OTTAVA GIORNATA – NOVELLA N. 4
Il
curato di Fiesole ama una donna vedova :non è amato da lei e, credendo di
giacere con lei, giace con una sua fantesca, e i fratelli della donna lo fanno trovare al suo vescovo.
suQuando Elissa
terminò la novella, molto gradita a tutta la compagnia, la regina ,volgendosi
verso Emilia, le
fece segno di raccontare
la sua.
Ed ella subito incominciò
dicendo che ricordava di aver già mostrato quanto i preti, i frati ed ogni
chierico sollecitavano nelle menti delle donne pensieri peccaminosi. Intendeva
continuare su quella strada e raccontare di un curato che voleva che una gentil
donna vedova gli volesse bene, a tutti i costi,volente o nolente.
La donna ,che era molto
saggia, lo trattò come si meritava.
Ognuno di loro sapeva
che Fiesole, la cui collina potevano vedere da dove si trovavano, fu
un’antichissima e grande città, anche se a quel tempo era in rovina .
Nonostante la decadenza del momento aveva sempre avuto un vescovo e lo aveva
ancora.
A Fiesole, vicino al
Duomo, una gentildonna vedova, chiamata monna Piccarda, aveva un podere con una
casa non troppo grande. Poiché non era molto ricca dimorava lì ,per la maggior
parte dell’anno, con due suoi fratelli, giovani assai da bene e cortesi.
Andando la donna spesso
in chiesa ed essendo ancora assai giovane e bella, di lei si innamorò
follemente il prevosto della chiesa, che non vedeva altro che lei. Divenne
tanto ardito che le dichiarò il suo amore,
pregandola di ricambiarlo.
Il prevosto era già
vecchio di anni, ma baldanzoso e superbo, si sentiva un giovinetto, ed era
assai presuntuoso, con i suoi modi pieni di smancerie e di spiacevolezza era
tanto stucchevole che non c’era nessuno che gli volesse bene e men di tutti la
donna.
Ella non lo sopportava
proprio e l’odiava più che il mal di testa. Perciò, con molto garbo, gli
rispose che gradiva molto le dichiarazioni d’amore di lui, ma tra loro non
poteva mai accadere niente di disonesto. Egli era il suo padre spirituale, si
avvicinava alla vecchiaia, cose che dovevano renderlo onesto e casto. D’altra
parte sapeva che ella non era una fanciulla, cui si addicevano gli
innamoramenti, ma una vedova, alla quale si richiedeva grande onestà. Doveva,
dunque, scusarla perché non poteva amarlo come egli avrebbe voluto.
Il parroco non si arrese
al primo colpo, ma, con grande sfacciataggine, continuò a corteggiarla
insistentemente con lettere, con ambasciate e con dichiarazioni fatte di
persona , quando la donna andava in chiesa.
Il corteggiamento parve
troppo fastidioso alla donna che pensò alla maniera di levarsi di dosso quel
fastidio, come il prevosto meritava.
Parlò, comunque, di ogni
cosa ai suoi fratelli. Disse loro del modo di comportarsi del prete verso di
lei e di ciò che intendeva fare ed ebbe la loro approvazione.
Dopo pochi giorni andò
in chiesa, come al solito. Come il prevosto la vide, le andò incontro e, come
faceva di solito, le cominciò a parlare confidenzialmente.
La donna ,vedendolo
arrivare, gli sorrise. Dopo aver parlato a lungo, con un gran sospiro gli disse
“ Messere, ho sentito tante volte che non c’è castello così forte che, dopo
lungo assalto, non venga conquistato. Voi mi siete stato attorno, ora con dolci
parole, ora con una gentilezza dietro l’altra, tanto che io ho cambiato parere
e sono disposta, visto che vi piaccio tanto, ad essere vostra”.
Il parroco, tutto
contento, la ringraziò dicendo che si era molto meravigliato per la resistenza
di lei, pensando che se le donne fossero state d’argento non sarebbero valse
nemmeno pochi soldi, perché nessuna avrebbe resistito al martello.. Ma ,
tralasciando il resto, le chiese dove e quando avrebbero potuto stare insieme.
La donna gli rispose
che, poiché era senza marito, non doveva dar conto a nessuno delle sue notti,
per cui era disponibile in ogni momento, ma non sapeva pensare dove.
Il prevosto propose di
incontrarsi a casa di lei.
Ma la donna
rispose che aveva due fratelli giovani che di giorno andavano a casa sua con le
loro brigate e che la sua casa non era era troppo grande e perciò non si ci
poteva stare. Era possibile stare in camera di lei solo se si stava in
silenzio, senza parlare e al buio ,come i ciechi. Ma la sua camera era a fianco
alla camera dei fratelli, tanto che non si poteva dire neanche una parola
sottovoce, che non si sentisse dall’altra parte.
