giovedì 4 settembre 2014

QUINTA GIORNATA - NOVELLA N.6

QUINTA GIORNATA – NOVELLA N.6

Gian di Procida, trovato con una giovane da lui amata e stata data al re Federico, per dover essere arso con lei è legato a un palo; riconosciuto da Ruggiero di Loria, campa e diviene marito di lei.

Finita la novella di Neifile, che molto era piaciuta alle donne, la regina comandò a Pampinea di raccontarne un’altra.
Ed ella velocemente incominciò, precisando che le forze dell’amore erano infinite e sottoponevano gli amanti ad infinite fatiche e a grandissimi pericoli. Tutto ciò si poteva comprendere dalle cose raccontate fino ad allora e dalle imprese ardimentose di un giovane innamorato
Proseguì dicendo che in Ischia, isola molto vicina a Napoli, visse, tra le tante, una giovinetta bella e allegra, di nome Restituta, figlia di un gentiluomo dell’isola, chiamato Marino Bulgaro.
Un giovinetto, di nome Gianni, della vicina isoletta di Procida, amava più della sua vita la fanciulla ed era da lei ricambiato.
Il giovane, poiché non poteva andare di giorno ad Ischia da Procida, per vederla, spesso di notte, non avendo trovato una barca, andava ad Ischia a nuoto, per vedere, se non lei, almeno le mura della sua casa.
Così stando le cose, un giorno la giovane, mentre raccoglieva sugli scogli ,tutta sola, conchiglie, staccandole con un coltellino dalle pietre, giunse in un angolo appartato, nascosto dagli scogli, dove si trovavano alcuni giovani siciliani. Essi si erano sistemati lì perché vi erano abbondante ombra e una fontana di acqua freschissima.
I giovani vedendo che la bellissima fanciulla era sola, decisero di catturarla e di portarsela via. Sebbene ella gridasse molto la catturarono, la caricarono su una barca e partirono.
Giunti in Calabria, cominciarono a litigare su chi dovesse avere la ragazza.
Temendo di guastare i loro rapporti, decisero di donarla a Federico II, re di Sicilia, che era allora giovane e gradiva queste cose; il re, vedendola bella, l’ebbe cara.
Poiché era un po’ cagionevole di salute, finché non avesse ripreso le forze, la fece sistemare in un castello con uno splendido giardino, chiamato “La Cuba”.
La notizia del rapimento della giovane si diffuse in tutta Ischia, ma non si riuscì a sapere chi l’avesse rapita.
Gianni senza che ad Ischia giungessero notizie, poiché sapeva in quale direzione era andata la fregata dei siciliani, fatta armare una nave, esplorando tutta la costa tirrenica fino a Scalea in Calabria, chiese informazioni.
A Scalea gli fu detto che la ragazza era stata portata a Palermo dai marinai siciliani.
Recatosi subito a Palermo, Gianni, dopo molte ricerche, seppe che ella era stata data al re ed era tenuta nel castello della Cuba. Fortemente turbato, perse quasi del tutto la speranza non solo di poterla riavere ma anche di poterla rivedere. Pure, trattenuto dall’amore, mandata via la nave, rimase a Palermo.
Passando molto spesso sotto la Cuba, per caso la vide un giorno alla finestra e Restituta vide lui ,con grande gioia di entrambi. Gianni, vedendo che il luogo era solitario, si avvicinò più che poté e le parlò.
Esaminata la disposizione del luogo, a notte inoltrata, tornò e ,aggrappatosi alle mura  ,dove si sarebbero potuti aggrappare i picchi, entrò nel giardino.Aiutandosi con una pertica, salì verso la finestra della giovane.
Ella, pensando che ormai aveva perduto il suo onore, volendo donarsi a lui per farsi portare via, aveva lasciata la finestra aperta, perché potesse passare.
Gianni, silenziosamente entrò e si coricò al fianco della giovane, che non dormiva.  Ella si fece promettere che l’avrebbe portata con sé. Dopo di ché , abbracciatisi, fecero l’amore più volte, con grande piacere.
Alla fine, senza accorgersene, si addormentarono l’uno nelle braccia dell’altro.
