QUARTA
GIORNATA – NOVELLA N.7
La Simona ama Pasquino; mentre
sono insieme in un orto, Pasquino si sfrega i denti con una foglia di salvia e
muore; viene catturata Simona che, volendo mostrare al giudice come era morto
Pasquino, si sfrega i denti con quelle foglie e muore anche lei.
Panfilo aveva concluso il suo
racconto quando il re fece segno ad Emilia di continuare. Ed ella , senza
indugio, cominciò dicendo che la sua novella era simile a quella di Andreuola
solo nel fatto che la protagonista perse l’amante nel giardino e fu catturata
come Andreuola. Si liberò dell’accusa non con la forza né con la virtù, ma con
la morte.
Come già era stato detto, Amore
prediligeva le case dei nobili, ma non disdegnava quelle dei poveri, nelle
quali ugualmente dimostrava la sua forza, come sarebbe apparso dalla sua
novella, ambientata in Firenze.
In Firenze, la loro città, dalla
quale si erano allontanate spostandosi in varie parti del mondo, viveva una
bella e leggiadra giovane, figlia di un padre povero, di nome Simona.
Sebbene dovesse lavorare e filare
la lana per mangiare, pure accettò l’amore di un giovinetto di umili condizioni
come lei, chiamato Pasquino, che portava la lana a filare per conto di un
maestro lanaiolo.
Simona filava e avvolgeva il fuso
con mille sospiri, pensando a colui che le aveva dato la lana da filare.
Dal canto suo, Pasquino andava
continuamente a controllare che si filasse bene la lana del suo maestro e
controllava soprattutto e soltanto la lana che filava Simona e la sollecitava
più spesso che le altre filatrici.
Sollecitando l’uno e compiacendosi
di essere sollecitata l’altra, i due, superata ogni vergogna, si unirono per il
piacere comune. Continuando così nel procurarsi comune piacere, si innamorarono
ogni giorno di più.
Una volta Pasquino invitò Simona a recarsi in un giardino
appartato, dove potevano stare insieme più tranquilli e la ragazza acconsentì.
Una domenica, dopo pranzo, Simona
disse al padre che andava a prendere l’indulgenza a San Gallo, con la sua
compagna, chiamata la Lagina. Con lei si recò al giardino indicato da Pasquino.
Il giovane, dal canto suo, vi andò
con un compagno, di nome Puccino, detto lo Stramba. Incontratisi con le donne
sorse un nuovo amorazzo tra lo Stramba e la Lagina. .Per soddisfare i loro
desideri Simona e Pasquino si sistemarono in un angolo del giardino, lo Stramba
e la Lagina in un altro.
Nell’angolo dove erano andati
Pasquino e Simona c’era un grandissimo e bel cespuglio di salvia.
Volendo fare merenda, Pasquino,
dicendo che la salvia puliva bene i denti di ogni cosa ch’era rimasta attaccata
dopo aver mangiato, raccoltane una foglia se la stropicciò sui denti e sulle
gengive.
Poi, dopo averli sfregati per un
po’, ritornò a parlare della merenda. Mentre parlava, impallidì, perse la vista
e la parola e in breve morì.
Simona, vedendo ciò, cominciò a
piangere , a gridare e a chiamare lo Stramba e la sua compagna.
Come lo Stramba vide Pasquino
morto, il quale ,nel frattempo, si era gonfiato e riempito di macchie scure,
cominciò a gridare accusando Simona di averlo avvelenato.
Accorsero i vicini ,richiamati dal
grande rumore, udirono le accuse . Vedendo Simona quasi uscita di senno e che
non si sapeva spiegare che cosa fosse successo, credettero che fosse come
avevano detto lo Stramba, l’Atticciato e il Malagevole. Per questo ,presa
Simona, la portarono al palazzo del podestà.
Il giudice che esaminò la cosa ,per
comprendere l’accaduto, volle vedere il morto. Poi si fece portare Simona dove
il corpo di Pasquino giaceva ancora gonfiato come una botte e le chiese come
era successo.
La donna ,per spiegarsi meglio,
fece come aveva fatto Pasquino, sfregandosi i denti con una di quelle foglie di
salvia. Di fronte allo Stramba e ai suoi compagni, che chiedevano per lei la
punizione del rogo, la poveretta, che era confusa per il dolore del perduto
amore e per la paura della pena richiesta, cadde a terra, come prima era caduto
Pasquino, con grande meraviglia dei presenti.
O anime fortunate che terminarono
insieme la vita mortale e ancora più felici se nell’altra vita continuarono a
stare insieme nello stesso posto.
Fortunata, sicuramente, l’anima di
Simona che, a giudizio dei vivi, era risultata innocente, e, liberatasi dalle
accuse dello Stramba, dell’Atticciato e del Malagevole, aveva potuto seguire
l’anima tanto amata del suo Pasquino.
Il giudice ,meravigliato
dell’incidente, rimase pensieroso a lungo, poi, ritrovato il senno, aggiunse “
Sembra che questa salvia sia velenosa, il che è insolito. Ma , per evitare che
possa danneggiare in questo modo qualche altro, si tagli fino alla radice e si
faccia bruciare”.
Il guardiano del giardino si
apprestò a tagliare il cespuglio in presenza del giudice , ed ecco che apparve
la causa della morte dei due amanti.
Sotto il cespuglio di salvia c’era
un rospo enorme, dal cui fiato velenoso era diventata velenosa anche la salvia.
Non avendo nessuno il coraggio di
avvicinarsi al rospo, fu ammucchiata intorno al cespuglio una grandissima
catasta di legna.
Qui arsero il rospo con la salvia e
finì il processo del giudice per la morte del misero Pasquino.
Il giovane e la sua Simona, gonfi
com’erano, furono seppelliti dallo Stramba, dall’Atticciato, da Guccio Imbrotta
e dal Malagevole ,nella chiesa di San Paolo, di cui erano parrocchiani.
Bello
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