mercoledì 17 dicembre 2014

SESTA GIORNATA - CONCLUSIONE

SESTA GIORNATA – CONCLUSIONE

La novella appena narrata offrì alla brigata grandissimo divertimento e fece ridere tutti di frate Cipolla, del suo pellegrinaggio e delle reliquie.
La regina, sentendo che era finita, alzatasi, si tolse la corona e la mise sul capo di Dioneo esortandolo a reggere e a guidare le donne, in modo che, al termine della sua reggenza, esse lo potessero lodare.
Dioneo, presa la corona, ridendo, rispose che egli non era prezioso come il re degli scacchi, che tutti ben conoscevano, ma avrebbe fatto del suo meglio per accontentarle.
Poi , fatto venire il siniscalco, ordinò tutto quello che doveva esser fatto nel periodo della sua signoria. Rivolgendosi, infine, alle donne disse loro che la presenza di donna Licisca gli aveva suggerito il tema delle novelle del giorno seguente. Ella aveva detto che non c’era stata una fanciulla che fosse andata vergine al matrimonio e che conosceva tutte le beffe che le maritate facevano ai mariti.
Perciò, ritenendo che donna Licisca ne avesse fornito il motivo, stabiliva che l’indomani si sarebbe narrato delle beffe che, per amore o per salvarsi, le donne avevano fatto ai loro mariti, sia che essi se ne fossero accorti, sia che non se ne fossero accorti.
Alcune donne, che non erano d’accordo ,temendo che fosse un argomento sconveniente per loro, lo pregarono affinché cambiasse la proposta.
Dioneo rispose che ben comprendeva la difficoltà del tema trattato, ma non avrebbe cambiato idea, ritenendo che, in tempi come quelli, ogni discorso era consentito agli uomini e alle donne che evitavano di comportarsi disonestamente.
Esse sapevano che, per la pestilenza di quel tempo, i giudici avevano abbandonato i tribunali, le leggi divine e umane tacevano e ,per sopravvivere ,era concessa ad ognuno massima libertà di costumi .Perciò se si era un po’ più liberi e spinti nel raccontare, non per fare cose sconvenienti ,ma solo per divertire loro e gli altri, non  vedeva alcun motivo valido per essere rimproverati ,in futuro, da qualcuno.
Del resto la loro brigata, fino a quel momento, non si era macchiata di alcun atto sconcio e non se ne sarebbe macchiata in seguito, con l’aiuto di Dio.
Aggiunse che tutti conoscevano l’onestà delle donne presenti, che non poteva essere sminuita né da discorsi divertenti, né dal terrore della morte. E, in verità, riteneva che chi avesse saputo che non avevano voluto discutere di quelle stupidaggini, avrebbe potuto sospettare che avessero peccato in tal senso, perciò non ne volevano parlare. Egli, senza discutere, aveva accettato tutti gli argomenti proposti, mentre, avendolo fatto loro re, volevano imporgli ciò che non doveva dire, Lasciassero, dunque, ogni scrupolo e serenamente ciascuno pensasse alla novella da raccontare. Le donne, udito ciò, non obiettarono più.
Poi il re lasciò ognuno libero di fare ciò che volesse, fino all’ora di cena.
Il sole era ancora molto alto, perché le novelle narrate erano state brevi, perciò Dioneo si mise a giocare a tavole.
Elissa, chiamate le altre donne, disse loro che voleva condurle, cosa che aveva desiderato da quando erano lì, in un luogo che nessuna conosceva, chiamato la Valle delle Donne. Il momento opportuno le sembrava proprio quello, perché era ancora alto il sole.
Le donne risposero che erano pronte e, chiamate le fantesche, senza dire niente ai giovani, si avviarono.
Dopo poco più di un miglio giunsero alla Valle delle Donne. Entrarono in essa attraverso un sentiero assai stretto, che era bagnato ,su un lato, da un fiumicello. Trovarono la valle assai bella e gradevole specialmente in quel periodo di un caldo inimmaginabile.
Come ognuna riferì, nellaValle c’era una pianura, così rotonda, come se fosse stata fatta con un compasso.
Essa era contornata da sei montagnette, non troppo alte, e sulla sommità di ognuna vi era un palazzo simile a un bel castello. I declivi di quelle montagnette scendevano verso la pianura, come si vedevano nei teatri, dalla sommità fino ai gradini più bassi, ordinatamente , stringendo il cerchio. I declivi che erano rivolti a mezzogiorno erano tutti pieni di vigne, di ulivi, di mandorli, di ciliegi, di fichi e di ogni altro genere di alberi da frutta, senza che rimanesse scoperto nemmeno un po’ di terreno. Quelli esposti a Nord erano tutti boschetti di querce, di frassini, e di altri alberi verdissimi e dritti.
