giovedì 26 dicembre 2013

SECONDA GIORNATA – NOVELLA N.5


 Andreuccio da Perugia, venuto a Napoli a comprar cavalli, incappato in tre gravi incidenti, scampato a tutti, torna a casa con un rubino.


Fiammetta, alla quale toccava di raccontare, cominciò a dire che le pietre preziose trovate da Landolfo, le avevano ricordato un’altra novella, che, però, riportava gli avvenimenti di una sola notte.
Viveva a Perugia un giovane chiamato Andreuccio di Pietro, sensale di cavalli, il quale, avendo udito che a Napoli si vendevano degli ottimi cavalli, con nella borsa 500 fiorini d’oro, senza mai essere uscito di casa, partì con altri mercanti.
Giunto a Napoli una domenica, dopo il vespro, seppe dall’albergatore che l’indomani, a piazza Mercato , ci sarebbe stata la vendita dei cavalli.
Ne vide di molto belli, che gli piacquero e iniziò le trattative e, per mostrare che era in grado di pagare, da persona poco esperta, più volte, a destra e a manca, faceva vedere la borsa piena di fiorini ,che aveva con sé. Mentre discuteva, passò di lì una giovane siciliana bellissima, di facili costumi ,senza essere vista, vide bene la borsa e subito pensò che sarebbe stata meglio nelle sue mani.
Era con lei una vecchia anch’essa siciliana, la quale, come vide Andreuccio, gli corse incontro e lo abbracciò affettuosamente, la giovane notò tutto ma rimase in silenzio. Andreuccio le fece una gran festa, la invitò al suo albergo e se ne andò.
La ragazza che aveva seguito tutta la scena, pensando ad un piano per impadronirsi del denaro, si avvicinò alla vecchia e ,cautamente, cominciò a domandare chi era e da dove veniva il giovane, che cosa faceva lì e come lo conosceva. La donna spiegò che era stata a lungo in Sicilia col padre di lui e poi aveva vissuto a Perugia.
La giovane ,informata di tutto, maliziosamente si organizzò.
Impegnò la vecchia in lavori per l’intera giornata, affinchè non potesse andare a trovare il mercante.
Presa, poi, con sé una servetta molto sveglia, la mandò all’albergo dove Andreuccio si trovava, per riferirgli che una gentildonna di Perugia gli avrebbe parlato volentieri.
Egli, lusingato, si guardò allo specchio e, ritendosi un bel ragazzo, pensò che la donna si era innamorata di lui, come se a Napoli non ci fossero bei ragazzi; subito accettò l’invito e seguì la servetta ,senza dire niente, all’albergo.
La servetta ,rapidamente, condusse il giovane nel vicolo chiamato “Malpertugio” e già il nome indicava che era un luogo malfamato.
Ma egli, niente sospettando, lo ritenne un posto tranquillo.
Appena arrivati alla casa, la fantesca gridò “Ecco Andreuccio”. La donna era sulla scala ad aspettarlo, era giovane ,alta, con un viso bellissimo, con abiti distinti. Gli corse incontro scendendo le scale, con le braccia aperte, piangendo, gli baciò la fronte e ,con voce rotta dall’emozione, disse “ Andreuccio mio, tu sii il benvenuto”.
Egli fu molto sorpreso per l’accoglienza. La donna gli prese la mano e lo condusse prima in sala e poi nella sua camera, piena di fiori, profumata, con un letto di lusso, molti abiti e ricchi arredi, per cui ,il poverino credette di trovarsi alla presenza di una gran dama.
Postasi a sedere vicino al letto, tra lacrime e carezze, la donna gli raccontò che era sua sorella, ed era felice di aver ritrovato uno dei suoi fratelli prima di morire. Continuò col dire che Pietro, padre di entrambi, aveva dimorato ,per lungo tempo a Palermo, dove era stato molto amato da una gentildonna vedova, che deposta la paura del padre, dei fratelli e del disonore, si unì a lui e gli dette una figlia, cioè lei. Pietro, in seguito, dovette partire da Palermo e ritornare a Perugia, lasciando madre e figlia nella città, senza più cercarle, né ricordarsi minimamente di loro, dimostrandosi sommamente ingrato e meritevole di biasimo.
Cresciuta a Palermo, la madre che era ricca, la diede in moglie ad un uomo gentile e per bene di Agrigento (Girgenti), che, per amor suo ,si trasferì a Palermo.