Il prete
propose, allora, di pazientare un paio di giorni, mentre trovava una soluzione
migliore.
La donna gli
raccomandò il massimo riserbo. Egli promise e le chiese se era possibile
incontrarsi quella sera stessa. La donna rispose che era possibile e , dopo
avergli dato disposizioni sul come e sul quando dovesse andare da lei, se ne
tornò a casa.
Monna Piccarda
aveva una fantesca, non troppo giovane,che aveva il viso più brutto e più
truccato che si fosse mai visto. Aveva il naso schiacciato, la bocca storta, le
labbra grosse, i denti grandi e storti; era quasi cieca, soffriva con gli
occhi, che erano di un colore tra verde e giallo, che pareva che avesse
trascorso l’estate non a Fiesole ma a Sinigallia. Oltre tutto era sciancata e
un po’ zoppa sul lato destro.
Il suo nome era
Ciuta e perché aveva il viso così cagnazzo da tutti gli uomini era chiamata
Ciutazza.
Pur essendo
bruttissima, pure era alquanto maliziosetta.
La padrona la
chiamò presso di sé e le disse che le avrebbe donato una camicia nuova se nella
notte le avesse fatto un servizio. La Ciutazza promise che si sarebbe gettata
nel fuoco per lei.
La donna,
allora, spiegò che voleva che giacesse nel suo letto con un uomo, facendogli
molte moine, senza dire neanche una parola, per non farsi sentire dai fratelli
di lei, che dormivano nella stanza accanto; poi le avrebbe dato la camicia.
La Ciutazza
disse che avrebbe dormito con sei uomini, non con uno ,se fosse stato
necessario.
Venuta la sera,
il prevosto venne, come gli era stato ordinato.
I due fratelli,
come aveva disposto la donna, erano nella stanza accanto e facevano molto
rumore.
Il prete, in
silenzio e al buio, entrò nella camera della donna e se ne andò a letto e così
pure la Ciutazza, ben istruita dalla donna su ciò che dovesse fare.
Il
prevosto,credendo di avere al lato la sua donna, prese in braccio la Ciutazza e
la cominciò a baciare senza dire una parola, ricambiato. Egli ,provando gran
piacere, prese possesso dei beni a lungo desiderati.
La donna, che
aveva organizzato ogni cosa, ordinò ai fratelli di fare il resto.
Essi, usciti
silenziosamente dalla camera, andarono verso la piazza e la fortuna fu più
favorevole di quanto avessero sperato.
Infatti il
vescovo, per il gran caldo, passeggiando aveva chiesto dei due giovani per
andare a casa loro e bere un buon bicchiere di vino. Come li vide, andò loro
incontro ed espresse il suo desiderio.
Si misero subito in cammino e giunsero nel
fresco cortile di casa, dove c’erano molti lumi accesi, e bevvero del buon vino
fresco.
I due giovani
,dopo aver bevuto, invitarono il vescovo a visitare la loro piccola casetta .
Infatti erano andati ad invitarlo proprio per questo. Il vescovo assentì
volentieri.
Uno dei giovani,
presa una torcia accesa, seguendolo il vescovo e gli altri, si diresse verso la
camera in cui il prevosto giaceva con la Ciutazza. Egli aveva già cavalcato più
di tre volte, essendo un po’ stanco si riposava, tenendo in braccio la
Ciutazza, nonostante il caldo.
Entrato, dunque,
il giovane nella camera con il lume in mano, il vescovo e tutti gli altri
poterono vedere il curato con la Ciutazza in braccio.
Il curato,
svegliatosi ,vista la luce e tutta quella gente, per la vergogna nascose il
capo sotto le lenzuola.
Il vescovo gli
fece tirar fuori il capo, rimproverandolo aspramente, e gli fece vedere con chi
era giaciuto.
Il prevosto,
compreso l’inganno della donna, soffrì moltissimo. Per ordine del vescovo,
rivestitosi, fu mandato a casa, per fare penitenza.
Il vescovo, poi,
volle sapere che cosa era successo e il motivo per cui il curato era giaciuto
con la Ciutazza.
I giovani gli
raccontarono ogni cosa. Il vescovo, udito il fatto ,lodò molto la donna e anche
i giovani, che senza macchiarsi le mani del sangue del prete, l’avevano
trattato come si meritava.
Il vescovo fece piangere al curato quel peccato per
quaranta giorni, ma l’amore e lo sdegno molto di più.
Senza contare
che, quando andava per la strada, tutti i fanciulli lo indicavano col dito e
dicevano “ Guarda colui che giacque con la Ciutazza”.
Quella cosa gli
dava molto fastidio e lo faceva quasi impazzire.
In tal modo la
donna si liberò di un prevosto invadente e la Ciutazza guadagnò la camicia.
ciao
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