mercoledì 13 novembre 2024




          L'AGRICOLTURA nella STORIA

           "ITALIA FELIX" e curiosità                                           ventunesima puntata

  GIUSTINIANO è, però, soprattutto ricordato per il                      riordinamento giuridico dell'Impero, con la raccolta di tutto                  il Diritto pubblico e privato. Per suo ordine si ha la stesura del "CORPUS IURIS CIVILIS", detto anche Codice giustinianeo,           in 12 libri. Il "Corpus iuris civilis" ha fatto si che tutto l'impero tornasse sotto un'unica legge ed ancora oggi esso è considerato             base del Diritto civile moderno. l'opera di Giustiniano è stata         valida anche in politica estera. Grazie al contributo del generale BELISARIO, vengono riconquistate l'Africa, la Sardegna, la Corsica e le Baleari. Più difficile è la conquista dell'Italia. Sbarcato in Sicilia, preziosa fonte di rifornimento di grano per i Goti, Belisario si spinge fino a Roma. Richiamato in Oriente Belisario, i Goti, sotto la guida di TOTILA, rioccupano quasi tutta la penisola. La guerra gotica, di cui ci parla Procopio di Cesarea, dura diciotto anni e lascia l'Italia stremata. Centri abitati sono saccheggiati e distrutti, campagne spopolate ed incolte, intere regioni ridotte a deserto a causa di gravi epidemie. Giustiniano, considerando l'Italia, liberata dai Goti, una provincia, impone tasse e balzelli pesantissimi, soffocandola con un opprimente fiscalismo, impedendo qualsiasi ripresa economica. Anche il numero degli abitanti diminuisce rapidamente. Persino le grandi città sono deserte, mentre una folla di mendicanti bussa ogni giorno ai conventi per essere protetta e sfamata (A.Brancati, T.Pagliarani-Dall'età dei Severi alla metà del Trecento-La Nuova Italia Ed.).La pressione fiscale bizantina è durissima. Infatti gli agenti del fisco, quando si presentano, non solo misurano i campi, controllano gli alberi e le viti, prendono nota di tutti gli animali, ma vogliono anche contare gli uomini. A tal fine riuniscono tutti gli abitanti delle città e delle campagne nelle pubbliche piazze, insieme ai propri figli e a tutti i servi. Si assiste a scene pietosissime, infatti i presenti sono sottoposti a crudi tormenti e percosse, per ottenere informazioni relative a ciò che posseggono. A peggior desolazione, si aggiungono nel corso dei secoli inondazioni, incendi, terremoti, a cui non vi è possibilità di porre rimedio alcuno. A Roma, in paurosa decadenza, la popolazione si va raccogliendo soltanto su alcuni colli intorno al Tevere. Là dove c'erano quartieri di case cresce l'erba e torna la palude. La vita si svolge ben povera. Agli scambi ad ampio raggio, si sostituiscono forme di produzione che servono solo al consumo interno di ogni città. Si produce soltanto ciò che serve per vivere e per sopravvivere. Si torna al baratto. Di tutte le città dell'Italia solo RAVENNA, sede del governo, trae vantaggi dalla dominazione bizantina.        


domenica 6 ottobre 2024

 

          L'AGRICOLTURA nella STORIA

           "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                       ventesima puntata

 Mentre quello d'Occidente, sconvolto dalle invasioni barbariche, crolla definitivamente, l'Impero Romano d'Oriente dà prova di maggiore vitalità. Esso poggia su una struttura fortemente centralizzata. L'Imperatore è, al tempo stesso,      capo politico e capo religioso dello Stato (Cesaropapismo). GIUSTINIANO, salito sul trono  di Costantinopoli nel 527, accentra, nelle proprie mani , tutti i poteri dello Stato. In particolare, sul piano economico, si preoccupa di difendere la piccola proprietà contro la prepotente invadenza dei grandi latifondisti. Favorisce lo sviluppo dell'industria serica, dopo che due monaci importano dall'Oriente il bozzolo del baco da seta. La leggenda narra di due monaci greci che, di ritorno dall'India, per incarico dell'imperatore Giustiniano, portano da Costantinopoli delle uova del baco da seta, nascoste nei loro bastoni di bambù. In Italia la bachicultura ha trovato le condizioni ideali per lo sviluppo e per lungo tempo il nostro paese è stato tra i maggiori produttori mondiali di seta. Poichè il baco si nutre della foglia del gelso si avvia un'importante coltivazione di esso. Attualmente è il Veneto la zona dedita a questa particolare coltivazione, in quanto Il gelso predilige terreni leggermente acidi, ma dimostra una grande adattabilità e si è espanso fino a quote di 800-1000 metri sul livello del mare. IL periodo ideale per mettere le piante a dimora è il tardo autunno o inizio primavera (coltivazione del gelso-Venetoagricoltura.luglio2020-pdf). A questo punto, con un volo pindarico, Esiodo ed io ci spostiamo in Italia nel periodo di Ferdinando IV di Borbone, nel 1773. Infatti, in tale periodo è istituita dal re la Colonia dei setaioli , nel piccolo borgo di San Leucio, nel napoletano e precisamente a Caserta. Il re accarezzava il sogno di una città industriale. Il progetto è avviato con la costruzione della Reggia di Caserta e si viene a trovare al centro di una delle più straordinarie iniziative del '700 campano. Infatti Ferdinando IV vuole realizzare una colonia con un proprio statuto, dedita al lavoro della seta, creando una seteria, ovvero una fabbrica di tessuti, un vero e proprio modello industriale, con autonomia economica. La seteria è un'industria di Stato, al servizio della collettività, con uno statuto particolarissimo. Tre sono i cardini intorno cui ruota la Costituzione di San Leucio: l'educazione, la buona fede e il merito. Tutto inizia dal baco da seta, allevato nelle case del casertano, dai primi filatoi e dai telai fino alla costruzione di una grande filanda. Nel 1773 re Ferdinando IV ,attratto dal bosco di San Leucio, intorno alla residenza dei Principi Acquaviva, lo fa recintare. Poi, preoccupato del futuro di tanti fanciulli del borgo, privi di istruzione e di educazione, fa istituire la prima scuola obbligatoria gratuita in Italia. Per procurare ,poi, loro un lavoro introduce una manifattura di sete grezze. Per insegnare la lavorazione chiama i maggiori specialisti nell'arte della seta. Incentiva la coltivazione del gelso e la bachicultura per la produzione del baco da seta. La manifattura della seta impegna maestranze sia maschili che femminili. Le donne godono di una totale parità e ricevono dal re una dote per sposare un appartenente alla colonia. I lavoratori delle seterie ricevono una casa all'interno della colonia. E' abolita la proprietà privata, garantita l'assistenza agli anziani e agli infermi. (BelvederediSanLeucio. It/home-deff/il museo). La produzione della seta sostiene lo sviluppo di un'ampia rete stradale e fluviale, che diviene ,ben presto, un ponte di scambio tra Oriente ed occidente, contrastando, così, i danni di una pesante disoccupazione.   

giovedì 19 settembre 2024

  1.  



           L'AGRICOLTURA nella STORIA

          "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                 Diciannovesima puntata

