giovedì 16 aprile 2015

OTTAVA GIORNATA - NOVELLA N.5

OTTAVA GIORNATA – NOVELLA N.5

Tre giovani tolgono le brache a un giudice marchigiano a Firenze,  mentre egli, stando sul banco, esercitava la sua funzione.

Emilia aveva finito il suo racconto e tutti avevano apprezzato il comportamento della vedova.
Subito dopo la regina si rivolse a Filostrato e gli disse che era giunto il suo turno.Egli rispose che era pronto e cominciò dicendo che il giovane che poco prima Elissa aveva nominato, cioè Maso del Saggio, gli faceva tralasciare una novella che intendeva dire, per raccontarne una su di lui e i suoi compagni. Essa, sebbene non fosse sconveniente, usava dei vocaboli che le donne si vergognavano di usare. Era ,comunque, così divertente che l’avrebbe raccontata lo stesso.
Come tutte avevano potuto udire, in Firenze andavano spesso governatori marchigiani, che ,di solito, erano uomini miseri, avari e pidocchiosi. Per la loro innata miseria ed avarizia, dovevano piuttosto andare a zappare o a fare i calzolai, invece che amministrare le leggi.
Essendone venuto uno come podestà, portò con sé un tale che si faceva chiamare messer Niccola da San Lepidio, che pareva piuttosto un fabbro. Egli fu messo accanto agli altri giudici per udire i processi dei criminali.
Un giorno Maso del Saggio, che non aveva niente a che fare con il tribunale, vi andò per cercare un amico.
Per caso guardò dove sedeva messer Niccola e gli sembrò che fosse un babbeo.
Vide che portava sul capo un pellicciotto tutto sporco di fumo e un portapenne attaccato alla cintura e una gonnella più lunga della sopravveste e altre cose poco adatte ad un uomo importante. Fra queste ne vide una che gli parve più particolare rispetto alle altre e cioè un paio di brache che, come poteva vedere, perché i panni gli si aprivano davanti, poiché erano stretti, gli scendevano fino a mezza gamba.
Senza stare troppo a guardarle, trovò due suoi compagni, dei quali uno si chiamava Ribi e l’altro Matteuzzo, non meno burloni di lui, e li portò con sé per mostrare loro quel gran babbeo di un giudice.
Giunti al palazzo di giustizia, mostrò loro quel giudice e le sue brache.
I due giovani cominciarono a ridere già da lontano.
Avvicinatisi alle panche su cui sedeva il giudice, videro che si poteva andare sotto le panche molto facilmente,
e, inoltre, l’asse dove il giudice poggiava i piedi era rotta, tanto che con faciltà si potevano infilare la mano e il braccio.
Maso disse allora ai compagni che gli voleva togliere del tutto le brache, cosa che si poteva fare molto facilmente. Visto come si poteva fare, se ne andarono e ritornarono la mattina seguente.
Pur essendo il tribunale pieno di persone, Matteuzzo, senza che nessuno se ne accorgesse, entrò sotto il banco e andò sotto il posto dove il giudice poggiava i piedi.
Maso, accostatosi da uno dei lati al giudice, lo prese per il lembo della guarnacca (sopravveste).
Ribi, accostatosi dall’altro lato, fece la stessa cosa.
Maso, rivolto al giudice, cominciò a dire “Messere, vi prego, in nome di Dio, che, prima che questo ladruncolo vada altrove, mi facciate restituire un paio di stivaletti che mi ha rubato ed egli lo nega. Io lo vidi, non è ancora passato un mese, che li faceva risuolare”.
Ribi, dall’altra parte, gridava forte “Messere, non gli credete, costui è un imbroglioncello, perché sa che sono venuto ad accusarlo di avermi rubato una valigia, mentre parla di stivaletti che avevo in casa da molto tempo. E,
 se non mi credete, posso chiamare per testimoni la mia fruttivendola, la trippaia e uno che raccoglie la spazzatura di Santa Maria a Verzaia, che lo vide quando ritornava dalla campagna”.
Maso gridava da una parte e Ribi dall’altra. Mentre il giudice stava ritto in mezzo a loro, più vicino per comprenderli meglio, Matteuzzo, attraverso l’asse rotto, afferrò il fondo delle mutande e tirò giù forte. Le brache vennero subito giù, perché l’uomo era magro e rinsecchito.
Il giudice, avvertendo qualcosa e non sapendo cosa fosse, volendo coprirsi e mettersi a sedere, era trattenuto da Maso e Ribi che gridavano forte che volevano essere uditi e giudicati con atti scritti.
Tanto lo trattennero con i vestiti che tutti quanti in tribunale si accorsero che gli erano state tolte le brache.
Matteuzzo, dopo averle tenute per un po’, le lasciò e se ne andò.Ribi, dal canto suo, disse che avrebbe chiesto aiuto al sindacato. Maso, lasciatagli la guarnacca, disse che sarebbe ritornato quando l’avesse trovato più calmo. Tutti e tre, chi di qua e chi di là, come poterono ,se la squagliarono.
Messer il giudice, tiratesi su le brache alla presenza di tutti, come se si fosse appena svegliato, accortosi del fatto, domandò dove fossero andati i due che avevano fatto questione per gli stivaletti e la valigia.
Non avendoli trovati, cominciò a giurare, per le budella di Dio, che voleva conoscere e sapere se a Firenze si era soliti togliere le brache ai giudici che sedevano ad amministrare la giustizia.
Il podestà ,da parte sua, fece un gran chiasso , sentendolo. Poi, ritenne opportuno mettere tutto a tacere, poiché i suoi amici gli fecero notare che i fiorentini sapevano che egli portava a Firenze giudici imbecilli, per pagarli poco. E la cosa si fermò lì.








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