Durante le guerre tra Angioini (Francesi) e Aragonesi (Spagnoli) , dovettero fuggire dalla Sicilia.
Prese poche cose, lasciate tutte le ricchezze, si rifugiarono a Napoli ,accolte da re Carlo, che, per riparare ai danni subiti, dette loro terre e possedimenti e continuò a proteggerle, dando aiuto al marito e cognato di Andreuccio, suo dolce fratello. Il giovane, udendo il racconto, tanto preciso, raccontato senza nessuna incertezza, ricordandosi che, veramente, il padre era stato per un certo tempo a Palermo, conoscendo i costumi dei giovani, vedendo le lacrime, gli abbracci e gli onesti baci, ritenne ciò che la donna diceva assolutamente vero. Meravigliato ,dichiarò che mai il padre aveva accennato di lei e della madre. Pure era felicissimo di aver trovato a Napoli dov’era solo e senza compagnia, un sorella così raffinata, mentre lui era un piccolo mercante. Chiese, comunque, come aveva saputo chi era.
Ella rispose che la mattina glielo aveva detto una donna che aveva vissuto, per molto tempo, con il padre a Palermo e poi era andata a vivere a Perugia.
Poi cominciò a informarsi di tutti i parenti, elencandone i nomi, cosa che convinse maggiormente Andreuccio.  La donna fece poi portare del greco (vino) locale e dolciumi, offrì da bere al giovane e ,visto che voleva ritornare in albergo, finse di rammaricarsi molto e lo invitò a cena, sebbene non ci fosse il marito. Preoccupandosi l’uomo di dover avvisare l’albergatore, la donna finse di inviare un servo all’albergo per avvertire che il mercante sarebbe rimasto fuori.
Cenarono ,poi, lietamente fino a notte inoltrata. Al momento di congedarsi , astutamente, ella sconsigliò al giovane di avventurarsi per le strade di Napoli, che erano malsicure, soprattutto per un forestiero e lo invitò a dormire nella sua camera,  infine ,si ritirò con la servitù nell’altra camera.
Rimasto solo ,Andreuccio, per il gran caldo , si svestì ,e poggiò i suoi abiti ai piedi del letto, rimanendo in gilè. Dovendo andare in bagno, chiese ad un fanciullo dove si trovava il gabinetto. Seguendo le indicazioni, senza alcun sospetto, entrò e pose il piede su una tavola che si capovolse facendolo cadere di sotto, dove si raccoglievano i liquami delle feci.
Era caduto in un buco, come ce ne sono spesso tra due case, su cui erano poste due travi, dove sedeva la gente che doveva defecare. Trovandosi, dunque, nel buco, cominciò a chiamare lo scugnizzo che, invece ,era andato ad avvisare la donna.
Ella senza preoccuparsi, cercò tra i panni dello sventurato i denari e, avendoli trovati ,se ne appropriò.
Andreuccio, compreso l’inganno, faticosamente, riuscì a risalire dal buco e andò a bussare lungamente con violenza alla casa, ma non ebbe alcuna risposta.
Piangendo, perchè comprendeva bene la sua disavventura , disse “O me misero, in poco tempo ho perduto 500 fiorini e una sorella”.
Tanto bussò e picchiò che svegliò tutto il vicinato, chiedendo chi conosceva madama Fiordaliso, di cui era il fratello. Tutti, ridendo, lo schernirono e richiusero le finestre.
Ben presto il dolore si tramutò in rabbia ed il giovane continuò a picchiare contro l’uscio , con una gran pietra, creando un putiferio. Alla fine si udì una voce terribile che chiedeva chi era laggiù, che disturbava.
L ‘uomo, che a giudizio di Andreuccio, doveva essere una persona importante, minacciò di dargli tante bastonate, perché si comportava come un asino fastidioso e ubriaco e non lasciava dormire nessuno.
Il mercante, ascoltando i consigli di alcuni vicini, che temevano per la sua vita, si allontanò, disperato per i denari perduti, non sapendo dove andare e come ritornare all’albergo.
Sentendo un gran puzzo provenire da sé stesso, desideroso di gettarsi in mare per lavarsi, girò a sinistra e andò per la via Catalana.
Per sfuggire a due uomini che venivano verso di lui con una lanterna, si rifugiò in un casolare.