Sulle rovine dell'Impero d'Occidente sorgono i REGNI ROMANO-BARBARICI. Ultima a cadere sotto la dominazione barbarica è L'ITALIA. Nel 488 gli Ostrogoti muovono alla volta della nostra penisola sotto la guida di TEODORICO. Dotato di  eccezionale vigore e di grande ingegno, profondo ammiratore della civiltà latina, sogna di poter fondere in un solo popolo Romani e Goti. Egli, infatti, dopo aver distribuito un terzo delle terre alla sua gente, senza però colpire la piccola proprietà terriera, ormai quasi distrutta dall'imperante latifondismo, mira alla collaborazione con l'elemento romano. Sceglie, come suoi collaboratori, CASSIODORO, senatore e letterato di gran fama, e SEVERINO BOEZIO, studioso della classicità. Si adopera per la ripresa dell'agricoltura e del commercio, procede a distribuzioni di viveri gratuite, secondo un'antica tradizione imperiale. Sia Esiodo che io siamo incuriositi dalla figura di CASSIODORO, che, immediatamente, risponde alla nostra chiamata. Ci racconta che è nato nel 490, da una nobile famiglia ed è morto nel 583. E' stato funzionario di Teodorico. Tenta di gettare ponti tra Romani e Goti, fra Cattolici e Ariani, tra la cultura greca e quella latina, tra la cultura pagana e la cultura cristiana. Scrive un'enciclopedia "ISTITUTIONES DIVINARUM ET SAECULARUM LITTERARUM" e "VARIAE". Fonda in Calabria, a Squillace, un Monastero, "IL VIVARIUM". Al suo interno istituisce un centro studi e una biblioteca. Nel cap XXIX delle "Istitutiones",Cassiodoro indica la posizione del monastero:<< La posizione del Monastero vivariense vi invita a preparare molte cose per i pellegrini e i poveri, perchè avete orti, provvisti di acqua e il vicino corso del torrente Pellena, ricco di pesci....>>(Skuola. net). A questo punto mi rivolgo ad Esiodo evidenziando come questa indicazione sia per me di particolare interesse, perchè la Calabria, con il suo mare e le sue spiagge, mi è sempre piaciuta molto. Tratteniamo, dunque ,con noi, questo scrittore così poliedrico. Egli ci parla del "Vivarium" e mi fa venire il desiderio di recarmi a visitarlo. Apprendiamo che il Monastero ha preso il nome da una serie di vivai di pesci, fatti predisporre dallo stesso Cassiodoro. La loro presenza rappresenta un forte valore simbolico, legato al concetto di Cristo ( nel Nuovo Testamento i pesci sono associati al racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci- nel Vangelo, poi, Gesù dice a Simone "non temere; d'ora in poi sarai pescator di uomini"). (Wikipedia). Anche SEVERINO BOEZIO, contemporaneo di Cassiodoro, nasce a Roma nel 480, da famiglia aristocratica ed è Consigliere e Ministro di Teodorico. Caduto in disgrazia, perchè sospettato di tradimento, viene incarcerato a Pavia e condannato a morte nel 526 . In carcere scrive il "De consolatione Philosophiae", dialogo tra sè stesso e la filosofia, composto da prosa e versi, alla luce del pensiero platonico. L'opera ha avuto una grande fortuna nel Medioevo ed è stata ammirata da Dante e Petrarca. Boezio cerca di conciliare la filosofia greca con la tradizione cristiana: Platonismo e Cristianesimo.(Skuola.net/appunti-italiano/lett. medioevale).





domenica 14 luglio 2024

 

            L'AGRICOLTURA nella STORIA

            "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                       Diciottesima puntata

Dopo la deposizione di Romolo Augustolo, si è soliti far terminare la storia antica e cominciare quella del Medioevo. Gli storici assegnano al medioevo, cioè al periodo intermedio tra l'antichità e i tempi moderni, una durata di circa dieci secoli e precisamente dal 476, anno in cui è stato deposto l'ultimo imperatore romano d' Occidente, al 1492, anno della scoperta dell'America. E' stato un complesso di eventi che, nel suo insieme, ha determinato profondi rivolgimenti e mutamenti delle caratteristiche essenziali della società classica, dando origine ad una civiltà diversa. Possiamo ritenere che il declino dell'Impero d'Occidente e il conseguente passaggio dall'Antichità al Medioevo è stato determinato da alcuni avvenimenti verificatisi nel IV e V secolo d.C. quali:

1) la trasformazione della Costituzione Romana;

2) la disastrosa situazione economica creata dal latifondismo ,(<< latifundia Italiam perdidere>>, scrive Plinio il Vecchio), dal conseguente depaperaumento dell'economia agricola e dal sorgere di forme coattive di lavoro e di grame condizioni di vita, specie fra le masse contadine;

3) il fenomeno della provincializzazione e della barbarizzazione dell'esercito;

4) la piena decadenza delle attività commerciali a causa della crisi finanziaria, delle continue guerre e della progressiva diminuzione delle fonti di produzione;

5) l'anarchia che rende difficile riscuotere i tributi per il disordine amministrativo e la diserzione dei contribuenti;

6) il trionfo del Cristianesimo;

7) le numerose invasioni. I barbari si mescolano alle popolazioni conquistate, ne assimilano la cultura e la religione, dando luogo ad una nuova società: la società medioevale. una vecchia tradizione considera il Medioevo come un'età barbara, tra la civiltà classica e quella rinascimentale. Questa posizione è ,ormai, superata, infatti, i popoli barbari, stabilitisi nel territorio romano, ne assimilano la cultura e si inciviliscono ; così dall'incontro di genti tanto diverse per origine, lingua e tradizioni, nascono nuove usanze, nuove leggi, nuove lingue. Proprio in seguito a questo processo di assimilazione è nata l'Europa, che, nelle sue diversità nazionali ha tre fondamenti comuni di civiltà: la tradizione romana, l'eredità germanica, la continua azione del cristianesimo.   

sabato 1 giugno 2024

 



            L'AGRICOLTURA nella STORIA

            "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                      Sedicesima puntata

Il secondo secolo dell'Impero, sotto il governo di Adriano(117-138), di Antonino Pio (138-161), di Marco Aurelio (161-180(, è stato celebrato dagli storici antichi e moderni come l'era di prosperità per l'impero romano. La pace regna all'interno, e fino a Marco Aurelio non vi sono neppure guerre esterne; gli imperatori sono tolleranti, preoccupati solo del bene pubblico, pieni di spirito filantropico. 

Nel III secolo LUCIO SETTIMIO SEVERO diviene imperatore, dando, così, origine alla dinastia dei Severi, che regna fino al 235. Istituisce "L'ANNONA MILITARIS". In base ad essa ogni proprietario terriero agricolo è tenuto a consegnare allo Stato una parte del raccolto per l'approvvigionamento delle truppe. La quota è fissa e non tiene conto delle calamità che, in quel periodo, hanno colpito i terreni agricoli. Questo determina, in molti casi, l'abbandono delle campagne e il rifugiarsi nelle città, intensificando il fenomeno dell'urbanesimo. Fioriscono i commerci, le città si arricchiscono di splendidi monumenti, nuove città sono costruite, nuove terre sono destinate alla coltivazione intensiva. L'Impero di Roma diventa veramente universale. 

Nei primi secoli dell'Impero, Roma non fa più guerre di conquista e si limita a conservare i confini, lungo i quali ha fatto costruire dalle sue legioni una linea di difesa (limes), quasi ininterrotta. Soprattutto nel II secolo d.C. gli imperatori si preoccupano delle condizioni di vita di tutti i popoli soggetti, mentre Roma e l'Italia si avviano ad una decadenza economica e politica. 

Momenti fondamentali dell'età imperiale sono l'Editto di Caracalla nel 212 d.C. che estende la cittadinanza romana a tutti i membri dell'Impero, e la tetrarchia, ossia la divisione dell'Impero fra quattro persone, operata da Diocleziano, che governa dal 284 al 305. DIOCLEZIANO prende una serie di provvedimenti per impedire lo spopolamento delle campagne. Poiché i contadini tendono a trasferirsi in città, a causa dei loro bassi redditi e delle sempre più sfavorevoli condizioni di vita, egli proibisce ai coltivatori di lasciare la terra del padrone, considerandoli di padre in figlio, di generazione in generazione, appartenenti alla terra come le piante e gli animali, comprati e venduti insieme alla terra.(A. Brancati. L'uomo e il tempo. la Nuova Italia Editrice). 

Dal 235 al 268 un altro periodo di guerre civili travaglia l'impero. Si diffonde un sentimento di sfiducia verso lo Stato, che opprime la popolazione con pesantissime tasse. I cristiani , che rifiutano il culto imperiale, e predicano l'amore verso il prossimo, costituiscono un altro fattore di indebolimento. le attività economiche subiscono un decisivo rallentamento a causa delle guerre che sottraggono masse di giovani alle attività produttive. 

Inoltre, una grave crisi monetaria fa si che in alcune zone si ritorni addirittura allo scambio di prodotti e al pagamento in natura. A tutto ciò si aggiungono i danni prodotti dalla peste bubbonica, che provoca una ulteriore riduzione della manodopera e un calo di produzione, con conseguente rialzo dei prezzi. In  Italia, mentre l'urbanesimo causa lo spopolamento delle campagne, la produzione rimane a livello domestico. L'Italia perde, così, il primato economico detenuto fino ad allora.   

      

 

martedì 14 maggio 2024

 



                    L'AGRICOLTURA nella STORIA

          "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                    Quindicesima puntata

I Romani, in età imperiale introducono in agricoltura macchine complesse come la falciatrice meccanica e il mulino ad acqua. La prima, costituita da un carro spinto da un bue, ha , nella parte anteriore, un insieme di falci destinate a tagliare le spighe di grano che vengono, poi, raccolte sul fondo del carro stretto in movimento; la seconda, il mulino ad acqua, è stata costruita, per la prima volta, in Gallia e si è diffusa, in seguito, un pò dovunque. Intorno al 200 a. C. ne esiste uno dotato di ben 16 ruote idrauliche, che azionano 32 macine, le quali riescono nelle ventiquattro ore, a produrre sino a 28 tonnellate di farina. Si discute, a questo punto, di CALPURNIO SICULO, che, molto probabilmente, è vissuto a Roma, durante il principato di Nerone. L'imperatore viene, infatti, descritto da Calpurnio come un giovane simile a Marte e ad Apollo. La sua salita al potere è vista come l'età dell'oro ed è preannunziata dalla apparizione di una cometa. E una cometa appare poco prima della morte di Claudio, imperatore romano, che ha preceduto il regno di Nerone. Calpurnio scrive 7 elegie e, con molta probabilità, la " De Laude Pisonis". Meliboeus il patrono del poeta, è stato identificato con Columella o con Seneca il Giovane. Il suo modello è, chiaramente, Virgilio, al quale, sotto il nome di Tityrus, egli parla con molto entusiasmo. Segue anche Ovidio e Teocrito. La natura diviene per lui un pretesto per una ingegnosa adulazione ,condotta con molto garbo e ingenuità.(it.Wikipedia.arg/Wiki/Tito Calpurnio Siculo).

