giovedì 19 dicembre 2013

SECONDA GIORNATA - NOVELLA N.4

SECONDA GIORNATA – NOVELLA N.4


Landolfo Rufolo, caduto in povertà, diventa corsaro, catturato dai genovesi, naufraga e si salva appoggiandosi a una cassetta piena di tesori; Accolto a Corfù da una donna, torna ricco a casa sua.

Vedendo che Pampinea aveva smesso di narrare, Lauretta ,che le sedeva vicino, immediatamente cominciò a parlare, tenendo conto del tema di quella giornata.
Considerò, innanzitutto che la maggior prova della potenza della fortuna era il fatto che ,talvolta, chi era caduto in disgrazia si risollevava, come, appunto, era accaduto ad Alessandro, il protagonista della novella precedente. Poi iniziò un racconto che, partendo da gravi sventure, si sarebbe concluso con una splendida riuscita.
La storia era ambientata nel litorale che andava da Reggio Calabria a Gaeta; lungo di esso, nei pressi di Salerno, vi era la costiera di Amalfi, che si affacciava sul mare, piena di piccole città, di giardini, di fontane e di uomini ricchi  che vivevano di commerci. Tra queste cittadine ,ve ne era una, chiamata Ravello, dove abitava un uomo di nome Landolfo Rufolo, ricchissimo, il quale, desiderando raddoppiare la sua ricchezza, corse il rischio di perdere la vita , insieme con le ricchezze.
Costui, come era usanza dei mercanti, fatti i suoi conti, comprò una grandissima nave, la caricò di molte mercanzie, comprate con i suoi soldi, e anche di donne e partì per Cipro. Lì giunto, trovò molti altri mercanti, provenienti da tutte le parti del mondo, che parimenti commerciavano.
 Dovette, dunque, svendere le sue mercanzie, dandole quasi per niente, e per questo andò in rovina.
 Pensò ,quindi, o di morire o di andare a rubare. Trovato un compratore, vendette la sua grande nave e , con i soldi avuti, comprò una navicella agile e snella da corsaro, la armò in maniera adeguata e si diede alla vita di corsaro, derubando soprattutto i turchi.
Questa attività fu favorita dalla fortuna, molto più che quella, precedente, di mercante.
Dopo circa un anno rubò e catturò tante navi dei turchi, che non solo recuperò tutte le ricchezze che aveva perduto facendo il mercante, ma le raddoppiò completamente.
Reso prudente dalla prima perdita, misurando bene le sue sostanze, per evitare un secondo dissesto finanziario, decise che quello che aveva gli doveva bastare e che voleva ritornare a casa sua.
Non volle investire i suoi denari in altre avventure, ma, imbarcatosi su quella navicella che glieli aveva procurati, riprese la via di casa.
Era già giunto nell’Arcipelago Egeo, quando ,una sera, si alzò lo scirocco, che, non solo gli impediva di navigare, ma rendeva così agitato il mare che la sua nave non avrebbe potuto sopportarlo.
Si rifugiò, allora, in una insenatura del mare protetta da un’isoletta, decidendo di aspettare lì il momento più propizio al viaggio.
In questa insenatura, poco distante, due cocche (navi da trasporto) genovesi, che venivano da Costantinopoli, giunsero a fatica, per ripararsi, come aveva fatto Landolfo.
I naviganti ,vista la piccola nave bloccata nel porticciuolo, udendo a chi apparteneva, sapendo ,per fama, che il proprietario era ricchissimo, essendo ladri e desiderosi di danaro, decisero di appropriarsene.
Fatta scendere una parte degli uomini armati di balestre ed altre armi, fecero circondare la navicella, in modo che nessuno potesse scendere da essa , se non voleva essere colpito dalle frecce delle balestre; gli altri, trasportati dalle scialuppe e aiutati dal mare, si accostarono alla barchetta e se ne appropriarono, in breve tempo, con tutta la ciurma, senza colpo ferire.
Fatto salire Landolfo, vestito solo con il gilè, su una delle loro cocche, sfondarono la navicella e la affondarono.
Il giorno dopo, mutatosi il vento, le cocche fecero vela verso ponente, viaggiando per tutta la giornata favorevolmente . Sul far della sera, il vento cambiò, diventando fortissimo e gonfiando oltremodo  il mare, dividendo le due navi.
La nave su cui si trovava il misero Landolfo, con grande violenza, fu sbattuta in una secca  sull’isola di Cefalonia e, come un vetro che sbatteva contro un muro, si aprì tutta e si sgretolò.
Gli sventurati che si trovavano sulla cocca, come suole avvenire in questi casi, essendo già il mare pieno di mercanzie, di casse e di tavole, in una notte nerissima, con un mare agitatissimo, nuotando al meglio che potevano, si cominciarono ad aggrappare alle cose che, per fortuna, si paravano davanti.