Frattanto il re, avendo ripreso le forze, ricordandosi di Restituta, decise di andare a stare un po’ con lei.
Accompagnato da un servitore, si recò alla Cuba ; entrato nel castello, fatta aprire silenziosamente la camera nella quale era alloggiata la giovane, illuminata da una grossa candela, vide dormire nel letto ,nudi e abbracciati, lei e Gianni.
Adirato per poco non li uccise entrambi col coltello che aveva al lato. Poi, ritenendo che fosse molto vile, soprattutto per un re, uccidere i due nudi mentre dormivano, pensò di farli morire al rogo, pubblicamente. Rivolto al solo uomo che aveva portato con sé, rammentando che aveva posto in quella donna spregevole la sua speranza, gli chiese se conosceva quel giovane che aveva avuto il coraggio di venirgli in casa e di oltraggiarlo in quel modo. Il compagno rispose di non averlo mai visto.
Il re ordinò che i due amanti, nudi com’erano, appena giorno, fossero condotti a Palermo e nella piazza, spalla a spalla, fossero legati a un palo, fino all’ora terza, perché potessero essere visti da tutti; infine fossero arsi come avevano meritato. Così detto se ne ritornò infuriato a Palermo.
Partito il re, le guardie svegliarono i due amanti e, senza nessuna pietà, li catturarono e li legarono.
I due sventurati si addolorarono e temettero per la loro vita.
Essi, come il re aveva comandato, furono condotti a Palermo e legati ad un palo della piazza, mentre veniva preparata, davanti ai loro occhi, la pira su cui dovevano ardere all’ora stabilita dal re.
Immediatamente tutti i palermitani corsero a vedere la giovane, lodandola per la sua bellezza, le donne per guardare il giovane che era ugualmente ben fatto.
Gli sventurati amanti, vergognandosi enormemente, stavano con le teste basse, piangendo per la loro sventura, aspettando la morte del fuoco.
Mentre tutti erano lì, attendendo l’ora stabilita, la notizia giunse a Ruggiero di Loria, uomo valoroso e, allora, ammiraglio del re, che andò subito verso la piazza per vederli.
Lì giunto, guardò prima la ragazza e ne ammirò la bellezza, poi guardò il giovane. Immediatamente lo riconobbe e , avvicinatosi, gli chiese se era Gianni di Procida. Gianni confermò che era proprio lui, ma ancora per poco, perché stava per essere arso, per colpa di Amore e dell’ira del re.
Poi raccontò a Ruggiero tutta la vicenda e gli chiese un’ultima grazia. Rassegnato a morire, chiedeva di essere legato alla donna, che aveva amato più della vita, con i visi rivolti l’uno verso l’altro, non con le schiene, in modo che potesse vedere il viso di lei, traendone conforto, morendo.
Sorridendo Ruggiero rispose che avrebbe fatto in modo che  Gianni avesse potuto vedere ancora per molto il viso tanto amato. Ordinò alle guardie di sospendere l’esecuzione fino a nuovo ordine e ,senza indugio, si recò dal re, al quale chiese quale offesa avesse ricevuto dai due giovani.
Gli chiese, inoltre, se conosceva chi fossero i due che aveva condannato al rogo.
Gli spiegò che il giovane era figlio di Landolfo di Procida, fratello di messer Giann di Procida, grazie al quale Federico era signore di Procida. La ragazza era figlia di Marino Bulgaro, grazie al quale Ischia era ancora sotto la sua signoria. Precisò che i due, spinti dall’amore, non per mancanza di rispetto verso il re, avevano commesso quel peccato. Infine chiese al re di salvarli e di onorarli.
Il re, udendo quanto gli diceva Ruggiero, non solo sospese l’esecuzione, ma si rammaricò di ciò che aveva ordinato. Avendo conosciuta tutta la loro storia, li liberò e diede loro ricchi doni per compensare l’ingiuria fatta.
Poi, sentendo che entrambi lo volevano, fece sposare la giovinetta con Gianni.
Infine, li rimandò a casa loro, dove furono accolti con grandi feste e vissero a lungo felicemente insieme.





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