Altro personaggio su cui si ferma l'attenzione dei presenti è PETRONIO ARBITRO. Tutto è incerto intorno alla sua vicenda umana; anche l'epoca precisa in cui è vissuto. Solo alcune pagine di Tacito ci permettono di conoscere, anche se marginalmente, quella che è stata la sua vita. Un mistero circonda la sua identità. Tacito, negli "Annales", ci parla di un Petronio Niger, che nel suo romanzo, " IL SATYRICON", fa riferimento all'ambiente della corte neroniana. Troviamo anche riferimenti alla crisi della viticultura e della agricoltura italica. Uomo alquanto originale è riuscito ad accattivarsi le simpatie del popolo romano. Fatto proconsole e, poi, console in Bitinia, si è dimostrato all'altezza della situazione. Abbandonate le cariche, è stato accolto tra i pochi favoriti di Nerone, che lo ha nominato ARBITER del buon gusto e dell'eleganza. Tigellino, geloso del suo successo, lo accusa di aver partecipato alla congiura dei Pisoni. E', dunque, costretto a suicidarsi, tagliandosi le vene. Il Satyricon, piuttosto che un lungo romanzo, ben sedici libri, si può ritenere una raccolta di novelle, inserita in una cornice unitaria. 

                                 

giovedì 2 maggio 2024

 


         L'AGRICOLTURA nella STORIA

         "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                Quattordicesima puntata

Come ci fa notare Plinio "Tempus ruit", il tempo scorre veloce. Siamo, ormai, nel I sec .a .C. Conclusesi le guerre civili, CESARE, proclamato imperatore, si accinge ad operare una serie di riforme. Infatti il vastissimo impero conquistato dalle legioni ha bisogno di un governo forte e unitario, atto ad interpretare le esigenze di tutti, ricchi e poveri, romani e provinciali. Formula, quindi, tutta una serie di leggi per rafforzare l'autorità dello Stato nell'interesse di tutti e non in quello esclusivo di una sola classe. Distribuisce terre ai veterani e ai cittadini poveri, secondo il programma già tentato dai Gracchi; protegge il lavoro libero contro quello degli schiavi e la piccola proprietà contro il latifondo; aumenta il numero dei senatori, includendo anche dei provinciali. Sviluppa, inoltre, il commercio e l'agricoltura. Va anche ricordata la riforma del calendario. L'uccisione di Cesare causa una nuova guerra, che si conclude con la battaglia di Azio (31 a.C.) e vede la vittoria di Ottaviano su Antonio. Finalmente il triste periodo delle guerre civili si chiude. Purtroppo però la vittoria di Ottaviano segna anche la fine delle libertà repubblicane. OTTAVIANO, che ottiene il titolo di padre della patria e di Augusto, lascia sussistere, almeno di  nome, le istituzioni repubblicane, ma concentra nelle proprie mani ogni effettiva autorità, attuando quel trapasso dalla costituzione repubblicana alla forma monarchica, che dà origine all'impero. Egli realizza una vasta opera riformatrice. Allo scopo di provvedere ad un risanamento dell'economia, si preoccupa di riordinare le finanze pubbliche e di valorizzare l'agricoltura, facendo ritornare alla vita dei campi molti che ne erano stati allontanati dalle necessità della guerra. L'Italia è, ancora, almeno nel I secolo d. C., e nella prima metà del II, uno dei paesi meglio coltivati  dell'impero. Le merci importate dalle province vengono pagate, quasi sempre, con eccellente vino, che si produce in tutta la penisola,, specialmente in Campania e nel settentrione. L'eruzione del Vesuvio, avvenuta nel 79, è stata una grande calamità anche sotto l'aspetto economico. Il fatto che le città arse non sono state ricostruite e che , in quella regione, non è sorta più alcuna nuova città, è indizio del declinare delle forze economiche della Campania. Le piantagioni di viti e l'economia dell'Italia , fondata sull'esportazione del vino, comunque, hanno sofferto gravemente a causa di un altro ordine di fatti. Coll'emancipazione economica delle province, anche Giovenale ci dice che nel II sec. i piccoli proprietari vengono espulsi dai fondi aviti per opera dei grandi capitalisti insaziabili. Plinio il Giovane, uno dei maggiori proprietari, parla, senza reticenze, dei suoi investimenti in terreni e dei crescenti latifondi. Egli appartiene a una famiglia agiata di grandi proprietari, membri della aristocrazia municipale di Como. I funzionari imperiali, nati in Italia cercano un investimento sicuro e preferiscono i terreni, investire in terreni garantisce una rendita sicura.  

sabato 20 aprile 2024

 


 

          L'AGRICOLTURA nella STORIA

          "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                     Tredicesima puntata

Mentre continuiamo il cammino, gli scrittori discutono di come, frattanto, la società romana si sia trasformata. si assiste, infatti, alla conquista, da parte romana di immensi territori. Inoltre, i contatti con popolazioni tanto diverse per tenore di vita e per costumi, aprono una triplice profonda crisi: 1) in campo morale; 2)in campo economico; 3)in campo politico. 

1)CRISI MORALE. La raffinatezza dell'arte e della cultura greca, unita alla mollezza e al lusso dei popoli orientali, contribuiscono, in modo decisivo, ad allontanare i Romani da quella semplicità di vita e di costumi che essi avevano ereditato dagli avi. Il contatto con la cultura ellenistica greca, inoltre, favorisce il sorgere in loro, dopo tanti anni di guerre e di duri sacrifici, dell'irresistibile desiderio di un vivere più comodo........Con evidente danno dell'antica sobrietà e del tradizionale attaccamento alla famiglia e alla terra.

2)CRISI ECONOMICA. Altra conseguenza delle grandi conquiste è l'improvviso afflusso di ricchezze dalle provincie, a tutto vantaggio dell'aristocrazia senatoria. Questa, infatti, si è enormemente arricchita attraverso la spartizione delle prede belliche e delle terre conquistate. Una gran parte di queste è andata a finire nelle mani degli aristocratici, dando origine ad immensi latifondi. D'altro canto, si verifica un progressivo impoverimento dei piccoli proprietari. Costoro, infatti, mal compensati per il servizio militare prestato, esclusi quasi del tutto dalla spartizione del bottino di guerra, sono stati costretti ad abbandonare le loro terre e a cederle ai ricchi. Non resta loro che o vendere i propri campi e, a paga bassissima, lavorare a giornata, come "braccianti" presso un grande latifondista; o diventare "coloni" del nuovo proprietario, contentandosi di avere, come ricompensa, un'ottava parte del raccolto; oppure cercare rifugio in città (urbanesimo), per vivervi una vita grama, attendendo le pubbliche elargizioni di grano. I piccoli proprietari, divenuti nullatenenti, sono esclusi dalla milizia.

