QUINTA GIORNATA – CONCLUSIONE
Finita la novella di Dioneo, le
donne risero poco ,per vergogna, anche se la storia era piaciuta.
La regina, visto che il racconto
era finito, si tolse la corona d’alloro e la pose sul capo di Elissa, alla
quale toccava di comandare.
Elissa, ricevuto l’incarico, fece
come coloro che l’avevano preceduta.
Diede ordine al siniscalco di
predisporre ciò che serviva per il periodo della sua signoria, con
soddisfazione della brigata.
Comunicò ,poi, che il giorno
seguente si sarebbe trattato di chi, provocato da una battuta, si era difeso
con una pronta risposta, evitando un danno o un pericolo o uno scorno.
Dopo vari commenti dei presenti, la
regina, alzatasi, licenziò tutti fino all’ora di cena.
Dopo che le cicale smisero di
cantare, richiamati, andarono tutti a cena.
Per volere della regina, Emilia già
aveva cominciato a danzare, mentre
Dioneo ebbe l’ordine di cantare una canzone. Egli comincio “Monna
Aldruda ,levate la coda, ché buone novelle vi reco”.
Tutte le donne cominciarono a
ridere, soprattutto la regina che ordinò di lasciare quella e di dirne
un’altra.
E Dioneo ne propose molte altre che non furono
gradite alle donne, finché la regina gli intimò di smettere di scherzare e di
dirne una bella, altrimenti si sarebbe adirata.
Il giovane, allora ,lasciate stare
le sciocchezze, cominciò a cantare che egli era schiavo d’amore e degli occhi
belli della sua donna. La fiamma d’amore, passando dagli occhi di lei ai suoi,
lo aveva reso seguace e servo d’Amore. Ormai egli si consumava d’amore e si
disfaceva a poco a poco. Perciò chiedeva ad Amore di intercedere con lei in suo
favore.
Dioneo, finita la canzone, tacque.
Dopo diversi commenti, essendo
ormai notte inoltrata, la regina, sentendo che il caldo del giorno era vinto
dalla freschezza della notte, comandò a tutti di andare a riposare fino al
giorno seguente.
Finisce qui la Quinta Giornata
del Decameron: incomincia la Sesta, nella quale, mentre è regina Elissa, si
ragiona di chi, provocato da un leggiadro motto, si sia difeso e con una pronta
risposta o considerazione abbia evitato un danno o un pericolo o uno scorno.
SESTA GIORNATA . INTRODUZIONE
Era quasi giorno, la luna aveva
perduto la sua luce, mentre il cielo si schiariva da ogni parte, quando la
regina, alzatasi, fece chiamare tutta la compagnia.
Poi, tutti insieme, camminando
lentamente sull’erba bagnata dalla rugiada, si allontanarono un po’ dal
palazzo, discutendo della bellezza delle novelle raccontate.
Frattanto il sole si era alzato e
l’aria si cominciava a riscaldare, perciò a tutti parve opportuno ritornare
verso casa, dove erano già state apparecchiate le tavole per ordine della regina
,e tutti si misero a mangiare.
Dopo aver pranzato ed aver cantato
delle belle canzonette, alcuni se ne andarono a dormire, altri a giocare a
scacchi o a tavole. Dioneo insieme a Lauretta cominciò a cantare.
Giunta l’ora di riunirsi, al
richiamo della regina, tutti, come erano soliti fare, si sedettero intorno alla
fonte.
Mentre la regina stava per ordinare
l’inizio della prima novella, avvenne una cosa che non era mai avvenuta prima.
Si udì un gran rumore, provocato dai servitori e dai familiari in cucina.
Il siniscalco, interrogato, rispose
che il rumore era provocato da Licisca e da Tindaro, ma non ne conosceva il
motivo.La regina, fatti chiamare i due, cominciò ad interrogarli.
Mentre Tindaro si accingeva a
rispondere, la Licisca, che era anzianotta e piuttosto superba e riscaldata,
voltandosi verso di lui, con viso adirato, intimò a quella bestia di uomo di
non permettersi di parlare prima di lei e di lasciarle la parola.
Disse, rivolta alla regina, che
Tindaro voleva farle conoscere la moglie di Sicofante, come se ella non la
conoscesse bene. Aggiunse che Tindaro le voleva far credere che la prima notte
in cui Sicofante era giaciuto con la moglie messer Mazza fosse entrato in Monte
Nero con la forza e con spargimento di sangue.
Lisisca sosteneva che non era vero,
anzi il Mazza entrò pacificamente e con gran piacere di quelli che erano
dentro. Era ben stupido Tindaro se credeva che le giovani fossero così sciocche
e stessero a perder tempo aspettando che il padre o i fratelli le maritassero.
Invece esse si davano da fare molto prima. Sarebbero state fresche se avessero
aspettato che il padre o i fratelli le maritassero. Sulla fede di Cristo,
poteva giurare che non conosceva fanciulla che non avesse beffato il promesso
sposo e anche le maritate ne avevano fatte di tutti i colori ai mariti. E quel
pecorone di Tindaro le voleva insegnare come erano fatte le femmine, come se
fosse appena nata.
Mentre Lisisca parlava ,le donne si
facevano grandi risate, senza riuscire a fermarsi.
La regina, faticosamente, riuscì ad
imporre il silenzio ,e ,rivolta a Dioneo, ridendo, gli chiese di dare il suo
parere.Dioneo subito rispose che Lisisca aveva ragione e Tindaro era una
bestia.
Udendo ciò, Lisisca cominciò a
ridere e, rivolgendosi a Tindaro, gli disse che andasse con Dio, stupido che
non era altro, egli che, essendo ancora un ragazzino, pensava di saperne più di
lei, che, perbacco, non era vissuta invano. E avrebbe continuato ancora a
gridare se la regina non le avesse imposto il silenzio, minacciando di
frustarla.
Mandati via i due, la regina ordinò
a Filomena di dare inizio alle novelle.
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