La pianura successiva era piena di abeti, di cipressi, di allori e di alcuni pini così ordinati che sembrava fossero stati piantati dal miglior artista del mondo. Fra i loro rami filtrava poco sole, solo quando era in alto.
Oltre a quello, offriva grande piacere un fiumicello che da una delle valli ,che divideva due di quelle piccole montagne, scorreva giù su rocce di pietra viva. Cadendo provocava un rumore molto gradevole e sembrava argento vivo. Quando l’acqua giungeva alla pianura si raccoglieva in un bel canaletto e giungeva velocissima al centro della pianura, dove formava un bel laghetto, come i vivai che si vedevano nei giardini di Firenze. Il laghetto non era molto profondo, mostrava chiarissimo il fondo, con una ghiaia piccolissima, i cui ciottoli si sarebbero potuti contare. Non si vedeva nell’acqua soltanto il fondo, ma tanti piccoli pesci che andavano di qua e di là, come se chiacchierassero, cosa straordinaria.
Sull’altra riva ,il laghetto era chiuso dal suolo del prato, tanto più verde, quanto più era umido. L’acqua in eccesso finiva in un altro canaletto , che uscendo dalla valle, correva verso le parti più basse.
Lì giunte, le donne, dopo aver ammirato il luogo, poiché faceva molto caldo, vedendo il laghetto, senza timore di esser viste, decisero di bagnarsi. Dopo aver comandato alla fantesca di rimanere sulla strada e di avvisarle se arrivava qualcuno, tutte e sette si spogliarono ed entrarono in esso.
Il lago era così trasparente che nascondeva i loro corpi come un bicchiere di vetro una rosa rossa.
Esse, senza provare alcuna vergogna, cominciarono ad inseguire i pesci, cercando di prenderli con le mani.
Dopo essersi trattenute in acqua per un certo tempo ed aver catturato alcuni pesci, essendo ormai giunta l’ora di ritornare a casa, uscirono dall’acqua e si misero in cammino  a passo lento, parlando della bellezza del luogo.
Giunte presto al palazzo, trovarono i giovani che stavano giocando dove li avevano lasciati.
Pampinea disse loro che li avevano ingannati e raccontò da dove venivano, com’era il luogo e a quale distanza si trovava. Il re, sentendo parlare della bellezza del luogo, desideroso di vederlo, ordinò rapidamente la cena.
Dopo aver cenato, i tre giovani, con i loro servi ,lasciate le donne, andarono alla valle, che ritennero una delle più belle del mondo.
Poi, dopo che si furono bagnati e rivestiti, tornarono a casa, dove trovarono le donne che danzavano su un’aria cantata da Fiammetta. Con loro lodarono la bellezza della Valle delle Donne.
Subito dopo il re ordinò al siniscalco che la mattina seguente apparecchiasse nella Valle e facesse portare anche qualche letto, se qualcuno volesse dormire o riposare fino al pomeriggio. Ordinò. Inoltre, di accendere i lumi e di portare vino e dolci.
Dopo essersi rifocillati, il re ordinò ai giovani di ballare e chiese ad Elissa di cantare una canzone.
Elissa, sorridendo, con dolce voce cominciò a cantare una canzone in cui chiedeva ad Amore, suo signore, che l’aveva imprigionata con le sue catene, di liberarla dalle pene d’amore. Soltanto così avrebbe potuto rimuovere il dolore e ritrovare tutta la sua bellezza. Ella terminò il canto con un sospiro.
Tutti si meravigliarono delle parole, ma nessuno poté comprendere il motivo di tale canto.
Il re, molto allegro, fece chiamare Tindaro e gli comandò di prendere la sua cornamusa e suonare mentre le danze proseguivano.
Trascorsa buona parte della notte, disse a tutti di andare a dormire.


























 



















Finisce qui la Sesta Giornata del Decameron e incomincia la Settima, nella quale, sotto il comando di Dioneo si ragiona delle beffe, le quali per amore o per salvarsi le donne hanno fatto ai loro mariti, senza
che essi se ne accorgessero o essendosene accorti.








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