3)CRISI POLITICA. Si è formata, nel frattempo, una terza classe di cittadini, di origine modesta, ma ricca, quella dei "Cavalieri", che pratica anche una intensa attività commerciale, vietata ai senatori dalla legge. La classe dei cavalieri costituisce ,dunque, l'aristocrazia del danaro, ben presto rivale dell'aristocrazia terriera e senatoriale. Si ha, inoltre, in città la presenza di una gran massa di avventurieri nullafacenti, affluiti dalle regioni vicine e lontane, creando il fenomeno dell'urbanesimo parassitario. I due fratelli, Tiberio e Caio Gracco, tentano di rimediare alla preoccupante situazione. Tiberio, eletto tribuno della plebe nel 133 a.C., propone di ripartire fra i cittadini poveri le terre dell'agro pubblico, di cui si erano appropriati illegalmente i grandi latifondisti. Spera, così, di risollevare le sorti dell'agricoltura italiana, di ricostruire la classe dei piccoli proprietari terrieri e liberare la città dai facinorosi e dagli oziosi. Nonostante le resistenze dei patrizi, Tiberio riesce a far approvare il provvedimento dai Comizi. Ma ci sono tumulti ed agitazioni in cui Tiberio viene ucciso. Dieci anni dopo, nel 123 a.C. Caio Gracco riprende e porta a termine il programma del fratello. Fa, infatti, confermare la legge agraria ed ottiene la distribuzione di terre ai cittadini poveri e la fondazione di colonie nelle provincie con lo scopo di sfollare la capitale ( A. Brancati. L'uomo e il tempo. La Nuova Italia Editrice). 

sabato 6 aprile 2024

 



            L'AGRICOLTURA nella STORIA

           "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                      Dodicesima puntata

Della sua ricca produzione letteraria ci parla il nipote PLINIO IL GIOVANE, che, frattanto, si è avvicinato a noi e partecipa alla conversazione. Ci dice che è nato a Como, nel 61, da una ricca famiglia equestre. E' rimasto orfano di padre a soli nove anni. E' stato adottato dallo zio Plinio il Vecchio, al quale è rimasto molto legato. Venuto a Roma, ha ricoperto molte cariche pubbliche, finché è giunto al consolato. Delle opere di PLINIO la principale è L'EPISTOLARIO, che consta di 10 libri, dei quali i primi nove sono costituiti da lettere agli amici, il decimo contiene la corrispondenza con Traiano, durante il governo di Plinio nella Bitinia.

 Plinio ci racconta un episodio che fa parte dell'Epistolario e merita di essere conosciuto per la sua originalità e perché riguarda l'amore per la natura marina. " IL DELFINO d'IPPONA"- C. Plinio al caro Caninio. <<C'è, in Africa, la colonia d'Ippona, vicino al mare. Si stende vicino ad essa un lago navigabile: da questo, a guisa di un fiume, esce un canale, il quale, alternativamente, a seconda che la marea lo frena o lo sospinge, ora si versa in mare, ora ritorna nel lago. Qui, gente di ogni età è presa dal desiderio di pescare, di navigare e, anche, di nuotare, soprattutto i ragazzi. Per costoro è vanto e merito inoltrarsi, quanto più possibile, in alto mare; vince colui che lascia il più dietro possibile sia il lido, sia i compagni di nuoto. In questa gara un fanciullo, più coraggioso degli altri, cercava di spingersi più avanti. Gli venne incontro un delfino, ed ora precedeva il fanciullo, ora lo seguiva, ora gli girava intorno, infine lo prendeva in groppa, lo metteva giù, lo prendeva di nuovo e lo portava tremante prima in alto mare, poi, si volge alla spiaggia e restituisce il fanciullo alla terraferma e ai suoi compagni. La nuova si sparge per la colonia: tutti accorrevano, guardavano il fanciullo stesso come una cosa strana, lo interrogavano, lo ascoltavano, raccontavano ad altri. Il giorno dopo affollano la spiaggia, guardano il mare e ciò che ha parvenza di mare. I ragazzi si mettono a nuotare, tra costoro vi è quello, ma avanza con maggior cautela. Il delfino, alla stessa ora, va di nuovo dal fanciullo. Egli fugge con tutti gli altri. Il delfino, come se lo invitasse, lo richiamasse, balza fuori, s'immerge, fa e disfa' diverse giravolte. E ciò al secondo giorno, al terzo, per più giorni, finché la vergogna della paura subentrò in quella gente, cresciuta in mare. Gli si accostano, giocano insieme, lo chiamano, lo toccano persino, lo accarezzano mentre si offriva loro. Provando e riprovando, cresce il loro coraggio. Specialmente il fanciullo ,che per primo lo provò, nuota accanto a lui, che nuota, gli salta sul dorso, è portato e riportato indietro, crede di essere da lui riconosciuto, di essere benvoluto, egli stesso gli vuole bene; nessuno dei due ha paura, nessuno dei due fa paura: aumenta la fiducia di questo, la dimestichezza di quello. Ed anche gli altri fanciulli, a destra e a sinistra, vanno insieme dando avvisi e incoraggiamenti. Andava insieme, (anche questo è strano), un altro delfino, ma solamente come spettatore e compagno. infatti non faceva né si lasciava fare niente di simile, ma accompagnava e riaccompagnava indietro quell'altro, come gli altri fanciulli accompagnavano e riaccompagnavano quel fanciullo. E' tuttavia tanto vero quanto i fatti precedenti, che quel delfino che portava i ragazzi e giocava con loro, era anche solito venire sulla spiaggia e, asciugatosi con la sabbia, appena si era riscaldato, si rituffava. Costa che Ottaviano Avito, luogotenente del proconsole, per una sciocca superstizione, versò un unguento sopra il delfino uscito sulla spiaggia e che esso fuggì il suo insolito odore immergendosi in alto mare, né fu più visto se non dopo molti giorni, languido e mesto, e che ritornategli le forze, ripigliò la precedente gaiezza e i soliti gesti. Accorrevano allo spettacolo tutti i magistrati, per la cui venuta e permanenza il piccolo Comune era rovinato dalle nuove spese. infine, il luogo stesso veniva a perdere la sua tranquillità e solitudine. Fu deciso di uccidere di nascosto l'animale, al quale tutti accorrevano> (epist. IX, 33).( F.Villa, C.Piazzino. Maiorum Sermo. V.II Ed. Paravia).                               

sabato 23 marzo 2024



                   L'AGRICOLTURA nella STORIA

         "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                    undicesima puntata

Ecco che arriva un altro personaggio della Storia Romana a noi molto caro, è PLINIO IL VECCHIO. E' legato a momenti drammatici della nostra terra, quali l'eruzione del Vesuvio, nel 79 d.C. e il terremoto che distrusse Pompei, Stabia ed Ercolano. E' nato a Como, nel 23 d. C. ed è vissuto sotto Claudio, Nerone e Vespasiano. Ha rivestito varie cariche pubbliche e militari. E' morto nel 79 d.C. E', allora, comandante della base navale di Miseno. Si imbarca per portare aiuto alle popolazioni e per osservare il fenomeno da vicino. Muore, forse, intossicato dal fumo. Di lui ci è pervenuta la "NATURALIS HISTORIA", in 37 libri, un'opera enciclopedica che tratta di cosmologia, geografia, antropologia, zoologia, sostanze medicinali, metallurgia e mineralogia. Scrive della natura e della vita, anche negli aspetti più umili, usando spesso termini rustici. Da ampio spazio ai  "mirabilia", fatti straordinari, riportati dalla letteratura greca (Scuolanet/lett.latina-età imperiale/Plinio il Vecchio).Il libro XIV della "Naturalis Historia" tratta della VITE e dell'ULIVO. Dopo l'introduzione, Plinio comincia a parlare della vite e della supremazia dell'Italia nella produzione di questa pianta. Fa, poi, una classificazione delle varie qualità di uva, prodotto tipicamente italiano. Ci parla, prima di tutto, di un vitigno, cui dà il nome "cauda vulpium", perché la parte terminale del grappolo ha una curiosa forma leggermente ricurva, tale da farlo somigliare ad una coda di volpe  (sembra che di questo vitigno ci ha parlato anche Columella, dandogli il nome di "Aminea gemina"). Inizia, quindi, la seconda parte, dedicata al vino, con notizie riguardanti i vini omerici e i vini preferiti dalla famiglia di Augusto. Poi si enumerano i vini italiani, gallici, spagnoli e quelli d'oltremare. L'autore apre, inoltre, uno spaccato sull'uso sacrale del vino. La terza parte è dedicata alla vinificazione, cioè al trattamento del mosto e alla conservazione del vino. Il libro si conclude con una digressione moralistica contro l'ubriachezza e le  sue conseguenze. Nel libro XVII, dedicato alla arboricultura, si sofferma sull'esposizione delle vigne, sull'innesto e i metodi di coltura, sulle malattie della vite. Nel libro XXIII scrive degli usi medicinali della vite e dell'uva. Punti di riferimento sono per lui il "De agricultura" di Catone, l'opera di Columella e, ancora , le "Georgiche" virgiliane. Sempre nel libro XIV Plinio precisa che alle donne non è consentito bere il vino. Troviamo tra gli esempi che la moglie di Egnatio Maetenno fu uccisa dal marito perché aveva bevuto il vino dalla botte e che quello fu assolto da Romolo per la strage. Fabio Pictor scrive nei suoi Annali che una matrona fu costretta dai suoi a morire di fame perché aveva visto i loculi nei quali erano le chiavi delle celle dei vini. Due sono i liquidi (liquores) graditissimi ai corpi umani, i vini e gli olii, entrambi del genere degli alberi.( Traduzione e note di Andrea Aragosti). Della sua ricca produzione letteraria è rimasto ben poco.

mercoledì 13 marzo 2024



          L'AGRICOLTURA nella STORIA

          "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                         decima puntata

Alla poesia bucolica si dedica sotto Nerone, TITO CALPURNIO SICULO. Della sua vita non sappiamo nulla, neanche se fosse chiamato Siculus perché siciliano o perché cultore  della poesia teocritea : Teocrito era di Siracusa. Abbiamo, però, sette ecloghe sue che ricalcano da vicino- sia nel contenuto che nello stile- le Bucoliche di Virgilio, e riprendono alcuni spunti direttamente da Teocrito. Calpurnio esalta l'imperatore e la sua politica: l'età dell'oro non è stata quella di Augusto, ma quella di Nerone. La speranza degli umili in un mondo migliore è espressa in versi accurati, animati, a volte , da un pathos sincero. " Regnerà una quiete perfetta, ignara di armi impugnate essa porterà un'altra volta nel Lazio il regno di Saturno, un'altra volta il regno di Numa, che per primo alle schiere esultanti di strage, e ancora ardenti nell'accampamento di Romolo, insegnò le opere della pace e ordinò che le trombe, tacendo le armi, nei riti sacri suonassero e non nelle guerre". (Calpurnio Siculo,Bucol.1,63 sgg.). 

