare
un esercito con un comandante e molte guardie a sorvegliare., scelse come
comandante Sicurano.
In Acri Sicurano,
signore e capitano della guardia, fece molto bene il suo lavoro e conobbe molti
mercanti della sua terra, andando in giro per la fiera.
Un giorno, giunto davanti ad un magazzino veneziano, vide,
tra le altre cose , una borsa ed una cintura che erano state sue. Si meravigliò
e , senza darlo a vedere, chiese di chi erano e se il proprietario voleva
venderle.
Il negozio apparteneva ad Ambrogiuolo da Piacenza che, per
caso, era venuto in fiera con le sue mercanzie su una nave veneziana. Sentita
la richiesta, il mercante si mise a ridere e non volle vendere la borsa e la
cintura. Raccontò che quelle cose, insieme con altre, gliele aveva donate una
gentildonna di Genova, chiamata Ginevra, moglie di Bernabò Lomellino, una notte
che era stato con lei, come pegno del suo amore.
Continuava a ridere perché Bernabò, da stupido qual’era,
aveva scommesso 5000 fiorini d’oro sull’onestà della donna, contro i suoi 1000
fiorini.
Aggiunse, ancora, che Bernabò avrebbe dovuto punire sé
stesso piuttosto che la donna, che aveva fatto quello che tutte le donne fanno.
E concluse dicendo che aveva sentito che il mercante, ritornato a Genova, aveva
fatto uccidere la moglie.
Sicurano, sentendo ciò, comprese la ragione dell’ira del
marito verso di lei e la causa del suo male e decise di vendicarsi.
Finse,comunque, di divertirsi molto al racconto
e diventò molto amico di Ambrogiuolo, tanto che,
finita la fiera, lo fece andare con lui ad Alessandria, gli
fece aprire un negozio e gli diede molti soldi suoi.
Poi cercò in tutti i modi di far andare ad Alessandria
Bernabò , che si era ridotto assai male, con alcuni mercanti genovesi e lo fece
alloggiare presso dei suoi amici.
Pregò, poi, il Sultano, al quale Ambrogiuolo aveva
raccontato ,tra molte risate,la vicenda, di fare venire in sua presenza
Ambrogiuolo e Bernabò, per farsi dire dal furfante, in presenza di Bernabò, la
verità su ciò che era avvenuto con Ginevra e come aveva vinto i 5000 fiorini
d’oro.
L’imbroglione, minacciato severamente sia dal sultano che da
Sicurano, fu costretto a raccontare come era andato veramente il fatto.
Sicurano, allora, si rivolse a Bernabò e gli chiese che cosa
aveva fatto alla sua donna per quella bugia., l’uomo rispose che l’aveva fatta
uccidere da un suo servo e che era stata divorata dai lupi.
Chiarita tutta la storia, Sicurano chiese al Sultano di
voler punire l’ingannatore e perdonare l’ingannato, mentre lui avrebbe fatto
venire alla presenza di tutti la donna.
Il Sultano lo volle accontentare e gli ordinò di far venire
la donna.
Di fronte a Bernabò, che la credeva morta, e a Ambrogiuolo,
che temeva il peggio, Sicurano, gettatosi ai piedi del Sultano, rivelò che era
Ginevra e che sotto vesti maschili, per sette anni, era andata in giro
miseramente, falsamente accusata da un traditore e mandata ad uccidere dal
marito ,uomo crudele ed iniquo.
Si stracciò i panni di dosso e mostrò il petto , affinchè
fosse chiaro a tutti che era femmina e rivolta ad Ambrogiulo gli chiese quando
mai era giaciuto con lei, come fino ad allora si era vantato.
Il bugiardo ,riconoscendola, rimase muto per la vergogna.
Il Sultano ,che l’aveva conosciuta come uomo, si meravigliò
molto e lodò sommamente la virtù e l’onestà di Ginevra. Le fece indossare
ricchi abiti femminili e fece venire molte donne che le tenessero compagnia.
Perdonò Bernabò, come la donna aveva chiesto ed ella, sebbene non ne fosse
degno, l’abbracciò teneramente.
Il sovrano comandò
,poi, che Ambrogiuolo fosse legato ad un palo, al sole, unto di miele e lì
rimanesse fino alla morte. E così fu fatto.
Comandò, ancora, che fosse donato a Ginevra tutto ciò che
era appartenuto al condannato, del valore di diecimila doppie. Per onorare
quella donna molto valorosa fece preparare una grande festa e le donò gioielli
e vasi d’oro e d’argento ,del valore di altre diecimila doppie.
Infine, data loro una nave, fece tornare marito e moglie a
Genova, ricchissimi e felici.
A Genova, Ginevra ,creduta morta, fu accolta con grandi
onori.
Ambrogiuolo ,nello stesso giorno, fu legato al palo e unto
di miele e non solo fu ucciso ma fu divorato fino alle ossa da mosche, vespe e
tafani. Le sue ossa bianche rimasero lì per molto tempo a testimonianza della
sua malvagità . E così “ l’ingannatore rimase ai piedi dell’ingannato”.
Nessun commento:
Posta un commento