Tra questi il povero Landolfo, avendo più volte invocato la morte preferendo quella piuttosto che ritornare povero e malandato a casa, quando se la vide vicina ne ebbe paura e ,come tutti gli altri, si aggrappò ad una tavola, ringraziando Dio che gliel’aveva mandata, per impedire che affogasse.
A cavallo di quella, come meglio poteva, spinto di qua e di là, si mantenne fino all’alba.
Guardandosi intorno, non vedeva altro che nuvole e mare ed una cassa che, con sua grande paura, gli si avvicinò, sospinta dalle onde.
Temendo che la cassa, avvicinandosi, lo potesse colpire, nonostante avesse poca forza, con la mano la allontanava .Sospinta da un improvviso colpo di vento, la tavola urtò la cassa, gettando  il giovane in mare. Landolfo andò sotto le onde e quando riemerse, non trovando più la tavola, si appoggiò col petto al coperchio della cassa che gli era assai vicina e, come meglio poteva, la teneva diritta.
In questo modo, senza mangiare e bevendo acqua di mare molto più di quanto avrebbe voluto, senza sapere dove fosse e vedendo nient’altro che mare, trascorse tutto quel giorno e la notte seguente.
Il giorno dopo ,come piacque a Dio e al vento, diventato quasi una spugna, attaccato con forza ai bordi della cassa, giunse alla spiaggia dell’isola di Corfù, dove una povera donnetta lavava i piatti con l’acqua salata e la sabbia. Come costei vide qualcosa che si avvicinava, cominciò a gridare spaventata.
Lo sventurato non poteva parlare e vedeva poco per cui non disse niente; man mano che si avvicinava, la donna riconobbe la cassa e, vedendo le braccia e la faccia dell’uomo ,capì quello che era successo.
Mossa a compassione, entrata un po’ nel mare, che, frattanto, si era calmato, afferratolo per i capelli, lo tirò a terra con tutta la cassa ,che pose sulla testa della figlioletta che era con lei ,e lo portò al villaggio.
Fattogli un bel bagno caldo, come a un bambino, tanto lo massaggiò e lo lavò, che ,ben presto, il naufrago ritrovò il calore e le forze perdute.
Lo trattò con grande cura, rifocillandolo con buon vino e dolciumi, trattenendolo per alcuni giorni, fino a quando, recuperate le forze, non ricordò chi era  e chiese dove si trovava.
La brava donna gli consegnò la cassa che aveva salvata dalle onde ,insieme con lui, e gli disse che ormai poteva andare per la sua strada.
Il giovane, che non se ne ricordava per niente, prese la cassa, pensando che potesse valere qualcosa, ma visto che pesava poco, non aveva molte speranze.
Un giorno, mentre la donna non era in casa, la aprì e trovò in essa un vero tesoro : molte pietre preziose, alcune montate, altre sciolte, delle quali era buon intenditore. Vedendole, provò un grande conforto, lodando Dio che non lo aveva voluto abbandonare.
Poi, con molta prudenza, come uno che , in poco tempo e per ben due volte aveva subito i colpi della fortuna, temendo che potesse essercene anche una terza, si organizzò per potersi portare a casa sua quei tesori.
Avvolte le pietre in alcuni stracci, come meglio potè, disse alla buona donna che non aveva più bisogno della cassa e che gliela donava in cambio di un sacco, se era possibile.
La donna l’accontentò volentieri, egli la ringraziò caldamente e messosi il sacco in spalla, partì .
Salito su una nave, arrivò a Brindisi e, di porto in porto, giunse fino a Trani, dove incontrò alcuni suoi concittadini, che commerciavano in stoffe, ai quali raccontò le sue vicissitudini, ma, prudentemente, non accennò alla cassa .
Costoro lo rivestirono, gli prestarono un cavallo e lo rimandarono a Ravello, dove diceva di voler tornare, dandogli una compagnia.
Giunto finalmente nel suo paese, sentendosi al sicuro, ringraziando Iddio, sciolse il sacchetto e guardò, con più attenzione, le pietre che vi erano contenute. Le vide belle e preziose sopra ogni sua aspettativa e calcolò che vendendole anche a un prezzo inferiore al loro valore, sarebbe diventato ricco il doppio di quando era partito.
Vendute le pietre, mandò fino a Corfù una buona quantità di denaro alla donna che lo aveva salvato dalle acque del mare e lo stesso fece per coloro che a Trani lo avevano aiutato.
Si tenne il resto senza voler più fare il mercante e così visse onorevolmente fino alla fine.






25 commenti:

  1. il testo e' pieno di errori

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  2. ma e' molto interessante

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  3. daje sto studiando alle 4 di mattina

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