L'attività tradizionale dei ricchi- la conduzione delle grandi proprietà terriere- è abbandonata, sia perché si sono formati enormi latifondi, a cui non potevano provvedere direttamente i proprietari, sia per una nuova e diversa valutazione dell'importanza sociale della ricchezza. A nulla valgono gli sdegnati lamenti del tradizionalista Columella (storia e testi della letteratura latina. A cura di I. Mariotti. Da Tiberio a Traiano. Zanichelli editore Bologna).

 Mentre ci intratteniamo piacevolmente, ecco venire verso di noi un uomo che non mi sembra di conoscere. Esiodo corre in mio aiuto e mi dice che è QUINTO GARGILIO MARZIALE, nativo di Anzia nella Mauretania. Di lui si hanno poche notizie, è autore di un'opera di agricoltura, in cui tratta dell'efficacia medicinale delle piante e di argomenti di veterinaria. Di essi sono conservati scarsi frammenti nel IV libro della "Medicina Plinii" con il titolo di "Medicinae ex olearibus et pomis ". (Treccani.it/enciclopedia). 

Invece, quello che tutti conosciamo bene, è MARCO VALERIO MARZIALE, nato a Bilbilis, nella Spagna tarragonese nel 40 d.C. muore nel 104 d.C. Attratto dalla vita della città, si è recato a Roma, lasciando la vita di provincia. Inizialmente ha avuto come protettore Seneca, ed ha svolto il ruolo di "cliente", lamentandosi, costantemente, nella sua poesia, dell'avarizia dei padroni. Dopo il fallimento della congiura dei Pisoni, compone il "Liber de spectaculis", che celebra gli spettacoli di Tito in occasione dell'inaugurazione del Colosseo. Dopo la composizione degli "Xenia" e "Apophoreta" scrive 12 libri di EPIGRAMMI, che gli danno grande successo. La fama , ottenuta con epigrammi adulatori, gli fa avere, da parte degli imperatori Tito e Domiziano concessioni e privilegi. 

Vive, poi, per un certo tempo, a Roma, dove, nell'84, gli è stato donato un terreno agricolo nei pressi di Nomentum, dove si reca nei periodi primaverili ed estivi. E' vissuto a Roma fino al 98, poi è ritornato in Spagna. A Bilbilis, una ricca vedova di nome Marcella, ammirata dalla sua arte, gli ha regalato una casa e un podere. E' morto a Bilbilis nel 104. 

Quella di Marziale è stata un'esistenza misera e scontenta. E' diventato anche proprietario di una casetta sul Quirinale e di un piccolo podere nei dintorni di Roma. Non è riuscito, comunque mai, a raggiungere l'agognata agiatezza. La nostalgia della natia Bilbilis e l'aspirazione ad una vita agreste e solitaria è rimasta nel fondo della sua anima ed egli ha conservato sempre una vena rustica e intimistica  (L.Perelli. Storia della letteratura latina Paravia).





  

martedì 5 marzo 2024

 



            L'AGRICOLTURA nella STORIA

             "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                            Nona puntata

Ed ecco venir verso di noi un terzetto di scienziati, che discutono animatamente. Si tratta di LUCIO GIUNIO MODERATO COLUMELLA, POMPONIO MELA e AULO CELSO. Devo confessare che io conoscevo molto poco questi autori, per cui, quando ci sono venuti incontro, mi sono affrettata a documentarmi. 

Ho appreso che LUCIO COLUMELLA è nato a Gades, in Spagna, il 4 d.C. ed è morto a Taranto nel 70. Dopo essere stato nell'esercito, ha iniziato la sua vita di fattore e si è stabilito in Italia, dedicandosi alle sue vaste proprietà terriere. il trattato "DE RE RUSTICA", in dodici libri, è il più ampio che l'antichità ci ha tramandato sull'agricoltura. Quello che noi conserviamo è la seconda edizione, ampliata, composta sotto Nerone. Abbiamo, inoltre, un libro "DE ARBORIBUS". Columella esamina, organicamente e dettagliatamente, tutti gli aspetti del mondo contadino, dal fondo rustico alla vita dei campi, dall'arboricultura all'allevamento del bestiame e delle api, dal giardinaggio ai compiti del fattore e della fattoressa. Ci parla, in particolare, di un vitigno "l'Aminea gemina", così detto per i suoi grappoli d'uva accoppiati, da cui si ottiene un vino austero e durevole. Esso ha origini antichissime ed è stato portato in Italia dalla lontana Tessaglia. Ha trovato in Irpinia un terreno particolarmente idoneo, in quanto vulcanico. Tale vitigno è detto "Greco" (Avellino e la sua provincia. Monografie d'Italia-Clementi editore).  

Columella ha idee sue e fa appello alla propria esperienza. Si propone, in primo luogo, di rivalutare l'agricoltura italica, che non  riesce a far fronte alle esigenze della popolazione-si preferisce importare dalle provincie- e condanna lo scarso impegno dei grandi proprietari. I precetti sono dettati dal buon senso della cultura contadina, e del suo autoritarismo, ancora vivo nei detti e nelle canzoni popolari. 

Così per la scelta della "mogliera" ;<<se te la pigli troppo bella/ti ci vuole la sentinella/se te la pigli troppo brutta/ci rimani a bocca asciutta>>. Ecco cosa dice lo scrittore a proposito di questa scelta :<<La massaia....... prima di tutto deve essere giovane, cioè non troppo fanciulla, per le stesse ragioni che ho esposto a proposito dell'età del massaro; e inoltre di salute perfetta e di aspetto non ripugnante. Non occorre, invece, che sia una bellezza! La forza fresca e intatta le permetterà di sostenere le veglie e le altre fatiche. La troppa bruttezza allontanerebbe il compagno, mentre la troppa bellezza renderebbe costui fiacco e pigro. Dobbiamo dunque preoccuparci di avere un massaro che non vada cercando avventure di qua e di là, dal sonno, dagli uomini ma e abbandoni la campagna assegnatagli e nello stesso tempo non se ne stia tutto il giorno attaccato a lei. Però non sono solo queste le qualità che dobbiamo cercare nella massaia. Bisogna preoccuparsi, particolarmente, che sia lontanissima dal vino e dai piaceri della gola, dalle superstizioni, dal sonno, dagli uomini, ma sempre pensi, invece, quali sono le cose che deve tener presenti, quelle che deve preparare per il giorno dopo, ecc......,in modo che si comporti come si è detto deve comportarsi il massaro; La maggior parte delle qualità, infatti, devono essere simili nella donna e nell'uomo; essi devono parimenti evitare ogni difetto e sperare premi per la loro buona condotta. Inoltre la donna deve lavorare perché il massaro abbia il minimo di faccende nella casa, dato che egli, fin dalla prima mattina, deve uscire con i lavoratori e la sera ritorna a casa quando è stanco.(Columella XX 1sgg.trad.calzecchi-Onesti).

Ancora oggi la sua opera e di guida e di insegnamento per coloro che si interessano alla natura, all'agricoltura. Nel trattare delle erbe medicinali, sostiene.ad.es. che "l'eruca", ossia la rucola "eccita a Venere i mariti pigri". Si dedica alle scienze agrarie (Wikypedia). Ha seguito l'esempio dello zio Marco, da lui definito "Un uomo astuto e uno splendido fattore". 

Nelle sue fattorie di Ardea e Alba Longa sperimenta varie tecniche agrarie, di cui da notizia nei suoi scritti. Il V libro è dedicato alla coltivazione dell'ulivo e alla tecnica olearia, insieme alla viticultura.. L'olivo e la vite sono coltivazioni tipiche del Mediterraneo. Egli ha un approccio scientifico e dà consigli pratici sulla materia. Per questo, quando è stata inventata la stampa, l'opera ha avuto molte edizioni e rappresenta la maggior fonte di conoscenza sull'agricoltura romana. 

