sabato 18 aprile 2020

PANDEMIA di CORONAVIRUS 2020. Quarta settimana

18.04.2020

Siamo giunti, ormai, alla quarta settimana.
In questa giornata ci soffermeremo sulla drammatica situazione che la pandemia di Coronavirus, attualmente in corso, sta creando in tutto il mondo. I servizi televisivi, che ci informano costantemente sullo stato delle cose, sembrano bollettini di guerra. La permanenza forzata in casa, senza contatti con l’esterno e con i familiari, ci induce ad immaginare cose tristissime e a temere di tutto.
Ogni cosa rappresenta un pericolo e la mente va alle immagini del passato che ci hanno maggiormente colpito. In un cantuccio della memoria ho gelosamente conservato un passo dei Promessi Sposi che, dopo tanti anni, mi accompagna ancora e riemerge con forza ora, ai tempi del Coronavirus. Mi riferisco ad un brano del cap. XXXIV de I Promessi Sposi. che voglio riportare integralmente. Nessuno di noi potrà mai dimenticare “La madre di Cecilia”.

Renzo, sopravvissuto alla peste, ormai guarito, ritorna a Milano per cercare notizie di Lucia e, per le strade ancora piene di cadaveri, assiste a scene inenarrabili di devastazione.

Entrato nella strada, il suo sguardo incontrò un oggetto singolare di pietà, di una pietà che invogliava l’animo a contemplarlo; di maniera che si fermò, quasi senza volerlo. Scendeva dalla soglia di uno di quegli usci e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languore mortale: quella bellezza molle e a un tempo maestosa, che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davano lacrime, ma portavano il segno d’averne sparse tante; c’era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un’anima tutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non era solo il suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse così particolarmente alla pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito nei cuori. Portava essa in collo una bambina di forse nove anni, morta; ma tutta ben accomodata, coi capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l’avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere su un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera, spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sull’omero della madre, con un abbandono più forte del sonno: della madre, ché, se anche la somiglianza dei volti non ne avesse fatto fede, l’avrebbe detto chiaramente quello dei due che esprimeva ancora un sentimento. Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia, con una specie però d’insolito rispetto, con una esitazione involontaria. Ma quella, tirandosi indietro, senza però mostrare sdegno né disprezzo,«no!» disse «non me la toccate per ora; devo metterla io su quel carro: prendete». Così dicendo, aprì una mano, fece vedere una borsa, e la lasciò cadere in quella che il monatto le tese. Poi continuò :«Promettetemi di non levarle un filo d’attorno, né di lasciar che altri ardisca a farlo, e di metterla sotto terra così». Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi ossequioso, più per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato, che per l’inaspettata ricompensa, s’affaccendò a fare un po’ di posto sul carro per la morticina. La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come su un letto, ce l’accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse l’ultime parole: «Addio Cecilia! Riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restare sempre insieme. Prega intanto per noi; ch’io pregherò per te e per gli altri», poi voltatasi di nuovo al monatto, «voi» disse «passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e non me sola». Così detto, rientrò in casa, e, un momento dopo, s’affacciò alla finestra, tenendo in collo un’altra bambina più piccola, viva, ma coi segni della morte sul volto. Stette a contemplare quelle così indegne esequie della prima, finché il carro non si mosse, finchè lo poté vedere; poi disparve. E che altro poté fare, se non posar sul letto l’unica che le rimaneva e mettersele accanto per morire insieme? come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme al fiorellino ancora in boccio, al passar della falce che pareggia tutte l’erbe del prato”.

Quale madre, nelle notti insonni che passiamo seguendo in televisione le notizie sull’espandersi veloce dell’epidemia, non si sente stringere il cuore al pensiero dei rischi che corrono i figli, soprattutto quelli che sono rimasti lontano, non potendo rientrare nelle loro case.
Come dimenticare le immagini sconvolgenti di tanti carri funebri fermi davanti ai cimiteri e davanti agli inceneritori.
Abbiamo ancora davanti agli occhi gli sguardi terrorizzati delle persone nelle stazioni mentre cercavano di partire per tornare a casa a ricevere e a dare conforto ai propri familiari.
Ascoltiamo sgomenti le notizie che ci giungono dagli ospedali informandoci che mancano medici e personale sanitario, mancano attrezzature idonee, mancano posti letto negli ospedali quindi dobbiamo curarci in casa.

Ci ritorna alla mente, con incredibile vivezza e attualità la vicenda della “madre di Cecilia”. Gianbattista Vico ci parla di “corsi e ricorsi storici” e lascia intendere che dalle esperienze del passato si possono trarre insegnamenti per il presente, ciò sarebbe utile per noi Esseri Umani, che stiamo vivendo un momento particolarmente difficile. Infatti tutte le nostre certezze, faticosamente conquistate, sono ora paurosamente messe in discussione dal Coronavirus, un “mutante”, di cui non si conosce la provenienza.

Esso si diffonde in tutto il mondo con una spaventosa velocità, non risparmiando nessuna categoria e classe sociale, nessuna razza e colore della pelle.

3 commenti:

  1. Bello il commento finale: e anche questo è un grande dispiacere, le famiglie separate!

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  2. Cara lettrice ti ringrazio per aver apprezzato le mie riflessioni sui tristi eventi attuali. Speriamo di poter riacquistare al più presto la serenità.Ti abbraccio con simpatia luciana De Lisa Coscioni.

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  3. Salve, ho apprezzato il percorso nei brani della letteratura e li ho proposti ai miei alunni... aspettavo con ansia l'ultimo sulla situazione attuale per farli lavorare su un confronto col passato ma speravo contenesse messaggi di speranza per farli riflettere anche sulla fortuna di poter aver fiducia nella scienza e nella medicina attuali... quindi mi fermo qui e la madre di cecilia la rileggo solo io, grazie per il contributo

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