Purtroppo, anche i due entrarono nel casolare. Uno si tolse di dosso alcuni attrezzi che teneva sulle spalle e si guardò intorno, per individuare da dove proveniva il gran puzzo che si sentiva.
Finalmente scovò il poveretto , che cercava di nascondersi in tutti i modi.
Una volta scoperto, Andreuccio raccontò la sua disavventura. Immediatamente capirono che si trattava di Buttafuoco ,lo scarafaggio, e gli dissero di rallegrarsi perché se era vero che ,in quella notte ,aveva perso i denari, aveva ,comunque, salvato la vita perché non era stato ammazzato da Buttafuoco, che era un furfante matricolato. Mossi a compassione, lo invitarono ad unirsi a loro per aiutarli in ciò che dovevano fare. il giovane accettò.
In quel giorno era stato seppellito nel Duomo di Napoli, l’arcivescovo Filippo Minutolo, con ricchissimi ornamenti e con al dito un anello ,che valeva molto più dei suoi 500 fiorini , con un rubino che i due malandrini volevano rubare. Rivelarono il loro piano ad Andreuccio e lo convinsero a collaborare.
Poiché il giovane puzzava molto, per lavarlo lo portarono presso un pozzo vicino al Duomo .
Giunti al pozzo, poiché mancava il secchio per tirar su l’acqua,  lo legarono alla fune e lo calarono giù, accordandosi che ,una volta lavato, desse uno strattone alla fune, per farsi tirare su.
Mentre era in fondo, alcune guardie si avvicinarono al pozzo per bere, i ladri, vedendo che i gendarmi si avvicinavano, fuggirono a gambe levate, lasciando il giovane nel fondo.
Andreuccio, lavatosi, diede uno strattone alla fune, le guardie, pensando che il secchio si era riempito tirarono su.
Come il giovane toccò il bordo del pozzo ,si gettò sulla sponda , i gendarmi ,spaventati, fuggirono, mentre
egli raggiunse i due compari.
A mezzanotte, di soppiatto ,andarono al Duomo, entrarono facilmente e si avvicinarono al sepolcro che era di marmo e molto grande. Sollevarono il coperchio che era pesantissimo, in modo che vi potesse entrare un uomo, e lo puntellarono.
Bisognava che uno di loro entrasse nell’arca e Andreuccio  fu costretto ad entrarvi con le minacce.
Temendo che ,una volta portati fuori i gioielli dell’arcivescovo, i compagni potevano fuggire , lasciandolo nell’arca senza niente, ricordandosi del prezioso anello, lo sfilò dal dito del religioso e lo infilò al suo.
Poi spogliò il morto completamente e dette ai due tutto il resto, dicendo che non c’era più niente.
I ladroni insistevano perché cercasse l’anello, nel frattempo, tirarono via il puntello e lo chiusero nell’arca.
Il poveretto cercò ,in tutti i modi, col capo e con le spalle, di alzare il coperchio, senza riuscirvi.
Vinto da un gran dolore, cadde come morto sul corpo del prelato. Ripresosi , cominciò a piangere pensando alla morte orribile che lo attendeva.
Mentre si disperava, sentì molte voci di gente che, come pensava, veniva a fare quello che aveva già fatto con i suoi compagni. Anche costoro, una volta aperta e puntellata la tomba, cominciarono a discutere su chi dovesse entrare, allora un prete, non temendo i morti, che riteneva inoffensivi, si offrì volontario, si sporse sul bordo e mise le gambe giù , per potersi calare.
Andreuccio per risalire afferrò le gambe del prete e le tirò. Sentendosi afferrare ,il prete emise un grido altissimo   e si gettò fuori. Tutti, spaventati ,lasciata aperta la tomba, fuggirono come se fossero inseguiti da centomila diavoli.
Tranquillamente Andreuccio risalì e uscì dalla chiesa per la via da cui era venuto.
All’alba, con al dito l’anello di rubini, giunse, per caso, alla marina e al suo albergo, dove trovò i suoi compagni e l’albergatore che ,tutta la notte, erano stati in ansia per lui, ai quali raccontò la sua avventura, senza accennare al rubino. L’oste gli consigliò di partire immediatamente.
Giunto a Perugia, vendette l’anello, dicendo che a Napoli, dove era andato a comprare dei cavalli, aveva investito i suoi denari nell’acquisto di un anello. 











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