Nella prefazione del DE RE RUSTICA lo scrittore dice che <<la terra ha avuto in sorte una giovinezza eterna, simile a quella degli dei, essa viene detta madre di tutte le cose, appunto perché tutte le ha prodotte, e di nuovo le produrrà in avvenire! Non è nemmeno l'inclemenza del cielo la causa dei danni che lamentiamo, la colpa è nostra, perché  abbandoniamo la cura dei campi nelle mani del peggiore dei nostri schiavi, e glieli lasciamo straziare, mentre ai tempi dei nostri padri, i migliori cittadini se ne occupavano personalmente e con la massima diligenza. Veramente non so darmi pace di questo fatto.....chi vuol fabbricare chiama ingegneri e architetti, chi vuol mettere navi in mare e navigare cerca provetti marinai, chi vuol fare la guerra si affida ad esperti di arte militare.. solo la scienza agricola, che, senza dubbio, è vicina, per nobiltà ed importanza, alla sapienza, non ha né chi la insegni, né chi la impari.....Finora non ho conosciuto né chi si professasse maestro di agricoltura, né chi ne volesse essere studioso. Eppure anche se la città mancasse di professioni delle scienze suddette, lo Stato potrebbe essere in fiore, come fu nei tempi antichi. Sappiamo che gli uomini furono felicissimi-e lo potrebbero essere ancora-senza avvocati e senza divertimenti. Ma se mancano i coltivatori dei campi, non si può mangiare, non si può vivere!(Trad. di R. Calzecchi-Onesti)(Humanitatislitterarum-Armando Salvatore-Loffredo Editore Napoli). 

E' stato lo zio Marco, che gli ha insegnato molte cose sul campo, ad infondergli la passione per l'agricoltura. Ha alcune fattorie in Italia, dove sperimenta personalmente le tecniche agricole, che riporta nel "de re rustica". In particolare, il V libro viene dedicato alla coltivazione dell'olivo, con riferimento alla olivocultura e alla tecnica olearia, basata su cognizioni botaniche e tecnologie che sono restate fino al XVIII sec. Esse saranno punti di riferimento per questa attività nei paesi mediterranei dell'Europa. Autori latini, che si sono occupati dell'agricoltura, sono ricordati per la loro importanza letteraria, invece Columella é importante proprio per la storia delle Scienze agrarie.

Lo scrittore ci presenta anche i suoi colleghi, Pomponio Mela e Cornelio Celso.

POMPONIO MELA, nato in Spagna nel I sec. d.C. é stato un geografo romano. Ha scritto, nel 44 d.C.,la più antica opera di geografia, a noi giunta,  "De chorografia", probabilmente su richiesta dell'imperatore Claudio.

Nel periodo storico comprendente l'impero di Augusto e di Tiberio notiamo anche la presenza di AULO CELSO. Profondo conoscitore di Ippocrate, nato a Roma (25 a. C.- 45 d.C.) enciclopedista e medico di fama, ha sperimentato varie pratiche mediche, sia greche che romane. La sua opera principale é "De Artibus", in 5 libri, in cui tratta delle varie scienze, prima fra tutte l'agricoltura. Ci informa sui campi, il bestiame, gli uccelli domestici e le api.(HTTPS//ro.impero.com). 

sabato 24 febbraio 2024




         L'AGRICOLTURA  nella STORIA

           "ITALIA FELIX" e CURIOSITA"
                 
              Ottava puntata

Ed ecco che il mio pensiero va a FEDRO, che mi ha sempre attratto con la sua umanità e la comprensione per i difetti degli  uomini.
E' nato sotto il principato di Augusto, intorno al 15 a.C., ha scritto le sue FAVOLE sotto Tiberio, Caligola e Claudio. E' uno schiavo di origine tracia. Perseguitato da Seiano, braccio destro di Tiberio, ha subito molte umiliazioni e la povertà. 
Egli stesso ci dice che le sue composizioni sono circa 90, divise in cinque libri, sono Aesopiane non di Esopo.
 La Favola è una breve narrazione, in prosa o in poesia, di personaggi immaginari. Sono, in genere, animali, descritti come se fossero uomini. Sono presenti le varie caratterizzazioni: i Virtuosi, i Cattivi, i Prepotenti. Egli vuole condannare i difetti della classe dominante romana. Sono storielle che dispensano pillole di saggezza e si concludono con una morale. Senz'altro originale, pur nella sua brevità, è la favola "La volpe e l'uva".<< Una volpe, spinta dalla fame, saltando con tutte le sue forze, cercava di cogliere l'uva su un'alta pergola. Ma , poiché non la poté toccare, andandosene disse "Non è ancora matura, non voglio coglierla acerba". Coloro che disprezzano a parole ciò che non sono capaci di fare dovranno riferire a sé stessi questa favoletta >>( Scuola. net).
 Ormai Virgilio, Tibullo e Properzio sono morti o sono vicini a morire, solo Ovidio, l'epigono, ha ancora un avvenire. Si chiude in bellezza e in saggezza, più ancora che la storia della prima più limpida e felice età di Augusto, la storia del più autentico mondo greco-latino>> (Arnaldi). 

E non può mancare all'appello PUBLIO OVIDIO NASONE (43 a. C. - 18 d.C.), senza dubbio attratto da quel crocicchio di persone che si è formato. E' nato a Sulmona ed è morto a Tomi,  sul mar Nero, dove si trova in esilio, in quanto coinvolto in uno scandalo di corte che ha avuto come protagonista Giulia, la nipote di Augusto. Ha scritto numerose opere, tra cui la più famosa è "LE METAMORFOSI". Nel poemetto " REMEDIA AMORIS", quale "medicus amoris", prescrive i rimedi necessari per guarire dalle sofferenze dell'amore. 
Nell'ARS AMATORIA, dimostra di conoscere il potere delle erbe medicinali. In particolare, ci parla del potere della Rucola o ruchetta, nome latino "eruca saliva", che è molto cara agli antichi, soprattutto per le sue proprietà curative. I Romani ne consumavano i semi, le attribuivano proprietà magiche e le utilizzavano nei filtri amorosi, ritenendola la più potente fra gli afrodisiaci. La sua coltivazione è spesso effettuata nei terreni che ospitano le statue falliche, erette in onore di Priapo, dio della virilità. Ovidio la chiama "eruca salax" o "herba salax" cioè erba lussuriosa.
Contro il mal d'amore, sicuramente, è di aiuto preferire la campagna alla città, dedicarsi allo sport e ai viaggi.

 Anche nelle "METAMORFOSI" non dimentica mai la natura. Orfeo, suonatore di cetra, va per i campi seguito dalle Baccanti. Egli le respinge e le Baccanti lo uccidono. Dioniso, per punirle le trasforma in alberi della foresta (Pierucciagricoltura.it).

 E come non pensare ad Apollo e Dafne. La Fanciulla, per sfuggire al dio, che, follemente innamorato, la insegue, prega il fiume Peleo, suo padre, di salvarla. "Finita la preghiera, un greve torpore le invade le membra, il tenero seno si cinge di corteccia sottile, in fronde i capelli, in rami si protendono le braccia, il piede, per ora tanto veloce, aderisce a pigre radici, la cima racchiude il suo volto. Di lei rimane solo il nitore. Febo anche l'albero ama....... ma sfugge il legno i suoi rami. Il dio le parla << Poiché non puoi essere la mia sposa, sarai almeno la mia  pianta. Sempre porteranno le tue ghirlande ,o lauro, la mia chioma, la mia cetra, la mia faretra. Tu poserai sul capo dei duci latini quando lieti canti celebreranno il trionfo e il Campidoglio vedrà sfilare lunghe processioni>> (A.Reinaud R.Andria.Echi di roma Antica.v.2. Fratelli Ferraro Editori).                       
  


venerdì 16 febbraio 2024

 


        L'AGRICOLTURA nella STORIA

        "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                    Settima puntata 

Siamo in piena età augustea. Ottaviano Augusto chiude il tempio di Giano e diviene garante della pace, protettore della famiglia e restauratore del "mos maiorum". Quella di Augusto viene ad essere, per la maggior parte, l'età della pace: dapprima disperatamente sospirata, cercata, invocata, poi salutata e goduta con quasi universale soddisfazione. Infatti il senso di pace è largamente diffuso in tutta la letteratura di questo periodo. Un accenno va fatto ad un personaggio di grande rilievo del periodo storico di cui discutiamo : Mecenate, il quale " alla protezione delle lettere non è soltanto indotto da ragioni di accorgimento politico, ma anche da intimo gusto d'arte " (Rostagni). 

