sabato 16 dicembre 2023



                 L'agricoltura nella storia

         "ITALIA FELIX" e CURIOSITA'

                         terza puntata

Ma è tempo di andare oltre e di seguire lo sviluppo commerciale della Grecia e delle colonie greche in Italia. L'economia greca poggia sulla proprietà terriera e sulla triade mediterranea dell'agricoltura (cereali, vite, olivo), con attenzione anche all'arbicultura. E' da tenere in conto anche l'allevamento del bestiame (suini, bovini, pollame). Esiodo sottolinea che, essendo in Grecia, le aree agricole alquanto ristrette, diventa necessario avviare scambi commerciali su larga scala. Si parla, inizialmente, di commercio interno, per passare, poi, all'esportazione delle eccedenze. Il territorio coltivabile greco è molto limitato, per poter migliorare la produzione agricola, i Greci decidono di colonizzare nuove terre fertili, con clima favorevole. L'attenzione si rivolge alle terre della Sicilia e dell'Italia Meridionale, che sono denominate "Magna Grecia". Le colonie, prima fra tutte Siracusa, a loro volta, fondano nuove colonie, definite sub-colonie, come l'attuale Reggio Calabria, Policastro Bussentino, in Campania, Vibo Valenzia in Calabria, Bari, che fonda Paestum in Campania, Crotone, Zancle (attuale Messina), Neapolis (Napoli). Gli intraprendenti coloni ellenici trovano terreno fertile nell'Italia Meridionale. Ma è la Sicilia la sede più importante della civiltà greca in Italia, soprattutto la Sicilia Meridionale e Orientale, dove si addensano le colonie più importanti. 

Dal canto suo, Roma, per più di 400 anni dalla sua fondazione, è un piccolo Stato agricolo, simile a tante altre comunità dell'Italia centrale e Meridionale. Lo Stato Romano, nei secoli V e IV a.C., è fondato su un'aristocrazia di piccoli proprietari terrieri, spesso in guerra con gli Stati vicini. La civiltà italica arcaica è improntata ad una comicità popolaresca e mordace, definita "Italicum acetum", di tipo agreste. Fra i documenti più antichi si conservano alcune formule, come i Carmina Saliaria e il carmen Arvale. Essi vengono cantati dal Collegio dei sacerdoti Salii, consacrati a Marte, considerata divinità agreste, ai Lari, protettori della casa, e ai Semoni, che proteggono la semina. 

I canti e le danze per propiziarsi il dio sono molto rumorosi e festosi. Più recente è il carmen Lustrale, tramandatoci da Catone nel " De agricoltura". E' una preghiera che il pater familias rivolge a Marte agreste per ottenere la protezione per il suo fondo e per i beni agricoli. Orazio ci parla ,poi, di antichi canti agresti, chiamati Fescennini, da Fescennium, antica città etrusca. 

Secondo Orazio ,i giovani contadini, durante le feste sacre di ringraziamento agli dei per il raccolto, sogliono scambiarsi versi salaci e scherzosi, i cosiddetti "Fescennina iocatio". Gradatamente si passa a forme teatrali più complesse, come la Atellana e la Satura, spettacolo misto di musica, danza e recitazione (Luciano Perelli- Storia della Letteratura Latina-Paravia).

Siamo pronti, ormai, per spostarci verso la civiltà Greco-Romana, ma sembra opportuno fare un rapido quadro della AGRICOLTURA DELLA ROMA REPUBBLICANA E IMPERIALE. La storia dell'Italia antica è strettamente legata allo sviluppo dell'agricoltura. Il clima per le sue varietà da regione a regione e per la sua mitezza, si presenta, infatti, adatto ai più vari tipi di coltivazione: La pianura del Po è favorevole ai seminativi; la catena degli Appennini, con la sua variata temperatura, offre ottimi terreni per vigneti e oliveti; le pianure del centro e del meridione ottime pasture e ampi campi di frumento. L'aratura è fatta di tre tempi: la prima a metà Aprile, la seconda verso il solstizio d'estate, la terza in autunno: ma le colture più difficili in primavera. Il raccolto lo si fa dal giugno ad ottobre secondo i luoghi; la falciatura si effettua per mezzo di un coltello ricurvo a manico corto o di una falce con lama a sega; la battitura del grano o a suon di bastoni o sotto i piedi di animali domestici, oppure con una pala di legno con chiodi, passata sulle spighe; il vaglio per mezzo di un largo cesto di vimini, nel quale si scuotono le spighe, oppure con una pala di legno che getta il grano in aria, perché il vento porti via la paglia (ventilabro). L'attrezzatura agricola romana resta così sempre primitiva.

Per quanto riguarda i prodotti più comuni riteniamo si debbano soprattutto ricordare, oltre al frumento, alla vite e all'olivo -base dell'agricoltura antica - il miele, usato anche per i medicamenti, frutti di vario genere ed in particolare mele, conservate anche per l'inverno o intere o a fette opportunamente essiccate. A questo punto intervengo, ricordando che in epoca moderna, intorno al 1960 , mio padre, ammalato di diabete, secondo l'antica tradizione   italica, in primavera comprava quintali di mele annurche. Le metteva in una stanza a riposare su di un letto di paglia, per mangiarle durante le stagioni seguenti. Il profumo delle mele si espandeva per tutta la casa. 

Ritornando al passato, diffuso è pure l'allevamento del bestiame. Tuttavia le piccole proprietà riescono appena a produrre per il consumo dei proprietari e , quindi, il mercato dei consumatori delle città viene rifornito importando grano ( a prezzi più bassi del grano prodotto in Italia) dalla Sicilia e dall'Egitto. I grandi latifondi sono lasciati incolti perché non conviene coltivarli, dato il basso costo del grano siciliano ed egiziano; ma vi si allevano armenti, per fornire i mercati di carne.

In EPOCA IMPERIALE nei dintorni di Roma sono praticati la coltura intensiva, per certi prodotti particolarmente richiesti dalla capitale (fiori, legumi, frutti, ecc.), e l'allevamento di buoi su vasta scala, di montoni e maiali. I miglioramenti tecnici sono rari: le attrezzature dei contadini e degli artigiani non tendono, infatti, a perfezionarsi. Basti, a tal proposito, ricordare che il contadino romano è rimasto sempre legato all'aratro senza ruote. Per il trasporto dell'olio e del vino - malgrado siano in uso presso i Galli Cisalpini botti di legno - continua ad usare le anfore tradizionali, che l'archeologia subacquea riporta ancora oggi alla luce in centinaia di esemplari. Ecco anche perché la produzione resta bassa e in certe annate la carestia assume proporzioni preoccupanti. (A.Brancati-L'uomo e il tempo-mat.da lavoro serie 1.F.H  Marhall e M.Dauron, adattamento. La Nuova Italia Editrice).

Nessun commento:

Posta un commento