Virgilio appoggia il programma di Augusto, enfatizzando i valori dell'agricoltura e del lavoro dei campi. Nell'umanità delicata con cui sono viste e sentite le piante vi sono i germi del grande poeta. Le "BUCOLICHE" emanano dal di dentro e dicono il sospiro di Virgilio, in un'ora affannata, per la quiete e l'oblio.....Questo spirito idillico, misto di malinconia e di serenità, dissidio che si quieta in un'armonia superiore, è il fondo nel quale guizzano le prime accese faville della Musa virgiliana. La contemplazione dei campi, l'accostarsi con palpito fraterno agli uomini della terra, alle loro gioie e più alle loro pene : ecco la fresca fonte di questa poesia.

Nelle "GEORGICHE" L'orizzonte si allarga, abbraccia l'interezza della vita umana, etica, religiosa, sociale, politica; dalla letteraria si passa ad una delle tradizioni più native di Roma, la georgica.....l'età Saturnia è veduta da un altro punto di vista, meno fittizio, più vicino al reale, più solido. Siamo sulle orme del vecchio Catone e dei prischi Latini.....La poesia del lavoro, del duro lavoro delle zolle, via via  senza posa attraverso le stagioni dell'anno, attraverso la seminagione e la piantagione: ecco ciò che Virgilio ci dà. "Labor omnia vincit improbus": tale è il vangelo bandito dal poeta e la sua legge morale (Funaioli).

Virgilio, meglio di ogni altro, interpetra il passaggio dai travagli dell'età di Cesare alle speranze dell'età di Augusto, traendone occasione per indagare il problema del dolore, del male del mondo e del destino umano.....Nelle Bucoliche, scritte durante le guerre civili, il mondo e la storia appaiono dominati dall'ingiustizia e dalla violenza, e il poeta cerca rifugio nel sogno dell'Arcadia. Nelle Georgiche, viene riconosciuto il valore morale della sofferenza e della fatica e l'amore virgiliano per la terra e per la vita degli umili si innesta, in coincidenza con il programma augusteo, sulla celebrazione dell'antica Italia agreste (L. Perelli. Storia della Letteratura latina-Paravia).       

                      

martedì 6 febbraio 2024

 



            L'AGRICOLTURA nella STORIA

            "ITALIA  FELIX" e CURIOSITA'

                             Sesta puntata

Dopo la breve digressione, ci soffermiamo a considerare che la poesia di Orazio <<è eminentemente soggettiva e personale..... nel senso.....che essa ha per oggetto di osservazione, di contemplazione e di canto, i moti interni del suo spirito, la sua formazione, in particolare la sua ricerca della sapienza (Rostagni). Dinanzi ai terribili avvenimenti del tempo (Confisca delle terre, guerra perugina ecc.)<< invece di astrarsi, come il suo tenero amico (Virgilio), in fantasie di luoghi migliori, si arrovella nel confronto tra le aspirazioni e la realtà e violentemente esprime il disgusto per la violenza e la follia delle lotte civili (Arnaldi)>>.

<<Solo in una società ricostituitasi faticosamente dopo aver infranto sanguinosamente, e a più riprese, gli schemi ideologici e le inquadrature politiche e sociali della repubblica>>, Orazio <<poté avere quel gusto della vita quotidiana, anche modesta, scoprire le bellezze di una passeggiata vespertina in mezzo ad umile gente, diventare, quale nessuno lo era stato prima di lui, il poeta,..... che era piaciuto, in pace e in guerra, ai grandi...... Che la satira di Orazio non superi in genere quei limiti di bonaria moralità e umanità a cui egli tendeva, che più di una volta non sia stata neppure satira, ma senso della vita, soprattutto dei valori della sua vita, dimostra quale equilibrio interno ed esterno egli abbia raggiunto>>(Arnaldi). 

Frattanto si avvicina, incuriosito, MARCO TERENZIO VARRONE (116 - 27 a.C.). I suoi libri del "DE RE RUSTICA" mirano a risuscitare e continuare le virtù agresti della stirpe romana, rappresentata da Catone il Censore (Rostagni). Si nota subito che Varrone ha un diverso senso di umanità verso gli schiavi, rispetto a Catone che è così disumano. infatti è benigno verso di loro, come il suo amicissimo Cicerone (Bignone)-Humanitas litterarum .A. Salvatore- Loffredo Ed.p.139).

Mentre i nostri primi incontri si allontanano, giungono altri personaggi del mondo latino. Facciamo, dunque, la conoscenza di ALBIO TIBULLO (50 a. C -19 d. C). Nasce nel Lazio rurale e nella sua raccolta, "il CORPUS TIBULLIANUM", fa l'elogio della vita rustica. E' ritenuto il poeta dei campi, visti, non come un luogo di sofferenza , ma come un locus amoenus . << Malinconica suona la musa di Tibullo: l'immagine della morte, della vecchiaia vengono sempre a turbare la gioia dell'amore. La quale in atto non c'è; c'è nella nostalgia. E col sentimento amoroso si confonde la contemplazione georgica e idillica: pace religiosa, divina semplicità dei rura, sognata solitudine campestre in compagnia della propria donna, pianto per la sua lontananza, pieno abbandono e oblio della propria persona nella persona di lei.....irrequietezza e dolore per quello che ella fa ed ella è.....ricordi di fanciullezza e, comunque del passato assai più felice del presente>>.

Manifesta un sincero amore per la campagna, considerata come il rifugio ideale di fronte alle angosce dell'amore e della guerra. Il poeta sente un forte bisogno di un rifugio, di uno spazio intimo e tranquillo in cui proteggere e coltivare gli affetti di fronte alle insidie e alle tempeste della vita.

La campagna tibulliana è, dunque, uno spazio di idillica felicità, di vita semplice e serena, pervasa da un senso di rustica religiosità. Essa rivela il suo carattere italico, col patrimonio di antichi valori agresti celebrati dall'ideologia arcaicizzante del principato. Vi è un'intima adesione ai valori tradizionali (Conte. Pianezzola. Forme e contesti della letteratura latina. Le Monnier).

lunedì 29 gennaio 2024

 

         L'AGRICOLTURA NELLA STORIA

         "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                          Quinta puntata 

In questa atmosfera quasi magica viene spontaneo chiedersi quale sia l'importanza delle piante e il valore della magia in relazione ad esse. E' innegabile che le piante hanno un importante ruolo nella vita degli uomini e nella magia. Esso deriva loro in parte dal fatto che alcune erbe hanno reali proprietà curative o letali. Infatti i santoni indiani o africani erano e sono ,ancora oggi, esperti erboristi e il loro lavoro è sempre associato a incantesimi e riti magici.

Nel mondo antico le erbe per uso magico dovevano essere tagliate con un coltello di bronzo. La sacerdotessa di Didone, infatti, usava erbe che erano state tagliate con un coltello di bronzo alla luce lunare (Echi di Roma antica. Antologia della Letteratura latina. Fratelli Ferraro Editori). Tre sono le piante più sacre a Roma: IL FICUS, L'OLEA e LA VITIS, coltivate nel foro romano della Roma repubblicana. 

Il FICO ruminale è l'albero fausto da ruma, che significa mammella. E' l'albero dove si è fermata la cesta contenente Romolo e Remo, in riva al Tevere e si è fermata la lupa per allattarli. 

L'OLIVO, da cui si estrae l'olio. L'olio migliore è quello della spremitura a freddo, fatto con le ulive ancora verdi e senza muovere i noccioli. La seconda spremitura schiaccia tutto il resto. I residui del frantoio vengono usati come commestibili per le lucerne. La spremitura a freddo è conservata fino ai nostri giorni. Roma importa olio dalla Spagna, ma i benestanti usano olio del suolo italico. la macina del frantoio antico viene descritta da Plinio. Macine antiche si trovano, ancora oggi, nelle campagne. 

LA VITE, una delle piante più antiche, è stata venerata dall'uomo fin dalle epoche primitive. Il suo protettore è Dioniso per i Greci, Bacco , per i Romani. A Bacco, dio della vite e della vendemmia, è dedicato un culto e la festività del Baccanale.

Vi è ,poi, il LAURUS NOBILIS, simbolo della sapienza divina, sacro al dio Apollo. Gli antichi Romani coltivano l'alloro, ritenendolo una pianta nobile, e lo pongono sul capo dei poeti e dei generali vittoriosi nelle battaglie. Creano, così, un ornamento circolare, simbolo di gloria e di vittoria da porre sul capo. Da questa corona , chiamata "Laurea", deriva il termine "Laurea" o "Laureato", cioè cinto di alloro.

Passiamo, ancora, al ROSMARINO officinalis, impegnato anticamente in riti propiziatori e in riti funebri, perchè si credeva che allontanasse gli spiriti maligni. Se una delle piante moriva, veniva subito ripiantata. Se morivano precocemente era  segno di sventura (Piante sacre della Roma antica. gogle. com).

Divinità protettrici dell'agricoltura sono, nell'età antica. CERERE, la dea dei campi. Con Esiodo ricordiamo un canto propiziatorio alla dea Cerere, che veniva cantato durante il lavoro:

<<Proteggi il gregge insieme ai pastori 

e vadano i malanni lungi dalle mie stalle.

Lontano la brutta fame, e che avanzino l'erba e le fronde.

Che noi mungiamo poppe gonfie

e il cacio ci frutti cibo e danaro.

e siano molte le nuove agnelle, dentro il mio ovile>>. (Guida in progress. Professione insegnante. Giunti Scuola.v.3°).

SATURNO, il dio della seminagione; 

SILVANO, il dio dei boschi;

FAUNO, il dio del gregge.

giovedì 18 gennaio 2024

 


        L'agricoltura nella storia

             "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                         Quarta puntata

Dalla Grecia arriva a Roma e al Sud-Italia un'ondata di cultura con la C maiuscola. Esiodo mi parla del trattato "De agri cultura" di MARCO PORCIO CATONE (234-149 a.C.) detto il Censore. Nasce a Tuscolo, nella campagna laziale, da una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Da fanciullo e giovinetto vive a lungo in Sabina, coltivando direttamente i campi con le sue braccia. L'opera viene composta intorno al 160 a. C. In essa viene enfatizzata la figura del buon agricoltore e del buon colono, forte e onesto, che Catone definisce "Vir bonus colendi peritus". Lo scritto vuol essere una guida per il pater familias. Contiene una serie di consigli su come disporre le piantagioni, illustra le tecniche agricole e i procedimenti di lavorazione, inserendo formule religiose, rituali e ricette di cucina.

 Lo scrittore ha tramandato anche qualche ricetta medica, di cui faceva uso per sè e per i suoi, più vicina alle pratiche di stregoneria che alla scienza medica, allora assai progredita fra i Greci: infusi di melograne acerbe, empiastri di cavoli pestati e simili. Un biografo maligno dice che, con questi sistemi, egli è campato fino a 85 anni, ma ha fatto morire la moglie e il figlio.

Continuiamo il nostro cammino, quando, dalla nebbia del passato, ecco emergere TITO LUCREZIO CARO (94-55 ? a. C.), di cui ci parla San Girolamo. Apprendiamo il suo dramma. Pare che lo scrittore sia stato colpito da follia e che si sia suicidato dopo aver preso un filtro d'amore. Nei momenti di lucidità compone il "De rerum natura", in cui parla della difficoltà del vivere nella terra che è inospitale, la vita è resa possibile dalle fatiche dell'agricoltura. La concezione epicurea viene esposta con dovizia. 

Esiodo è lietissimo per l'incontro con Lucrezio, che ha seguito il suo esempio nell'interessarsi della Natura. Mi spiega che in "Le Opere e i Giorni" ha fatto un discorso didascalico, con consigli e istruzioni per portare avanti proficuamente il lavoro. Ha inaugurato la poesia scientifica. Si sente, quindi, molto vicino a Lucrezio. E' questo il primo incontro dello spirito latino con quello greco, della cultura greca con quella romana. 

Tra le istruzioni che Lucrezio dà per la coltivazione dei campi, riprendiamo un passo dal libro IV del "De rerum natura", riguardante l'innesto. <<Esempio della semina e origine dell'innesto fu dapprima la natura stessa, creatrice di tutte le cose, poichè le bacche e le ghiande, cadute al suolo a tempo opportuno, producevano sotto i tronchi una selva di germogli, onde piacque agli uomini innestare polloni nei rami e piantare in terra nuovi virgulti per i campi. Quindi sperimentavano sempre nuove colture dell'amato campicello, e vedevano i frutti selvatici addolcirsi nella terra, dedicando ad essi, nel coltivarli, riguardi e amorose cure>>. ( Libro IV w 1361-1369).

Dopo poco, continuando per la nostra strada, incontriamo PUBLIO VIRGILIO MARONE (70 a.C- 19 a. C.), nativo di Antes, a poca distanza da Mantova. Appartiene ad una agiata famiglia di proprietari terrieri e trascorre la fanciullezza e la adolescenza nella malinconica pianura padana. La sua origine agreste lo rende particolarmente sensibile alla luce fraterna della natura e lo porta ad idealizzare la figura dell'agricoltore italico (L.Perelli- Storia della Letteratura Latina-Paravia).

La sua prima opera è "Le Bucoliche" o Ecloghe pastorali; ha come protagonisti i pastori e si  riallaccia al genere letterario dell'idillio, di cui è stato inventore Teocrito. Ricordiamo insieme la prima Ecloga, in cui Virgilio riporta il dialogo tra i due pastori, Titiro e Melibeo. Melibeo è costretto a lasciare il suo campo, per le espropriazioni delle terre ai contadini in favore dei veterani. Titiro, invece, conserva il proprio terreno, grazie all'interessamento di un uomo importante e se ne sta sdraiato all'ombra di un verde albero. Il poema virgiliano che celebra il lavoro dei campi e la natura agreste è " Le Georgiche", in quattro libri. Il poeta vuole ora appoggiare l'intento di Ottaviano di far rinascere in Italia la classe dei piccoli e medi proprietari terrieri. 

Esiodo gioisce dell'incontro in quanto Virgilio, nel primo libro, si è riportato allo spirito de "Le Opere e i Giorni". Dominano, infatti, i concetti dell'avarizia della terra e della fatica che il contadino deve compiere per vincere le forze ostili della natura. Il secondo libro tratta della coltivazione degli alberi e della vite. Vi sono, qui, tinte festose e la vita agreste è rappresentata nei suoi aspetti più lieti. Vi sono le lodi dell'Italia, terra benedetta dagli dei e dalla natura, madre delle messi e degli uomini forti. Nel terzo libro, che ha come tema l'allevamento delle api, si torna alla vita serena e attiva. Nell'opera si ha l'esaltazione del piccolo coltivatore laborioso e dei valori tradizionali Romani ( Laboriosità, frugalità, religiosità, culto della famiglia e della patria), che Ottaviano vuole ripristinare. La scena si fa più ricca. C'è Lucrezio che riesce a descrivere splendidamente il mormorio di un ruscello e la fioritura lussureggiante della primavera, la tempesta che rumoreggia nel bosco e la bellezza terribile di un temporale (Norden- Humanitas litterarum - Loffredo ed. Napoli).

Accanto c'è MARCO TULLIO CICERONE (106- 43 a. C.), che, nella attività poetica giovanile, traduce il poemetto astronomico di Arato di Soli, appunto gli "Aratea" che narra dei pronostici del tempo. Gli "Aratea", probabilmente, sono stati attentamente studiati da Lucrezio che ne trae spunti di versi e di immagini (Bignone- Humanitas litterarum- ed. Loffredo). Non dobbiamo, infatti, dimenticare che la letteratura latina ha inizio come opera di traduzione e di imitazione della letteratura greca. Frattanto Virgilio continua a dar consigli, nel "Moretum" (Appendix Virgiliana) per la coltivazione dell'orto. << Un orto c'era congiunto alla casupola, che pochi vimini e canne rinascenti, dal fusto sottile, proteggevano, limitato come estensione, ma fertile di varie erbe. nulla vi mancava........la sua coltivazione non costituiva una perdita di tempo, ma era una norma di diligente cura: se la pioggia o il dì festivo lo costringevano inoperoso nella povera casetta.....all'orto era dedicata la sua attività. Sapeva egli disporre in fila le varie piante ed affidare in grembo alla terra i semi e......incanalare con diligenza i ruscelli vicini. Qui il cavolo, qui le bietole........e la lattuga, gradita chiusura delle laute mense, qui serpeggia il cocomero e la radice si sviluppa in punta e la pesante zucca che si allarga in un ampio ventre (trad. di A.Salvatore)>>.

Ci viene incontro QUINTO ORAZIO FLACCO (65-8 a. C.) nato a Venosa, in Lucania. Il padre era liberto, di origine piccolo-borghese (L. Perelli). Ci racconta che, dopo la Battaglia di Filippi, nel 42 a. C. Mecenate gli ha fatto dono di una villa in Sabina, che è stata per lui un rifugio dalle noie e dalle brighe della vita cittadina. Seguace di Epicuro, sviluppa il tema del "Carpe diem", affermando l'ideale di una vita isolata dal mondo ostile che lo circonda. Nelle "Satire" ringrazia Mecenate per il dono della villa. Il tema della campagna e della quiete della villa è connesso al sentimento della stanchezza della vita e al desiderio di ritirarsi in sé stesso. (L. Perelli. Storia della Letteratura Latina- Ed. Paravia).